Era un caldissimo 2 Luglio del 2017 quando, in quel di Bergamo Alta, si svolse la prima UlisseFest di Lonely Planet. La sottoscritta, con molto onore, fu invitata a parlare di viaggio e del fatto di scrivere di mondo (e del mio amore per il mondo). Tra il pubblico comparve un gigante buono. “Ciao, sono Luca e stanotte non ho dormito perché volevo venire a sentirti parlare. Ero a una festa e praticamente sono venuto qui direttamente”. E io lì… con gli occhi sorpresa e completamente sorridente. Lui è Luca Agliardi, conosciuto tra Twitter e Instagram come WanderAllen. Luca è una persona straordinaria, con una sensibilità pazzesca e una propensione al racconto davvero inusuale. Talmente bella dall’essere inusuale. Gli ho chiesto se gli andava di essere intervistato e, quindi, eccoci qua. Luca ha scritto delle risposte così belle alle mie domande da non poter essere in alcun modo riviste e accorciate. Quindi, sedetevi e siate pronti a leggere: quasta è la prima parte dell’intervista a Luca WanderAllen Agliardi.
Ciao Luca. Raccontaci in poche parole chi sei.
Ciao Giovy, sono uno a cui non basterebbero poche parole nemmeno per salutarti! Ricordi quando ci siamo conosciuti a Bergamo e ti ho detto che ero un account Instagram? Recentemente un’amica, presentandomi ad altre persone esordì, con un certo imbarazzo che mi fa ancora molto ridere: lui è Luca, è un po’ di tutto. Come molti ho frequentato asilo, scuole elementari e medie prima che mi sottoponessero alla domanda più complessa al mondo: quale indirizzo vuoi prendere adesso? Voglio imparare a volare. Ok, poi. Davvero, voglio diventare pilota di aerei.
Sicuro? Altro? Mi piace disegn…next! L’informatico. Ma non hai un computer. Allora lo scienziato. Ma devi studiare molto.
Alla fine ho fatto l’istituto alberghiero perché secondo il depliant della scuola i cuochi guadagnano bene e girano il mondo gratuitamente*. All’epoca non conoscevo gli asterischi quindi non ho letto la frase reale: i cuochi guadagnano bene lavorando venti ore al giorno quando fanno un part-time e girano il mondo gratuitamente ma non lo vedono perché il loro tempo libero è inferiore a quello dei mangaka giapponesi.
L’esperienza in cucina però mi ha insegnato molto: ho scoperto il caffè, conosciuto un sacco di gente e mi son divertito come un matto. Poi un giorno (in realtà una notte, sulla spiaggia, parlando con alcuni amici. Non ditelo a mio padre) ho deciso che volevo fare l’università ma non una qualunque e mi iscrissi a lettere moderne. L’idea di imparare per insegnare divenne il mio mantra ed ero sicuro che sarei finito in una scuola pubblica…poi arrivò la signora dei neutrini, Mariastella Gelmini. Finii il percorso triennale superando peraltro un esame di latino che dalla gioia ho rimosso completamente e quando fu il momento di iscrivermi alla magistrale decisi di ampliare gli orizzonti tracciando una X su Editoria e giornalismo incuriosito dai corsi relativi al mondo web.
Andò alla grande e finalmente avevo un computer: sono il re del mondo, yuu-uuh! Durante la gavetta saltai da un impiego all’altro cercando tuttavia di restare coerente all’insegnamento e all’informatica anche se per un’estate ho perfino fatto il maniscalco. Partecipai a diversi corsi gratuiti di web design e programmazione. Fu così che incontrai Milano dove ora lavoro come, indovinate un po’: formatore IT (non insegno italiano come alcuni mi hanno chiesto bensì Information Technology).
Questo sono io di giorno.
Di notte tolgo la maschera e divento l’appassionato del mondo che potete incontrare per strada o su qualunque mio profilo social. Mi piace l’idea di insegnare, non importa la materia ma la capacità di rendere stupefacente un concetto agli occhi di qualcuno che in questo modo può conoscerlo e approfondirlo contribuendo all’arricchimento della cultura collettiva. La vera sfida tuttavia è più che altro nella preparazione perché ogni aspetto richiede tempo per la ricerca ma sono convinto che per affrontare e rendere interessante un argomento sia necessario conoscerlo in modo approfondito altrimenti si diventa dei ladri del tempo. Questo lato della faccenda non è facile da capire per coloro che stanno dall’altra parte della barricata e spesso si finisce per essere fraintesi.
Ecco in sintesi ciò che cerco di trasmettere attraverso i mezzi che questo matto mondo ci mette a disposizione ogni giorno: fotografia, articoli, video, racconti, cinguettii e chissà cos’altro si inventerà! In futuro mi piacerebbe creare delle esperienze reali: viaggi e incontri culturali durante i quali relazionarmi direttamente con le persone per poter instaurare rapporti che oltre al lato umano condividono una certa complicità e curiosità alla maniera dei nerd.
As terrifying and painful as reality can be,
It’s also the only place that you can get a decent meal.
Because reality is real.
(James Halliday)
Come mai il tuo nick e il nome del tuo sito è Wanderallen?
Da dove arriva?
Esistono due storie legate al nickname, una breve ma noiosa e una lunga e spettacolare. Indovinate quale vi aspetta?
L’idea di avere un’identità segreta o un alter ego è insita nell’essere un ragazzo dell’86 appassionato di fumetti e cultura pop ma la vera necessità di uno username risale ai tempi di MSN e dei primi forum dove celavi il tuo nome perché sembrava che su internet rubassero perfino le impronte digitali (grande terrorismo psicologico della pubblicità progresso. Grazie eh?! Ancora oggi solo per il fatto di utilizzare un servizio di streaming mi torna in mente il claim: ruberesti mai un’auto? Terrore puro).
Per molti era facile, usavano il soprannome. Io invece non potevo, la mia insaziabile mente creativa non si accontentava e dunque serviva qualcosa di diverso. Ai tempi giocavo a basket e leggevo Shakespeare quindi nacque Shaqespeare, la fusione del gigante degli Orlando Magic con il drammaturgo di Stratford. Ero talmente entusiasta che stampai le immagini di entrambi da Encarta (i cantieri sono proprio dietro l’angolo) e le ritagliai con le forbici dalla punta arrotondata (eccoli) per creare un collage e realizzare il logo. Ma il meglio stava per arrivare. MSN dava la possibilità agli utenti di avere un dominio, un proprio spazio da riempire con qualunque cosa volessero. Stop! !dniweR. Play: qualunque cosa volessero.
Abituato a crescere condividendo la camera con altri due fratelli più piccoli queste parole significavano avere vite infinite a un videogioco che nessuno riesce a completare. Iniziai a costruire mondi da riempire con tutto ciò che mi entusiasmava: citazioni di film, ritagli di libri, testi musicali, traduzioni, la lista della spesa o semplicemente il resoconto delle avventure della giornata (mio nonno ha un giardino, io la mia immaginazione. Non mi serviva altro).
I don’t wanna make anymore rules
I’m a dreamer
I build worlds
(James Halliday)
Esistevano le riviste ma spesso dovevi arrangiarti e io riscrivevo ciò che trovato su…oddio non credo alle mie prossime parole…TV Sorrisi e Canzoni (a mia discolpa posso dire che c’erano anche le vignette di Silver su Lupo Alberto). Diciamo che in questo modo ero sicuro di conservare in un unico luogo i miei contenuti preferiti potendoli recuperare ovunque e sempre alla velocità della lu…56K.
Adoravo l’idea di poter plasmare la realtà anche se in modo virtuale e non mi interessava il contenuto finché mi resi conto che esso rappresentava un momento specifico del tempo che non sarebbe mai più tornato. Nel frattempo nacquero Instagram, YouTube e Twitter che ovviamente mi attirarono come il tesoro di Willy l’Orbo per i Goonies.
Decisi allora di iniziare a postare qualche foto per documentare ciò che mi succedeva e se andate in fondo (perdonatemi ma per me scrollare ha un altro significato e non lo userò) al mio feed troverete l’albero della biblioteca in cui studiavo ma soprattutto la strada della Val Sozzine che in meno di un minuto raggiunse inspiegabilmente un’ottantina di cuoricini (ero da mia nonna a far colazione e ho a lungo pensato che avesse corretto il caffè). In quel momento ho scoperto il concetto di community, insieme di account che ti seguono o comunque interagiscono con te perché apprezzano i tuoi contenuti. Però il mio obiettivo non era quello. Ero curioso e volevo sperimentare ogni via per relazionarmi con me stesso e tracciare le impronte sulla sabbia. Badate bene, sono affezionato alle persone che mi seguono ma non ho la presunzione di pensare che siano disposte a dedicare preziosi attimi del loro tempo ai miei contenuti.
Chiarito questo, è bello interagirvi, rispondere ai messaggi e dare consigli. È piacevole sentire il loro punto di vista sul mio hobby (grazie al cielo non lo faccio per lavoro), leggere i commenti sulle storie che scrivo su Instagram o sotto i post del blog. Se ciò che faccio contribuisce a creare momenti di felicità, curiosità o semplicemente a farli sentire parte di un gruppo io sono soddisfatto. Ora forza, riempitemi di likes così posso dire a mia nonna che ho l’influencer!
Poi arrivò l’Islanda e tutto cambiò…ma ci arriviamo, non avrete fretta vero?
Tutte queste novità hanno fatto nascere in me il desiderio di diventare un bambino gr…consapevole. Ho fatto un restyling del logo e del nickname, anche perché O’Neal ormai non giocava più nei Magic. Wander Allen contiene una marea di riferimenti (leggere trattati di filologia e semiotica fino a tarda notte non è il massimo, fidatevi). Wander richiama il mio approccio al viaggio e alla vita in generale: curiosando e studiando ma allo stesso tempo lasciando che siano loro a guidarmi. Inoltre ha una certa assonanza con wonder, meraviglia, prodigio. Se la mia professoressa di inglese alle medie non mi ha fregato, Wander può anche indicare la persona che compie un’azione. In questo caso colui che regge una bacchetta: un mago, o un rabdomante in cerca dell’acqua. In entrambi i casi mi dava l’idea di ricerca, di quest!
Allen, Allen e ancora Allen.
Avete visto Prova a prendermi, il film del 2002 con Tom Hanks e Leonardo DiCaprio? A un certo punto l’ispettore non sa che pesci pigliare. È seduto in un bar con gli appunti sparsi sul tavolo. Le ha pensate tutte, ragionamenti contorti e teorie al limite dell’immaginazione. Il cameriere, un ragazzo giovane che vede la vita nella sua semplicità, si avvicina per riempire la tazza con altro caffè e nota il nome su uno dei fascicoli: Barry Allen dei servizi segreti. Le piacciono i fumetti? Chiede. Boom!
Barry Allen è l’alter ego di Flash, il mio supereroe preferito di sempre per una sfilza infinita di motivi che è meglio riservare a un altro momento. Fatto sta che Allen doveva entrare nel mio nickname sia per l’importanza che riveste la cultura pop nella mia personalità sia soprattutto perché quella scena esemplifica perfettamente il mio concetto di curiosità, la capacità di approcciarmi alla realtà da molteplici punti di vista, anche i più elementari.
Ricerchiamo costantemente nuovi stimoli e meraviglie che alzino l’asticella di ciò che può lasciarci a bocca aperta e talvolta non ci accorgiamo di perdere di vista e dare per scontato ciò che è veramente importante.
Volete sapere la storia del logo?! Magari un’altra volta, che ne dici Giovy?!
Tu scrivi spesso storie: come nascono e come si sviluppano in te?
Come nascono le storie? Sono un ragazzo di Brescia che ha frequentato l’università a Verona e lavora a Milano. Diciamo che ormai da anni salgo e scendo quotidianamente dai treni rientrando in quella schiera di persone sempre arrabbiate perché le cose vanno male, i ritardi, l’aria condizionata e tutto il resto (scherzo…in parte). Come sempre, esistono due strade. La prima, più facile, ti lasci andare e diventi parte del rumore. La seconda, reagisci e trovi il modo di trasformare quel disagio in qualcosa di costruttivo.
Le mie storie nascono inizialmente dalla necessità di riempire il tempo sul treno e quando non pubblico è perché ci sono problemi sulla linea o la corsa viene soppressa. Se notate infatti il mio feed si aggiorna quasi sempre tra le sette e le nove del mattino oppure dopo le diciotto. Coincidenze? Assolutamente no! Ora, lavorando da remoto, continuo a pubblicare ma grazie al cielo prendo i treni il meno possibile…sai che sono due anni che non indosso i calzini!
Come si sviluppano in te? Volete la versione cort…ah sto scherzando!
Fotografo da non so più quanto tempo anche se dopo aver letto Barthes ammetto che per un periodo mi son sentito in difetto nel pigiare il pulsante di scatto. Però amo alla follia il momento in cui il mondo si ferma nello spazio di tempo necessario alla luce per impressionare il sensore e catturare all’interno di un rettangolo un’esperienza che non tornerà mai più.
Oggi la tecnologia permette di riempire memorie sempre più capienti ma vi chiedo una cosa. Avete mai la sensazione che alcune di quelle immagini non sappiano perché sono state ritratte? Come vi sentireste se non aveste una storia, se il vostro scopo e la vostra esistenza non fossero altro che il risultato di una riproduzione seriale (Warhol imperat) o il delirio di onnipotenza di un’entità superiore (disclaimer serio, non ci sono riferimenti religiosi, io stesso sono un timorato di Dio e spero di andare in Paradiso perché sin da piccolo sogno di volare). Ho iniziato a figurarmi nella mente ogni immagine molto prima di scattare e una volta tornato a casa, ripenso al motivo e al senso di quel fotogramma.
Le storie sono nate così finché una notte, alla maniera di Pirandello e Dickens, illuminato dalla luce giallognola del frigorifero mentre cercavo dell’acqua fresca, ho ricevuto la visita di uno sconosciuto. Non mi disse il nome ma mi raccontò una storia incredibile chiedendomi di scriverla per lui.
Il giorno dopo lo feci e si vede che il risultato piacque perché la notte successiva il personaggio tornò con alcuni amici. E ancora, ancora, ancora. Molti mi chiedono come mai vada a letto tardi…ecco il motivo. Dico che guardo serie TV per non sembrare pazzo ma tanto è uguale, no? L’intento delle photostory è romanzare il mondo attraverso un punto di vista (che bella parola) nuovo e diverso dal solito dando a ogni irripetibile istante catturato in un’inquadratura la dignità che merita.
Fotografia e cose da nerd: come si mescolano queste cose in te e che ruolo hanno nella tua vita da adulto? Credo di non avere mai avuto una vita da adulto ma se facciamo finta che la domanda finisca con la parola vita allora provo a rispondere.
[per ora l’intervista si interrompe qui… riprendo la parola io, la Giovy]
Provate a immaginare cosa siano le mail o lo scambio di messaggi tra me e Luca: fiume di parole è un eufemismo e per me è bellissimo così. Luca e io abbiamo un sacco di cose in comune e tante che ci differenziano e adoriamo la parola come entità che prende vita quando la si pronuncia o la si scrive. E, come tale, la parola assume un’importanza assoluta. Io trovo tutto questo semplicemente magnfico. L’intervista, ovviamente, non è conclusa qui. Tornerà, nella sua seconda parte, la settimana prossima. E, in quel frangente, inizieremo parlando di viaggi.
Tutte le foto sono © Luca WanderAllen Agliardi – riproduzione vietata.
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