
Sarà il caldo, saranno le mie aspettative (pretendo sempre molto da me), sarà il fatto che sia lecito avere dei giorni no ma posso dire – senza remore – di non essere molto a posto in questi giorni. Benché la mia ripresa continui a un ritmo che nemmeno io avevo considerato, non mi sento a posto e non mi sento dove avrei già voluto essere. Sono sempre stata molto “self-confident” rispetto a me, alle mie forme, al mio essere un qualcosa di fisico nel mondo e sono sempre andata fiera di alcune parti di me. Capelli e piedi – da sempre miei fedeli alleati – in questi giorni mi danno da pensare e non riesco a minimizzare. Così non mi risollevo scrivendo. Ho ritrovato una parola in greco antico giori fa, una parola che mi piace molto: ἀνανθέω. Si legge Ananteo e significa Rifiorire. E Rifiorire è arduo e fa anche male.
Passo dopo passo

Negli ultimi tre anni, sono andata in pezzi un sacco di volte e per altrettante occasioni mi sono rinsaldata come se fossi ceramica tenuta assieme con l’oro. Se mi vendessi un tanto al chilo diventerei ricca. E ci rido sopra. Battute a parte, ogni volta che sono andata in pezzi (per i motivi più disparati e disperati) mi sono sempre chiesta dove fosse “l’asticella” che segna il limite della mia sopportazione. Ogni volta la spostavo. Aumentandone il livello, ovviamente. Sono uscita dall’ospedale da un mese e una manciata di giorni e sono già riuscita in molte cose:
- Ho riconquistato la “linea verticale” della mia vita: cammino, sto in piedi senza aiuti, mi alzo dal divano, dal water, dal letto senza problemi.
- Sono salita in auto, la mia auto: ho guidato, ho parcheggiato, sono scesa e tutto in completa autonomia.
- Cucino, pulisco, metto su la lavatrice: ecco… ancora non riesco a stendere fuori ma ce la farò.
- Fin dal giorno 1 a casa, mi sono vestita e lavata da sola. Ora ho riconquistato anche la doccia.
- Quando suona il campanello di casa, faccio uno scatto che nemmeno Bolt sarebbe in grado di fare.
- Con la dovuta lentezza, faccio anche un po’ di scale.
A detta del mio medico, sto viaggiando alla velocità della luce nella ripresa ma io, dentro la mia testa, avevo un’idea diversa. Come ben diceva Guzzanti, la risposta è dentro di te ed è sbagliata. Io sto facendo ora i conti con questo.
Cry me a river

Sto piangendo tanto in questi giorni: da sola, in compagnia, come mi capita. Piango perché i miei piedi sono ancora bruttini e si gonfiano molto in questi giorni. Non c’è da incolparli, poveri: sono stati in orizzontale per mesi e ora sono di nuovo sfruttati per reggere in verticale la sottoscritta. Il caldo non li aiuta ma non aiuta nemmeno me. Ho un appuntamento di famiglia importante tra pochi giorni e non riesco a trovare un paio di scarpe che mi entri. Sono come Anastasia e Genoveffa, le sorellastre di Cenerentola. Mi ritrovo col mio 39,5 di piede (anche lì… quel mezzo numero mi complica da sempre la vita) e non trovo un paio di scarpe che contenga i miei piedi erranti. Sicché giro in ciabatte e Crocs come se non ci fosse un domani. Potrei inventarmi il nuovo trend: girare il mondo così ma in inverno la vedo dura, benché esistano i Crocs pelosi. Piango perché ho paura che nessuna scarpa mi entri più – nemmeno le scarpe ortopediche da vecchia – e mi vedo passare dalla favola di Cenerentola a quella di Rapunzel: là. chiusa nella torre. Poi piango perché ho sempre adorato i miei capelli, il loro schiarirsi con la bella stagione: poveri, non vedono il sole da marzo e, inoltre, stanno smaltendo tutto lo stress che mi ha viaggiato dentro in questo periodo. In più fa caldo – lo so, sono ripetitiva – e li perdo come se non ci fosse un domani. Mi dico per prima che non è un dramma (insomma: senza scarpe e coi capelli che volano via… fate voi. Ci sono drammi di ogni livello) ma mi dico anche sticazzi e favvanculo alle difficoltà. Ne avrei anche abbastanza.
One, two, chachacha…
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Ci sono ancora delle cose che vorrei raccontarvi del periodo in ospedale ma non è ancora il momento. Arriverà, lo sapete: se prometto poi mantengo. Ambra insegna. Sono la prima a buttarla sempre in vacca e a trovare un modo per darmi la spinta e far emergere quella stessa cazzimma che mi ha rimesso in piedi in due giorni in ospedale. Il giorno che mi sono alzata degnamente per la prima volta, ho tirato fuori una grinta che speravo di avere ma che ancora non avevo misurato. Ora sto facendo lo stesso ma mi dico che il mio problema essenziale, a livello di vita, è scontrarmi con ciò che non posso sempre controllare: provo a essere un Jedi in tutti i giorni della mia vita e sto cercando a convincere i miei piedi a sgonfiarsi. Suvvia, io devo girare il mondo e lo farei anche barcollando ma senza scarpe come faccio? L’altro giorno questo pensiero mi ha fatta disperare. Mi sono detta di aver investito molto e lottato così tanto per creare il mio lavoro e ora mi ritrovo con un impedimento quasi assurdo: un paio di scarpe che non si trova. Rido perché altrimenti mi rimetto a piangere oggi. Il fatto è questo: ci sono delle azioni che viviamo per natura nella nostra vita. Si nasce, si impara a camminare, si cresce e via così. Provate a pensare un momento al fatto di ricordare, o meno, dolore e sofferenza legato al momento in cui da bimbi imparavate a fare una nuova azione. Camminare era tutto un “one, two, chachacha“, come la bimba che spesso posto su Instagram. Io ci provo a essere quella bimba ma a volte la mia presenza adulta mi mette davanti dei muri sui quali sbatto il naso. E poi piango, per l’appunto.
Non ho mai detto fosse facile

Nessuno (io almeno) ha mai avuto la pretesa che ci fossero cose facili. Ci sono stati dei momenti in cui ho provato dolore perché rinascevo. In quei momenti mi chiedevo se avesse fatto male anche nascere la prima volta perché rinascere… cavolo se faceva male. Ora sono in un’altra fase: rifiorire. Voglio tornare nel mondo, voglio tornare a splendere, rivoglio i miei capelli sconvolti come ogni mattina. Rivoglio le mie lentiggini, il sale sulla pelle, il vento di qualsiasi parte del mondo pronto a sospingermi nel mio vagare. Forse devo solo fare un bel pieno di pazienza ma mi sto chiedendo se posso permettermi la pazienza. Non sto male, eh?! Non posso proprio dire di stare male: sono venuta fuori da un’infezione che poteva avere ben peggiori effetti su di me di quelli che vi sto raccontando. Ma sempre… sticazzi. Oggi voglio dire sticazzi, lamentarmi un po’, buttare fuori lo schifo e fare spazio alla forza. E che la forza possa essere con me.
My feet, my feet, my tired feet
Have carried my fast and far in retreat
But now I’m kicking myself to sleep
With my feet, my feet, my tired feet.
Fickle Heart – Ira Wolf – 2014
❤️❤️❤️
❤️❤️❤️