
Mentre scrivo questo post ho la grazia di avere la finestra della mia stanza di ospedale aperta. Sono sul letto e scrivo con e gambe scoperte. Sento l’aria addosso e mi fa bene. Sento anche gli uccellini che cantano fuori e c’è un lieve sentore di erba tagliata nell’aria. Nulla mi sembra così bello. Oggi, mentre scrivo non quando leggerete, è il 9 giugno ed è il giorno in cui la mia mamma ha deciso di lasciare questo mondo. L’ha fatto 11 anni fa e io ancora sento l’anima che pizzica forte quando penso a questo giorno, per quanto io ami ricordarla con un sorriso anziché con le lacrime. Oggi è dura. È dura anche perché sto ricominciando tutto da capo. Nel 1993 (e il cielo abbia sempre in gloria gli Anni ’90) io me ne andavo in giro col walkaman ad ascoltare What’s Up delle 4 Non blondes. Linda Perry ti amerò per tutta la vita per questa canzone e non solo. Detto questo, mi divertivo – al tempo ma lo faccio anche ora – a cantare quel “25 years and my life is still” con la quale inizia la canzone. Al tempo – torniamo al 1993 – di anni ne avevo 15 e mi chiedevo come sarebbe stata la vita a 25 anni. Poi, dieci anni dopo quel momento, ero nella mia auto intenta ad andare al lavoro e mi sono rimessa ad ascoltare quella canzone, rendendomi conto solo in quel momento che di anni ne avevo 25 e non avevo una vita tanto “still“. Poi sono arrivati i 35 e, di nuovo, di “still” c’era ben poco. Ora sono arrivata a 45 anni e sono proprio still. Per il momento. Per il momento devo ricominciare tutto da capo.
Come diceva Linda Perry
Prima di andare avanti, ascoltatevi la canzone… che male non fa. Questo periodo in ospedale è stato un insieme di prime volte per me: il primo ricovero che, detto tra noi, l’avrei preferito un po’ più leggero e breve. Solo pochi giorni fa, mi sono resa conto di una grande prima volta che questo soggiorno al Grand Hotel Ospedale mi ha scaraventato addosso. E scema io a non essermene resa conto prima. Ho perso la mia autonomia. Il mio Santo Graal, il mio personale perché di vita, il mio marchio di fabbrica assoluto. Ho iniziato a essere autonoma – per quanto potesse essere possibile -a 6 anni con la consegna delle chiavi di casa da parte dei miei genitori. Al tempo era possibile; ora ti mandano a casa i servizi sociali se lasci tornare a casa da solo un bimbo di 6 anni. Anyway… sono sempre stata autonoma e ho provato a non dipendere mai da nessuno. Ora è tutto diverso. Vivo tra un letto, una sedia e una stanza nella quale non riesco a fare nulla se non chiedo. E devo chiedere davvero ogni cosa, compreso il fatto di essere pulita se faccio la cacca o di essere lavata ogni mattina. Quando il personale dell’ospedale si occupa di me, io ringrazio con parole che arrivano dal cuore perché mi sembra di pesare sulle loro vite anche se, occuparsi di me, è il loro lavoro. Devo chiedere di lavarmi le cose che indosso e di portarmi le cose pulite: sto pesando su Andrea da mesi e passa e lui è un santo perché non mi fa pesare nulla. A me sembra di gettargli addosso dei macigni ogni volta. Devo chiedere se voglio aprire una bottiglia d’acqua, perché il tappo è chiuso troppo forte e io non riesco ad aprirla. Ma non è finita qui.
Come sono due mesi di ospedale?
Vi racconto chiaro e tondo come si sta dopo due mesi e mezzo di ricovero, due dei quali passati a letto per via delle operazioni ai piedi che mi stanno tenendo qui: ho la pelle delle mie gentili terga (per non dire culo) che urla vendetta, per non parlare delle parti intime… che vi risparmio. Non so più cosa vuol dire sedersi sul water e il cielo solo sa quanto io brami il momento in cui potrò fare cacca e pipì seduta in verticale, con un buco sotto di me pronto ad accogliere i miei bisogni. Non riesco più a mangiare perché, dopo questo tempo qui dentro, nulla ha più gusto. Ora… non che la cucina dell’ospedale sia la migliore al mondo… ma, all’inizio, non c’era di che lamentarsi, a parte alcune cose. Ora “mi è andato in disgrazia” tutto e sogno il momento in cui potrò farmi un’insalata degna di questo nome, con tonno e uova e condita come dico io. Al di là di questo, non voglio lamentarmi: mi sento una deficiente quando lascio lì il cibo perché mi rendo conto di tirare uno schiaffo alla miseria e di battere i piedi come se fossi una bimba di un anno. Ma anche “sti cazzi”. Già che sono sulla vita di lamentolandia, non ne posso più di questo letto, luogo in cui non riesco mai a mettermi a dormire come voglio io. Last but not least, la mia ultima reazione allergica mi ha lasciato una pelle schifosa e mi sto spellando come una lucertola che cambia pelle. Sono così ruvida che potreste usarmi per grattare via la vernice. Così sogno la doccia, che non faccio dal 30 marzo 2023, uno scrub di quelli potenti seguiti da una crema idratante che faccia miracoli.
Come mi sento

Detto questo, mi sento di dover ricominciare tutto da capo perché non so più cosa sono e come sono: credo di essere orrenda in questo periodo e poco male… mi passerà. I capelli saranno adeguatamente sistemati quando uscirò di qui, così come tutto il resto. Ora la domanda nasce spontanea: quando uscirò di qui? Fisicamente sto bene e potrei andarmene via anche ora. Perché non accade? Perché devo imparare di nuovo – da capo – a stare in piedi. A camminare. A spostarmi nello spazio intorno a me. L’altro giorno ho messo giù i piedi dal letto e, con i dovuti supporti, mi sono rimessa dritta in piedi: una fatica che non vi dico. Stare a letto ha “accorciato” i miei polpacci e ora sto facendo degli esercizi per allungarli di nuovo, in modo che mi supportino nel mio stare in piedi. I muscoli delle cosce, le ginocchia e la schiena rispondono bene… per fortuna. Ricomincio da capo perché sono come un bimbo che impara a fare tutto, senza avere quella pucciosità tipica dei bimbi piccoli. Se ci penso bene, mi puliscono, mi mettono la crema, mi aiutano con i miei bisognini, controllano che non mi arrossi il culetto e altre parti del corpo e mi insegnano a camminare. A conti fatti è come se avessi un anno. Secondo voi vale per sentirmi più piccola e pensare di avere tutta la vita davanti?
Stasera vi invidio la vita

Certo che ho tutta la vita davanti. Mi dico di avere – mi auguro – almeno altri 45 anni per non sentirmi più “still” e battezzare solo questo come periodo fermo della mia vita. Non voglio vivere una vita senza difficoltà, ci mancherebbe, ma non voglio più ripetere un’esperienza come questa. Oggi, mentre scrivo, mi fa male l’anima per la mancanza di mia madre e mi fanno male i muscoli per la mancanza della mia solita vita. Probabilmente, quando sei un bimbo di un anno, dimentichi quanto difficile e doloroso sia iniziare a camminare, stare in piedi con le tue gambe e iniziare a fare le cose da solo. Tutto è una scoperta e quello basta. Ora, per me, è una riscoperta. Ora per me è ricominciare tutto da capo. Come se i miei 45 anni fossero un punto di partenza. Continuo a pensare a una frase scritta da De André in una sua canzone che adoro:
L’invidia di ieri non è già finita
Stasera vi invidio la vita.
Il Testamento di Tito – Fabrizio De André – 1970
Vi vi invidio la vita, il vostro camminare nel mondo, il vostro assaporare cose buone, il vostro vivere esperienze che anch’io avrei voluto vivere. Vi invidio i sandali, le gonne a fiori, le canotte di ogni tipo. Vi invio i primi bagni, i prati che sanno d’estate, le fragole, la doccia, la crema idratante, i capelli che profumano, i letti con le lenzuola che vi piacciono, le lasagne e anche le verdure che sanno di verdure. Vi invidio le serate coi grilli che cantano, il fatto di pianificare le ferie, il fatto di guardare negli occhi chi amate e dire “ma se andassimo là questo weekend?”. Vi invidio tutto questo e molto altro ma, vi prego, continuate a farlo e mostrarlo. Lasciate le vostre tracce sulla rete, nei messaggi che mi mandate, nei racconti delle vostre giornate. Fatelo anche per me, per questa bimba di 45 anni che sta iniziando a camminare ora e chissà quando riconquisterà il mondo senza sentirsi stanca o disastrata. Non c’è cattiveria o stizza nella mia invidia: c’è tutto il bene che vi voglio e quello che voglio a me. C’è quella voglia che mi fa dire “domani ricomincio tutto da capo” anche se mi fa male tutto oggi. C’è quella voglia di passare dall’essere Clara Seseman a Heidi, sempre e comunque. Con le guance rosse, lo zaino in spalla o la borsa sempre piena di mille cose a tracolla. Io. Sempre io. Di nuovo io. Da capo, io.
So cosa vuol dire non poter camminare, ne´ potere essere autonomi. E´ una fottuta progione.
Stay strong
Wish you all the best
p.s. Sempre bello leggere il tuo blog. Sei sempre, incredibilmente, meravigliosamente VERA 🙂
Ti ringrazio moltissimo per quello che scrivi.
Io sono qui che cerco di migliorare ogni giorno!
Tesoro! Non avrei mai immaginato che tu fossi invischiata in una situazione sanitaria tanto complessa! In tutto ciò sento – per fortuna! – che la tua vena critica, il tuo saper leggere con occhi capaci le cose del mondo trovando le giuste parole, quella cge fanno vedere oltre consonanti e vocali, non è venuta meno. E ti auguro, con tutto il cuore e con tutta me stessa, di ricominciare a breve a camminare e a scalare i sentieri della vita. Un abbraccio forte Giovy, alla donna di 45 anni ed anche alla bimba di un anno.
Nemmeno io avrei mai pensato che sarebbe durata tanto.
Quando sono andata in pronto soccorso, il 30 marzo, pensavo sarei tornata a casa qualche ora dopo con una medicazione e una scatola di antibiotici.
E invece ormai è estate e io sono ancor qui dentro. A imparare a camminare di nuovo :-))
Ma ce la farò.
Grazie a te per le tue belle parole.
Ho letto d’un fiato e ti auguro di ‘correre’ al più presto!
Ti abbraccio
Grazie mille!