Non ho mai fatto mistero della mia passione per la musica Grunge e nemmeno di quella per la città di Seattle e di tutto quello che si porta dietro. Durante i miei giorni in ospedale, ho letto un sacco di libri, soprattutto quando ero davvero presa male dalla febbre e non riuscivo a lavorare (come ora). Uno dei volumi che mi ha fatto compagnia è stato “Gli Anni del Grunge. Italia 1989-1996“, libro che mi è piaciuto fin dalla sua struttura: un insieme corale di più voci, pronte a raccontare degli anni che hanno lasciato il segno un po’ ovunque. Con Seattle che raggiungeva l’Italia e l’Italia che trovava la sua voce in una Rivoluzione musicale e artistica che, per me, è sempre degna di nota. Ho pensato bene di intervistare Giacomo Graziano, autore del libro (assieme alla coralità di cui vi parlavo) e fondatore di un gruppo Facebook che seguo e che adoro che si chiama Smell of Grunge.
Ciao Giacomo, ci racconti in poche parole chi sei?
Ciao Giovy, un caro saluto a tutti gli amici del blog. Mi considero un amante e appassionato di musica a cui piace soprattutto condividerla, ne ho fatto uno stile di vita. Adoro imparare e scoprire sempre cose nuove e nonostante parlo principalmente degli Anni ’90, ascolto tantissima musica nuova. Essendo un batterista è lo strumento a cui dedico inizialmente le maggiori attenzioni e tante volte mi ci perdo.
Smell of Grunge è un gruppo Facebook molto ben frequentato: com’è nato?
Smell Of Grunge nasce per condividere con la mia generazione i ricordi e le emozioni dell’ultima rivoluzione musicale esistita, ma soprattutto per mettere a disposizione delle nuove generazioni curiosità, notizie, documenti, foto e video del fermento vissuto nell’ultimo decennio del secolo. Il tutto con uno sguardo adolescenziale, di chi si approccia per la prima volta a questo universo o di chi vuole approfondirne ogni aspetto. Come scritto anche nel libro, la racconto come se la riscoprissi per la prima volta insieme a quella che considero una famiglia allargata e non semplici follower.
Il libro che hai pubblicato si intitola Gli Anni del Grunge: benché sia chiaro dal titolo, cosa racconta e perché hai deciso di dare vita a un simile libro?
Negli scritti raccolti, racconto il passaggio delle band di Seattle in Italia negli anni tra il 1989 e il 1996, attraverso gli occhi di chi li ha vissuti in prima persona come giornalisti, critici musicali, organizzatori, musicisti, strumentisti, DJ, promoter. Si attinge dal cassetto dei ricordi a rievocare le emozioni di quel periodo, passando dallo storico concerto dei Nirvana al Piper di Roma a quello segreto di Eddie Vedder al goa, dalle tournée dei Soundgarden in giro per lo stivale ai tour di Mudhoney e Screaming Trees all’alba del decennio. Ho deciso di realizzare questo libro perché il grunge è stato “il manto protettivo” di un’intera generazione, questo libro è per chi può capire, per chi c’era, per chi ha visto, per chi avrebbe voluto esserci e per chi da lì a poco avrebbe abbracciato fatalmente la musica di Seattle nella propria vita.
Il Grunge è principalmente made in Seattle ma sappiamo benissimo che ci furono molte altre zone coinvolte nel mondo musicale di quegli anni. Perché proprio Seattle, secondo te?
La scena di Seattle è la più esaltante prodotta da una singola città. Per essere sintetici furono due gli aspetti fondamentali e strettamente collegati tra loro, il primo fu l’essere trascurata come città dai principali tour mainstream, l’altro è stato il conseguente isolamento dei musicisti del nordovest, che si chiusero a riccio cominciando a suonare tra loro, non seguendo sonorità e stili del periodo. Questa sorta di isolamento porta i musicisti a frequentare gli stessi club e studi di registrazione come i Reciprocal Recording, infine le etichette come CZ Records e Sub Pop diventarono il punto di riferimento per le band locali creando quel marchio di fabbrica made in Seattle. Geograficamente il fenomeno si espanse quando le major californiane, fiutato il profumo dei soldi, misero sotto contratto le band di Seattle una dopo l’altra, inglobando anche band del territorio (vedi Stone Temple Pilots). Con l’avvento del post grunge il fenomeno si diffuse a macchia d’olio nel mondo sfornando band dall’Australia al Regno Unito, ma questa è un’altra storia ed il grunge era già più che sepolto.

Questo è un blog di viaggi (soprattutto) e tocca anche a te la classica domanda sul mondo: ci racconti tre luoghi che ti sono davvero piaciuti e ci dici perché?
Il primo è Ellis Island, un isolotto nella baia di New York all’ombra della Statua della Libertà, chiamato anche l’isola delle lacrime, era il punto di accesso in America e la speranza di una vita migliore per milioni di emigranti. L’ atmosfera suggestiva e carica di storia, mi ha emozionato molto, soprattutto nell’ immaginare l’arrivo dei miei bisnonni in quel luogo. Il secondo si trova nella mia bella Sicilia, la riserva naturale di Cavagrande, tra Siracusa ed Avola, per chi è amante delle escursioni e del trekking, il canyon siciliano è uno dei posti più suggestivi da visitare tra natura selvaggia ed incontaminata. Raggiunto il fondovalle ti ritrovi davanti un vero paradiso naturalistico fatto di piccole cascate e laghetti dalle acque limpidissime. Per ultimo lascio il viaggio ancora da compiere, che prima o poi realizzerò, ovvero l’ Islanda.

Domanda molto cattiva: puoi salvare una sola canzone di quegli anni. Quale scegli?
Più che cattiva rischia di mandare in crisi il cuore nella scelta, quindi piuttosto che entrare in vortici di ripensamenti ti dico quella che ho ascoltato per ultima prima dell’ intervista, ovvero Burden in my hand dei Soundgarden, così mi sono salvato io!
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Mentre scrivo la conclusione di questo post, sto proprio ascoltando i Soundgarden e gioco col telecomando del letto in cui mi trovo perché non trovo la posizione giusta per scrivere. Mi sento scema. Sensazioni a parte, sono felice di aver intervistato Giacomo perché volevo proprio parlarvi del suo libro. Leggendolo, mi sono ritrovata spesso a dire tra me e me “mannaggia, se ci fossi stata” e rimpiangevo quasi quell’essere nata nel 1978, cosa che mi portò a essere super-adolescente negli anni del Grunge ma troppo piccola per godere della libertà di assistere ad alcuni concerti, tipo quello delle Hole, per esempio. In altri, tipo i Pearl Jam in Italia nel 1993, io c’ero e lo ricordo ancora come fossi ieri. Quel libro è stato un viaggio dentro la musica che amo e ai momenti di cui ho sempre sentito parlare da chi – proprio come gli autori dei testi – erano un po’ più grandi di me e quindi capaci di godersi quei momenti in pieno. Questo, per come la penso io, è uno di quei libri che non possono mancare sugli scaffali di chi ama la musica, anche se non propriamente il Grunge. I racconti de “Gli Anni del Grunge” sono come delle polaroid da conservare sempre e riguardare ascoltando le nostre canzoni preferite. Bello, davvero.
Le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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