
Questo periodo è stato portatore di molte cose, come dei buoni libri da leggere. Il primo periodo in ospedale è stato pieno di romanzi e saggi, tanti di quei volumi che avevo messo da parte per mancanza di tempo. Per fortuna, fin da quando ero piccola, anche con la febbre alta – sintomo che mi ha accompagnata per tutto aprile – ero in grado di leggere tanto. Uno dei libri che mi ha fatto gran compagnia è stato “Indagine sulla felicità” di Paolo Alessio. Paolo è una gran persona che io stimo molto e amo tanto il suo modo di scrivere. Ho “macinato” le sue parole davvero con un piacere immenso. Indagine sulla felicità è uno di quei libri che non può mancare tra i libri da leggere in questo periodo. Si tratta della seconda puntata delle indagini che hanno come protagonista l’ispettore Morganti. Ma non solo. Oggi intervisto Paolo che, sempre col suo meraviglioso stile, ci racconta il suo secondo romanzo.
Ciao Paolo, felice di ritrovarti: ci rinfreschi la memoria su chi sei?
Sono quello dell’anno scorso, ma con un anno di più e quindi non sono esattamente sicuro che le mie cellule siano tutte le stesse. Lavoro ancora nel settore delle guide turistiche e mi occupo di contenuti per il web in relazione alle guide e alla loro promozione. Quando indosso la casacca dello scrittore, mi ricordo di essere laureato in filosofia e di avere la passione per la narrativa e la saggistica, che cerco di trasferire nei miei libri.
Hai recentemente pubblicato il secondo romanzo con protagonista l’ispettore Morganti: si dice che il primo nasca da sé ma il secondo sia più difficile. Confermi o smentisci?
Il secondo si trova un po’ la strada spianata dal primo, ma non essendo portatore della primogenitura ha il problema di ritagliarsi il proprio spazio nel mondo. Questo aspetto così consueto per i figli cadetti delle buone famiglie riguarda anche l’Indagine sulla felicità, il romanzo a cui ti riferisci. Tuttavia, a questo proposito vorrei dire che l’Indagine ha già trovato la propria collocazione, nel momento in cui ha incontrato il primo lettore e in cui è arrivata tra le mani di qualcuno, per esempio a te che lo hai letto dedicandogli tempo e attenzione. Anche perché io mi sono ripromesso di scrivere con la stessa svagata leggerezza con cui un modellista porta avanti la costruzione del proprio galeone.
Ahi, temo di non essere stato del tutto sincero in quest’ultima parte della risposta, perché ci metto sempre un po’ di dolore quando scrivo, e forse anche il modellista nel suo hobby, ma mi riservo lo spazio per un po’ di ironia…
Ho trovato molta riflessione più che azione in questo romanzo: è una mia impressione o hai voluto proprio introdurre un momento narrativo pieno di ragionamenti? Il titolo già suggerisce molto a riguardo.
Ti confesso che quando ho letto questa tua domanda ho provato una leggera fitta, come quando sei dal dentista e ti sfiora un pezzo di gengiva scoperta… nel senso che involontariamente, o forse per suscitare la mia reazione, hai toccato un tema fondamentale per chi scrive un romanzo, almeno dal mio punto di vista.
Questo tema riguarda la trama, la sua costruzione… io ho sempre pensato che siano fondamentali in un romanzo, dove la lettura viene sospinta dalla capacità dello scrittore di creare attesa, coinvolgimento e intrigo, insomma di ottenere quello che si dice ‘interesse’ da parte del lettore. Quindi, se manca la trama o se questa non convince è probabile che il romanzo abbia fallito il proprio compito.
Ora, io non voglio credere che nell’Indagine la trama faccia difetto, anche perché mi sembra che azioni ne accadano tante, a cominciare da quelle che coinvolgono i poveretti che [Spoiler] lanciandosi dalla finestra pongono fine alla propria vita in preda al panico, per continuare con lo sviluppo vero e proprio dell’azione romanzesca, con l’indagine che Morganti a modo suo conduce, e per finire col colpo di scena finale, ossia con l’individuazione dell’assassino e con il modo in cui la storia si conclude, stabilendo un esito più o meno definito (se non proprio risolto) alle vicende di tutti i personaggi. Quindi, mi sembra che una trama ci sia e ora potrei citare molti altri testi che di trama ne contengono ancora meno, ma non voglio nascondermi dietro a giganti al solo scopo di celare mie eventuali mancanze.
Come vedi, ho resistito alla tentazione di chiederti di modificare la domanda. Ho voluto rimanere, diciamo così, a nervo scoperto e provare a riflettere su ciò che essa suscita. Senza avere qui le pretese di produrre un trattato di narratologia, vorrei dire che non ho cercato di scrivere un romanzo a tesi e nemmeno ho voluto tentare la strada del romanzo ragionato, se per ragionato intendi la sostituzione degli eventi con i ragionamenti. A ben vedere, per altro, anche i ragionamenti hanno una trama, uno sviluppo, seguono quello che si dice appunto filo del ragionamento. Anche in opere altamente speculative come la Critica della ragion pura di Kant si ritrova una trama.
E con questa affermazione abbiamo procurato dolore ai rari filosofi che leggeranno questa intervista.
Detto ciò, io ho voluto dare vita e azione ai protagonisti e ai personaggi e quindi ho cercato di mettere sulla carta i loro sentimenti, le loro azioni e i loro pensieri. Può darsi che nelle pagine dell’Indagine prevalgano quelle che tu definisci parti ragionate, ma a me sembra che il romanzo possieda una sua trama ben precisa e che le azioni si svolgano a volte in modo piuttosto vivace e brioso. C’è probabilmente il tentativo di mescolare narrativa e filosofia, ma se il risultato è la sostituzione della trama col ragionamento questo è un esito non voluto. Vedremo piuttosto che cosa riuscirò a fare nella terza parte… lì credo che la trama sarà in lotta non tanto col ragionamento, ma con il sogno.

Torino stessa è protagonista del tuo raccontare: di quali suoi luoghi si parla in questa seconda puntata?
Ci sono luoghi riconoscibili e dichiarati, per esempio il lungofiume, oppure una via piuttosto frequentata di Torino, invasa dalle auto e dal traffico, che si chiama via Napione (intitolata a un letterato sabaudo vissuto tra Settecento e Ottocento), ma Torino è soprattutto uno stato mentale, una condizione esistenziale ed è per questo che ho scelto di chiamarla “la città di cui parliamo” e di non fare mai il suo nome, se non in forma aggettivata.
Sono convinto che le città in cui cresciamo e viviamo, soprattutto se come me abbiamo avuto la fortuna o la sfortuna di rimanervi per tutta la vita, alla fine influiscano con la loro essenza sul nostro carattere e arrivino quasi a essere un teatro, una scenografia, in cui far svolgere le azioni dei personaggi e lasciare che i nostri pensieri si manifestino.
In definitiva, provo un profondo amore per la mia città e quando un pochino la maltratto nelle mie pagine questo avviene nel segno dell’affetto, un po’ come si fa tra vecchi amici quando ci si concede il lusso di evitare i giri di parole e di andare dritti al sodo, nella speranza che l’essere schietti e diretti contribuisca poi al miglioramento o comunque al benessere comune.
Un’ultima cosa riguardo a Torino: da ragazzo ammiravo gli scrittori che con la loro opera sono riusciti a raccontare una città da più punti di vista, arrivando quasi a impersonificarsi con essa e a farla propria… sai, tipo la Parigi di Hugo o di Zola, cose così. Io non ho cercato questa emulazione, ho voluto raccontare Torino come la vedo e vorrei che continuasse a essere narrata da una pluralità di voci, dai suoi cittadini: mi piacerebbe che i torinesi potessero esprimersi e contribuire al destino della loro città, cosa che purtroppo in questo periodo non avviene, per motivi che sono di natura sociale ed economica. Se c’è una cosa che non auguro alla nostra micro-metropoli è di vedere acuirsi il divario sociale. Non vorrei che si compisse il processo di sudamericanizzazione già avviato, ovvero l’aprirsi della forbice tra ricchi e poveri e l’aumento della violenza in strada.

Rabbia, felicità… quale sarà la prossima emozione… se già ci stai pensando?
Approfitto di questa domanda per svelare un piccolo retroscena: sia La rabbia sia l’Indagine sulla felicità sono testi che hanno per tema non dichiarato un argomento diverso rispetto a ciò che il titolo suggerisce.
La rabbia, per esempio, non voleva essere tanto una narrazione di questo stato d’animo, ma della profonda derelizione a cui può andare incontro un individuo. Il protagonista, l’assassino, non è solo un rabbioso e un iracondo, ma è soprattutto un uomo che va alla deriva, che ha perso il contatto con ogni fonte di benessere. La sua è la storia di una caduta. Nell’Indagine sulla felicità la vera narrazione non riguarda la ricerca della felicità, ma gli effetti terrificanti e mostruosi che l’assenza della felicità riesce a produrre. Quindi diciamo che c’è in questo mio nuovo romanzo una sorta di teologia negativa: per dar risalto a qualcosa, si racconta il suo opposto o la sua assenza.
Nel prossimo testo [Spoiler]- visto che prima ho parlato di sudamericanizzazione è interessante anticiparlo – la scena si sposta oltre oceano, perché Morganti (come si legge nell’ultimo capitolo dell’Indagine) prende il volo e va a compiere finalmente la sua ricerca della felicità. Va in Argentina, a cercare di capire come mai certe cose nella sua vita siano andate storte.
Poiché viaggiando verso Occidente si va indietro nel tempo, ne approfitto per anticiparti che il tema del terzo e forse ultimo capitolo delle avventure di Morganti sarà proprio il vecchio e caro cronos. Ancora una volta, in direzione contraria e forse ostinata, scriverò mettendo in risalto che cosa accade quando il tempo che ci è stato donato ci viene sottratto. Forse da chi ha interesse a fare di noi degli automi incapaci di pensare, ma solo di lavorare e comprare, rubandoci la vita che abbiamo a disposizione, con tutti i suoi preziosissimi giorni, minuti e secondi? O forse anche da altro che si capirà leggendo.
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Tutte le volte che c’è uno scambio di email o qualche parola con Paolo, io ci immagino seduti a un tavolo con qualcosa di buono di bere davanti, uno di quei momenti in cui ti trovi al pomeriggio per un caffè e finisci a notte fonda, con un Negroni sul tavolo, a parlare come se non ci fosse un domani, passando dal meteo infausto a Heidegger come se ci fosse il migliore dei collegamenti tra i due. Paolo è capace di mettere insieme grandi pensieri e storie proprie coinvolgenti. Il suo ispettore Morganti mi piace e so che potrebbe essere una di quelle persone alle quali ho piacere di scrivere ogni tanto per sapere come va la vita o per avere consiglio per prendere una buona bottiglia di Barbera. Un libro come quello di Paolo – o due libri, contando il primo di questa serie che si intitola “La Rabbia” – non possono mancare sulla vostra libreria ma, soprattutto, dentro la vostra testa. Bravo, Paolo! Attendo con ansia la terza storia.
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