Incredibile: non avevo mai passato così tanto senza scrivere in tutta la mia vita. Questa cosa di contare il tempo senza fare qualcosa è nata – in me, dico – con il lockdown del 2020 e, a quel tempo, pensavo di aver raggiunto il mio limite umano di privazioni e cose simili. Poi si sono stati tutti i periodi senza fare molte cose. E di nuovo mi sono detta “Giovy, l’asticella si è alzata ma tu sei ancora qui“. Adesso è passato praticamente un mese e mezzo da che sono in ospedale e io mi dico che le asticelle del passato erano stuzzicadenti nel quadro temporale della mia vita. C’è chi dice che la vita di dà solo quello che riesci a sopportare. Allora io mi sono guadagnata il titolo di Jedi. Anzi del Jedi che insegna ai Jedi ad essere Jedi. Potrei essere Yoda ma non trovo assonanze tra il mio nome e quello. Sicché, chiamatemi Giovy One Kenobi.
Vi do qualche cenno
Scrivere – lo sapete – per me è essenziale e terapeutico. So dove parto ma non so dove arrivo e questo post non farà eccezione. Il fatto è questo: nel primo tempo in ospedale, proprio bene non stavo. Avevo di quella febbre che non la auguro a nessuno ed ero un’ameba soprattutto mentalmente. In ospedale sto sviluppano un senso di accettazione dell’attesa che mai avrei detto fosse da me. Ora sto fisicamente meglio. Ma devo ancora aspettare che sia il tempo giusto per uscire da qui. Che cosa ho? Si è trattato di un’infezione pesante della quale vi parlerò quando sarà tempo debito. Come dicevo nelle stories su Instagram, nulla di così cattivo o incurabile. La cosa non è stata facile da affrontare e la mia vita è stata sempre salva e salda, con tante botte lungo la strada. Non ero mai stata ricoverata in vita mia (fatta eccezione per quei due giorni in cui mi operarono alle tonsille a 5 anni ma, in quell’ospedale e al tempo, ci lavorava la mia mamma e lei restò con me. Sicché non fa testo) e, quando mi dissero che sarebbe successo, ero terrorizzata. Poi quel terrore è passato e ne sono arrivati altri. E sono passati anche quello fino all’ultimo di pochi giorni fa. Ho voglia di raccontarvi tutto per filo e per segno ma devo ancora pensare alla modalità giusta.
Ci riuscirò?
Oggi scrivo questo post perché mi mancava la sensazione della tastiera sotto le mie dita. Poco fa, prima di iniziare a scrivere, mi sono chiesta se ne fossi ancora in grado senza sbagliarmi. Le mie dita fuggono sulla tastiera manco fossi Bolt in una gara olimpica. E sono qui che vedo e sento ogni parte di me che mi sorride, a riconferma che un mese e mezzo di ospedale non ha tolto nulla alla mia essenza. Come vi raccontavo, sono stufa di tante cose: del cibo qui, dell’aria qui dentro, del sentore di medicinale ovunque, del dover sempre chiedere per cose banali. Ho perso di autonomia soprattutto negli ultimi 20 giorni o poco più perché non posso mettere i piedi giù dal letto e questo era uno dei miei terrori più grandi. Ho capito che posso farcela (o a doverlo fare) e sto trovando, anche in questo, il mio modo di essere autonoma. Come se dovessi mettere un tocco di Giovy in ogni cosa che faccio. Vi ricordate quando parlavo di andare in pezzi per poi ricostruirsi saldandosi con l’oro come le ceramiche giapponesi? Ecco, è successo almeno mille volte in questo periodo e, stando ai fatti, dovrei essere fatta d’oro dalla testa ai piedi.
Stay Human
In tutto questo c’è stata e ci sarà tanta umanità: del personale medico di ogni livello, con dovute eccezioni che si sono sempre. Magari potrei trasformare questa esperienza in un racconto, dove ci sarebbe anche la strega cattiva. Quello che penso ora è che ho trovato il mio modo di evadere da questa Azkaban che mi contiene ormai da così tanto tempo: ascolto la mia musica e, ora, ritorno a scrivere. Non so con che frequenza: l’ospedale è un posto imprevedibile in quanto a orari e attività. Ogni tanto qualcuno entra nella mia stanza e dice mi chiama per cognome (mi sembra di essere ritornata a scuola quando la prof ti chiamava per l’interrogazione). Io rispondo sempre “presente” e poi dico “cosa vinco sto giro?” riferendomi agli esami da fare o ai controlli da affrontare. Il fatto è che è tutto imprevedibile: scrivono le cose in cartella clinica ma non te le dicono. Forse perché questo effetto sorpresa è uno dei pochi diversivi nella giornata di molti pazienti. Ora che ci penso, è questo il senso.
Spend the day in bed (cit.Morrisey)
Per quel che mi riguarda, ho trovato il modo di lavorare anche dal letto: ho una sorta di postazione-ufficio non proprio comodissima. Non essere completamente dritta sulla tastiera ogni tanto mi fa scrivere cose strane ma voi mi volete bene lo stesso anche se faccio errori di battitura, vero? Vi racconto una cosa bella: giorni fa mi sono fatta portare un pezzo di pizza da mangiare a pranzo. Ho chiesto questa concessione ai medici visto che, da un mese e mezzo, è tutto quasi mono-gusto qui. Non vi dico la sensazione che ho provato. Una sensazione che è stata un regalo. Allora mi dico che il senso di tutto questo – oltre a rimettermi legittimamente in perfetta salute – sarà quello di provare quella sensazione di nuovo, per ogni cosa che farò uscita da qui: stare nella mia casa, dormire nel mio letto, guidare la mia auto, mangiare un gelato, guardare il cielo, toccare un albero, sentire il profumo di qualcosa che non sia un medicinale. Ci sono ricchezza e cose da imparare anche in mezzo a qualcosa come un ricovero lungo (che non auguro comunque a nessuno). C’è la vita lì fuori dove siete voi e io ho tutta l’intenzione di tornarla a mangiarla a morsi, come quelle pesche bianche che celebrano l’estate con il loro gusto e il loro profumo. Quelle che le mordi e ti sporchi tutta. Poi ti guardi e ridi e dici che quel morso è stata la cosa migliore di una giornata già bella.
Ecco, questo è il mio pensiero.
Vi ringrazio infinitamente per tutta la vicinanza di questo periodo…e quella di sempre ovviamente. Ci vedremo – e ve lo assicuro – fuori di qui. Quando tornerò ad avere dei capelli decenti (provate solo a immaginare i miei capelli dopo un mese e mezzo di ospedale e ridete con me, di me), a indossare le mie magliette e anche quelle gonne a fiori che fanno tanto estate. E anche i sandali. Per davvero. Sono io, sempre io, con l’aggiunta del potere Jedi. Chiamatemi Giovy One Kenobi,
La foto di copertina è © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Caspita mi spiace davvero. Sono sicura che ti riprenderai alla grande e scriverai ancora delle tue belle avventure.
Un grande abbraccio
E sarà così! Grazie per il tuo commento!
Anche nelle difficoltà sei sempre di grande ispirazione. A presto Giovy!
Grazie Marlene. I tuoi complimenti mi fanno sempre bene.
Ci rivedremo presto e sono certa sarai in grado di trarre tutto il buono di questa esperienza e farci qualcosa di speciale
Ci vedo del buono già ora.
Un abbraccio grande!! Forza forza!! 🍀♥️
Grazie Anna!
Giovy carissima non ne sapevo nulla! So da sempre che sei dotata di superpoteri e conoscenza infinita come Obi (ed hai una spada luminosa come Luke Skywalker capace di distruggere ogni avversità), ma un mese e mezzo di ospedale solo in pochi riescono a viverli con la sopportazione (ironia?) che trapela dalle tue parole.
Ora hai solo una missione da compiere: rimetterti in forma e in piedi quanto prima e tornare a farci sognare con le sue storie fatte di parole, emozioni e musica!
Un abbraccio forte!
Grazie Claudia e grazie davvero per la stima che hai per me e che si nota dal tuo commento.