
In questi giorni in cui sto vivendo al Grand Hotel Ospedale (lo chiamo ironicamente cos ma ciò non significa che tolga importanza a questo luogo, né a ciò che si fa qui dentro), mi sono resa conto di tante cose che mi mancano. Tra di esse c’è sicuramente l’aroma del mondo. Non parlo solo di profumo ma di tutto quell’insieme di suggestioni odorose che ci arrivano inconsapevolmente addosso mentre viviamo nel mondo. Non importa che si tratti di un momento di viaggio straordinario o della nostra vita ordinario: siamo tutti avvolti in aromi, a volte piacevoli e a volte anche meno. L’ospedale è un po’ asettico da questo punto di vista, con le dovute eccezioni come i medicinali, il sentore di disinfettante o qualche odorino non proprio piacevole che si sente ogni tanto. Mi manca proprio il fatto di percepire il mondo con l’olfatto. Mi vengono in mente quei giorni in cui raggiungo un posto di mare e sento il mare nell’aria. Oppure lo stesso accade in montagna. Mi viene in mente il sentore di bosco: un aroma che io amo alla follia. Ma c’è anche quello della terra, magari dopo una giornata calda. Ne potrei citare a mille. C’è, in rete, chi è più bravo con me nel raccontare i profumi e gli aromi dei posti. A modo mio, oggi, lo faccio anch’io.
Aroma: parole non dette, sensazioni splendidamente raccontate

L’aroma ben si presta a un qualcosa che amo molto e che tocca i campi della linguistica e della semantica. C’è una figura retorica che solitamente viene spiegata a scuola quando si studia o si legge Baudelaire. Si tratta della sinestesia. Perdonate per questa digressione linguistica che sta per diventare uno dei miei soliti spiegoni, Ne ho bisogno, in questo periodo in cui le uniche parole su cui ragiono sono i nomi dei medicinali (chi caspita li inventa!?!?). Percepire il mondo tramite il suo aroma è una perfetta sinestesia. Cercano sulla Treccani il significato di “sinestesia“, ho scoperto che c’è anche un uso medico di questo termine ma il cielo me ne scampi. La sinestesia centro del mio spiegone è quella quella figura retorica che identifica – cito la Treccani – “… particolare tipo di metafora per cui si uniscono in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse.” Un po’ come dire che “voce oscura”. Oscuro è un aggettivo che si solito si percepisce con la vista e non con l’udito. Ecco, quando parlo di descrivere il mondo per aromi, è come se tutto diventasse una perfetta sinestesia. Perché l’Umbria è gialla, il Monte San Gottardo è formaggio e l’Appennino Reggiano sa di terra umida. Ma io non mi sono mai chinata a terra per mangiare la terra da quelle parti. È tutto un gioco mentale e io ne vado pazza.
Le stazioni della Mittleuropa sono un pezzo di pane da mordere

Non prendetemi per matta. Ci sono certe stazioni che, per me avranno sempre l’aroma dell’acciaio e del ferro ma le stazioni ferroviarie della Mittleuropa sanno di pane. Sono pane che ti accoglie, soprattutto quando arrivi di prima mattina a prendere un treno che ti porti chissà dove. Immagino sempre una scena: io, zaino, neve fuori. Entro in stazione e lì sento pane, caffè, voglia di iniziare la giornata. Questa è l’accoglienza che tante stazioni, non importa quanto piccole, di luoghi come Austria, Germania e Svizzera (ecco perché ho usato il termine Mitteleuropa) mi hanno spesso riservato. Le stazioni, si sa, non sono quasi mai il luogo più pulito che ci sia ma io le abbino a quel sentore di pane, quello che si prova quando lo avvicini alla bocca e, per un istante, conquista prima il tuo olfatto e poi il gusto. La stazione è pane. La stazione è un non-luogo essenziale.
Il lungomare de La Candelaria è un churro caldo intinto nel cioccolato
Tenerife è davvero portatrice, per me, di aromi, odori e sinestesie. Quel blu dell’oceano avvolge tutto e si riflette in ogni cosa possibile e così resterà sempre per me. Ci sono anche delle sinestesie temporanee che ci permettono di cogliere il mondo. Era una domenica di gennaro l’ultima volta che sono stata in giro per La Candelaria, a Tenerife. Sometimes it rains in Tenerife, potrebbe essere stato il sottotitolo di quella giornata e il cielo sopra La Candelaria alternava pioggia e sole in un modo tutto suo. Io arrivavo dritta dalla festa del mio compleanno, con una gonna che adoro e vestita quasi da persona normale. Si camminava, in compagnia di amici, sul lungo mare. L‘aroma di sale che arrivava dalle infrangersi delle onde poco poteva contro quello di un chiosco di churros lì vicino. Quel sentore di fritto era diverso da qualunque altro fritto del mondo. Era il racconto di quel pomeriggio a La Candelaria. Mi sono avvicinata al chiosco per chiedere se vendessero anche dell’acqua. Nel frattempo, mi hanno chiesto se volessi dei churros. Non è stato facile dire di no. Se li avessi presi, so che grazie a loro avrei morso l’isola più che mai.
E poi c’è l’Umbria che sa di estate, ed è gialla e verde come pochi altri posti
Quella che vedete è una delle prime foto che ho scattato a La Fortezza Alta, in Umbria, ancora prima di comprendere quanto quel luogo sarebbe stato casa per me e quanto io faccia parte di quel posto. Era il luglio del 2020 e io arrivavo lì per la prima volta in una giornata calda che, improvvisamente, è stata spezzata da un temporale. Dopo questo temporale io ho sentito l’odore di quella terra ed era giallo, verde, forte, e si fondeva con qualcosa di dolce dato da quell’arcobaleno all’orizzonte. Lì ho sentito l’estate dentro di me. Non col sentore di crema solare e mare al quale molti abbinano la stagione ma con l’aroma della terra bagnata e di tutta quella natura risvegliata da quel temporale che da aroma si è fatta energia, si è fatta racconto e si è fatta casa. Mi commuovo a scrivere questo perché ora darei il cuore per un momento così ma so che tornerà. So che tornerò, lì, nel mia casa-fuori-casa, a fotografare albe. A nutrirmi di esse e di quell’aroma di terra che solo lì ho sentito.
L’Appennino Tosco-Emiliano è farinoso e avvolgete come una castagna

Vi confesso una cosa: a me non piacciono le castagne. Ne mangio giusto un paio e poi sono a posto. Però dentro quei pochi morsi mi porto dentro davvero tanta roba. Aveva ragione Proust con la sua madeleine. Se c’è un luogo che, per me, è rappresenta puramente l’aroma di castagna, quello è l’Appennino Tosco-Emiliano, anche in stagioni diverse dall’autunno. La terra sotto un castagno ha sempre il sentore di quell’albero, non so come spiegare. Avvolge, ti tiene lì, si fa percepire proprio per raccontarti la forza di un luogo che ha tanto da dire. In ogni momento dell’anno.
La Val di Cembra è nettare d’uva
La Val di Cembra è una delle tre valli scavate dall’Avisio, in Trentino, e si trova alla fine del percorso del fiume, dopo la Val di Fassa e la Val di Fiemme. La Val di Cembra è casa di grandi vini trentini e di viticoltori eccezionali, gente capace di racchiudere tutto il racconto della propria terra in un bicchiere che sarà solo nettare da degustare ma sarà una vera e propria esperienza da vivere. Io sono di parte, lo so, ma non smetterò mai di tessere le lodi di un luogo così. La sinestesia che riguarda la Val di Cembra è un qualcosa capace di portare il gusto del nettare di quel luogo dentro la nostra memoria al primo semplice sguardo alla valle. Basta percorrere la statale che, da Lavis, sale verso Cembra. Tempo di un paio di tornanti al massimo, la Valle si apre davanti agli occhi di ogni viaggiatore. Per fortuna, lì c’è un posto panoramico per guardare la meraviglia di muretti a secco e vigne che formano questa valle (se mettessimo in fila quei muretti, ne verrebbero fuori ben 708 km lineari), La Val di Cembra di inizia ad assaggiare lì.
Oggi ho davvero una richiesta per voi: mi raccontate l’aroma di un luogo che amate o che vi ha colpiti?
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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