Nuntio vobis gaudium magnum: per una volta non sarà la mia voce a lodare Manchester e tutto quello che ha donato all’umanità! Oggi intervisto con molto piacere Giuseppina Borghese. Lei ha scritto un libro che si intitola “A Manchester con gli Smiths“ e, non appena è uscito, l’ho comprato per divorarlo in un giorno. Di quel libro ho amato tutto… ma ve ne parlo dopo. Ho pensato bene di intervistare Giuseppina perché mi piace che siano altre voci a raccontare posti che amo tanto. Manchester per me è amore puro e lo sapete. È stato bello e, allo stesso tempo, curioso ritrovare molte delle opinioni che ho sulla città nella parole di una persona che, fisicamente, non conosco ma con la quale potrei parlare per ore. Pronti per fare un giro musicale a Manchester?

Ciao Giuseppina, raccontaci in poche parole chi sei.
Penso che presentare se stessi sia una delle cose più complicate nella vita. Potrei dire che sono una giornalista culturale, scrivo di viaggi e curo la comunicazione di alcune compagnie teatrali.
Hai scritto un libro che si chiama “A Manchester con gli Smiths”. Come nasce il tuo libro?
Il libro è nato in modo molto spontaneo. L’anno scorso, per caso, ho scoperto l’esistenza di un evento chiamato “Moz Army Meet”: fan degli Smiths e di Morrissey – provenienti da tutte le latitudini – si riuniscono a Manchester per un fine settimana di concerti, incontri e altre attività simili. Tutto questo nell’ultimo fine settimana di aprile. Mi sono chiesta perché in tutti questi anni di amore profondo per gli Smiths non abbia mai immaginato di fare un viaggio a Manchester. Nel giro di poche ore ho fatto un biglietto e sono finita in una città dalla quale non mi sarei aspettata niente di più di un concerto carino. Quello che ho trovato mi ha molto sorpresa. C’è uno strano legame tra presente e passato a Manchester, nella sua architettura, nella sua gente. Ho immaginato una mappa personale della città, sulle tracce degli Smiths. A quel punto, la collana Passaggi di dogana di Giulio Perrone Editore, sarebbe stata la cornice ideale per questo viaggio, così è nato il libro.
Il tuo libro poggia molto sulla musica Made in Manchester: secondo te, come mai tanta musica da una sola città?
Quando a Liam Gallagher chiedevano perché questa piccola città industriale fosse così ricca di talenti musicali rispondeva: “Non ne ho idea, è così e basta”. E, in effetti, se si pensa alla produzione musicale che viene da Manchester – Joy Divison, The Fall, Happy Mondays, Oasis – viene automatico chiedersi quale sia la ragione di questo intenso rapporto della città con la musica. A partire dalla fine degli anni Settanta, Manchester ha sviluppato due anime, una austera e dimessa di giorno, nelle sue fabbriche, nei suoi uffici, l’anima degli “uomini fiammifero” di Lowry, e una elettrica, imprendibile, quella dei suoi musicisti e di tutta la scena che si è sviluppata intorno. Essere minoranza è il valore condiviso, che è poi la base da cui nasce e si sviluppa ogni controcultura. Credo che il dissenso politico sia stata una delle caratteristiche più forti di questa città e la musica è stata forse lo strumento più diretto con cui esprimerlo.
Questo è in blog di viaggi e il cielo solo sa quanto io abbia scritto di Manchester: ci racconti 3 luoghi che ti hanno colpito e ci spieghi perché?
Come molte città anglosassoni, Manchester offre un safari urbano molto interessante. “Qui, le attrazioni sono le persone e non i monumenti” è una frase che mi è stata detta da qualcuno delle tante persone che ho incontrato a Manchester nel primo dei tre viaggi che ho fatto. Ed è esattamente così. Quanto ai luoghi, direi: First Street, statua di Engels sovietica, scaraventata nel cuore di una città “nuova”, completamente scollata dal senso del contemporaneo: Engels appare fuori luogo e – a seconda della prospettiva dalla quale lo si guardi – potrebbe essere arrabbiato o depresso. Il Salford Lads Club è stato una tappa molto bella, ma ciò che porterò sempre con me di quella visita è stato l’attraversamento di un sottopassaggio in quei pressi in un giorno di pioggia feroce. La pozzanghera che si era creata nel piccolo tunnel era molto profonda e il vento forte e obliquo creava delle increspature ipnotiche sulla superficie dell’acqua: una visone urbana che mi ha sinceramente stregata, come tutta l’architettura industriale che caratterizza Salford; La Chetam’s Library, un luogo meraviglioso e romantico per due ragioni: esteticamente (un edificio del 1400 sopravvissuto ai bombardamenti della seconda guerra mondiale), ma soprattutto la più antica biblioteca di consultazione pubblica del mondo anglosassone e la prima scuola di musica della città di Manchester. Un luogo che è stato sostegno e conforto proprio per le persone meno abbienti.
C’è qualche posto nel mondo che paragoneresti a Manchester? E perché?
Il mio viaggio ha inizio, spiritualmente, da Messina. Era il 2005, quando ho ricevuto in regalo l’album The Queen Is Dead e ho scoperto, così, gli Smiths. I miei ascolti di quell’album erano legati al paesaggio che vedevo dalla camera della casa in cui vivevo a quel tempo. Lo Stretto di Messina è stato, per molto tempo, la trasposizione visiva della musica degli Smiths e degli umori, delle indisposizioni della città dalla quale nasceva quella musica. Sarà l’aria del porto, della sua gente all’apparenza rude ma dopotutto molto accogliente, ma se passeggio per Manchester, da qualche parte, a un certo punto, sento che mi ritroverò a Messina. So che si tratta di una considerazione audace, ma sto parlando con una grande conoscitrice di quella città del nord ovest dell’Inghilterra, sento che puoi capirmi.
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Quando ho aperto le prime pagine del libro di Giuseppina ho sorriso per una vicenda che le è capitata (niente spoiler: leggete il ibro) e che a me è successa, in modo un po’ diverso, con un altro protagonista della musica di Manchester. Un po’ come dire che cambiando la posizione degli addendi, il risultato non cambia. Manchester è così: come una persona che ti sorprende e che ti lascia un sorriso stampato in faccia per tutta la giornata, così, semplicemente perché esiste. Nel libro di Giuseppina mi ci sono ritrovata totalmente: mentre lo leggevo e vedevo luoghi da me tanto amati citati con tanta correttezza e voglia di raccontarli, mi sono detta di essere felice che qualcuno, che non fossi io, avesse parole simili per una città come Manchester. Giuseppina prima ha riportato una frase che le hanno detto su Manchester: lì non ci vai per i monumenti ma per le persone. Ed è proprio così. Mentre stavo per volare là a dicembre, ho detto una cosa simile a due persone che mi avevano detto di aver tratto ispirazione dal mio blog per esplorare Manchester. Ritrovare quel pensiero anche nel libro di Giuseppina è stato un bel regalo. Quel libro è un bel regalo da farsi se amate la musica (anche se non siete fan degli Smiths) e volete capire un po’ di più di una città che è troppo spesso (ancora) vittima di tanti pregiudizi. Il libro è davvero ben scritto e merita tutta la vostra attenzione, così come la meritano le presentazioni che si stanno svolgendo in tutta Italia (tenete d’occhio il profilo Instagram di Giusy). Mi viene da dire che quello sia un libro scritto col cuore, perché Manchester è una città che stimola testa, cuore e anima e Giusy l’ha capito perfettamente. Brava, davvero, e grazie per aver capito così bene Manchester e averla raccontata in modo perfetto. Un libro così mi ha reso davvero felice.
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Sto leggendo il libro ora e mi sta piacendo tantissimo. Un pezzettino in più per farmi venire sempre più voglia di passeggiare per Manchester a fine aprile (purtroppo proprio il fine settimana prima del Moz Army Meet 🙁
Torno anch’io a Manchester in aprile e non vedo l’ora.
Il libro ti piacerà sicuramente, Elena. Non ho dubbi.