
Mercoledì scorso, appena arrivata a Manchester, ogni parte del mio essere rideva: dall’anima fino ad arrivare a quelle parti fisiche che è meglio non nominare. Non sarebbe bello. Detto ciò, avevo fame (sono atterrata ad ora di pranzo) e ho pensato di camminare verso la Pollen Bakery, un luogo a cui voglio bene e dove ci si può volere proprio bene. Faceva freddo, il primo freddo sulla faccia da non so quanto tempo. Ero felice e sento ancora ora quella felicità, mentre scrivo. Mentre sento che quella città è sempre in me. Mentre mi rendo conto che, ritrovarla, è come ritrovare uno dei miei amori In der Ferne. Nota per me stessa: aggiornare quella lista scritta un bel po’ di tempo fa. Ero lì, camminavo per New Islington con gli occhi pieni di meraviglia quando, da una finestra qualunque (quella di un folle che la teneva aperta malgrado fossimo sotto zero) è uscita la voce di Liam Gallagher, pronto a cantare Too Good For Giving up. Lì mi sono seduta e ho pianto.
Hai pianto? Sai che novità!
Già, ho pianto. Non fa notizia: io piango per tutto e mi commuovo per tante cose. Anni fa, mi sembrava un atteggiamento di cui non andare proprio fieri ma oggi sono più felice che mai del mio essere come una foglia sull’albero: salda finché c’è bisogno d’esserlo e capace, allo stesso tempo, di vibrare al tocco del vento. Io vibro al tocco della vita, del mondo e della sua bellezza. New Islington è uno di quei luoghi in cui, se fossi ricca, mi comprerei una casa con le vetrate enormi e mi metterei lì a guardare fuori. E poi uscirei fuori e mi siederei esattamente dove mi sono seduta l’altra giorno, in una di quelle moderne panchine di legno… che lì ci stanno molto bene ma che, ovunque altro, sarebbero troppo moderne, troppo avanti nel tempo. A New Islington no. La panchina era proprio sotto le finestre da cui uscivano la musica e la voce di Liam Gallagher e io stavo lì ad ascoltare. Che figo, mi sono detta, ascolto Liam in quel di Manchester. Il miglior benvenuto di sempre. Anche se io sono da sempre #TeamNoel. Non ditelo a Liam, però! Quella sua canzone ha avuto molto senso per me fin dal primo ascolto. Ma lì ha iniziato a parlarmi, oltre che a farsi ascoltare.
Take a step, watch the ground
Rise to meet your feet somehow
When all that you are just ain’t enough
The universe will provide
A guiding hand, a crack of light
You’re too good for giving up
Talmente tanta luce…
Oh cazzo, sto piangendo. Ero lì con la faccia fredda, malgrado la sciarpa, con le lacrime che venivano giù su delle guance così rosse che Heidi, per davvero, scansati. Mi guardavo attorno quasi con l’intento di non farmi vedere e poi mi sono detta che non me ne sarebbe fregato nulla, che quella ero io, io a Manchester. Io e Manchester. Era una prova – anche se non ce n’era di certo bisogno – dell’amore che ci lega. C’era un cielo così azzurro da dover inventare una nuova codifica Pantone. C’era una luce che avrebbe fatto da scuola a ogni maestro del Rinascimento e, ancora oltre, arrivando fino agli Impressionisti. Avrei voluto vederlo io Monet lì col cavalletto, a dipingere il panorama nel punto in cui New Islington si fonde con Ancoats. E con me nel mezzo. In mezzo a quella bellezza, a quell’amore, a quella città che mi entra nell’anima come nessun altro posto al mondo. La voce di Liam continuava a cantare e io pensavo a quanto caspita è stato duro questo 2022. E poi mi dicevo “no, Giovy, non dirlo ora che mancano ancora un tot di giorni“. Ma poi anche ‘sti cazzi… lo dico e basta.
ἀλγηδών

Pensavo al dolore – fisico – provato. La mia mano sinistra inesorabilmente si è messa ad accarezzare il ginocchio sinistro, quasi come volesse consolarlo. Nei giorni scorsi, dato il freddo presumo, sentivo ancora di più quella maledetta botta e mi rivedevo, quasi come fosse un film, nello zoppicare o non essere nemmeno in grado di infilarmi un paio di pantaloni dal male. E poi, inesorabilmente, i miei occhi si sono messi a fissare il mio piede destro – il piede matto – e lì sono partita a piangere ancora di più, pensando alle sei settimane di medicine che mi hanno distrutta, a quei “non posso, non sto in piedi” che continuavo a dire e a scrivere a tutti. Sono sempre stata leggera sui miei racconti su quei giorni ma, ve lo assicuro, è stato a livello di salute il momento più difficile che io abbia vissuto finora. Poi, come se fosse un gesto automatico, la mano destra si è posata dove il trigemino si fa sentire e ho pensato a quei giorni di gennaio in cui quel nervo maledetto mi ha paralizzato mezza faccia dal male. E di nuovo è stato il turno consolatorio della mano sinistra, che va a toccare Goldfinger… ve lo ricordate? Ecco, lo tengo buono a suon di arnica ma non sempre ci riesco. Nello scrivere questo, mi sento fortunata ma è stata durissima. Alanis Morrisette direbbe “isn’t it ironic, don’t you think?!” perché, nel bel mezzo di una felicità crescente, io soffrivo fisicamente e mentalmente ne ho patito tantissimo.
Con le mani al freddo

Mentre ero lì a New Islington che piangevo, la canzone di Liam Gallagher mi era entrata in testa e continuava a girare. Sentivo il sole di dicembre, timido ma presente, che voleva scaldarmi un attimo il volto. Avevo le mani infilate nei guanti e mi sentivo impedita anche a scattare una foto. Vi confesso una cosa: io ho le mani piccolissime e i guanti da donna mi sono grandi. Ho dei guanti adatti all’uso del touch screen ma il mio dito indice non arriva in fondo. Sembra che il mondo non voglia barriere tra sé e le mie mani. Impedita come non mai, ho cercato il testo della canzone su Google (togliendomi i guanti, ovviamente e facendo sì che le mie mani diventassero viola) e questa diceva
Look how far you’ve come
Stronger than the damage done
Step out of the darkness unafraid
Remember you belong
Here as much as anyone
Even when you’re just about to break
Uno strano mix

Mi sono chiesta come si riesca a mescolare in modo così potente felicità e dolore. Come si inseriscano l’una sull’altra la felicità e sensazione di non farcela. Come si possa essere pieni d’amore, rendendosene conto alla grande, e lasciare comunque che, vicino a te, si sieda a volte la difficoltà più grande. Forse il segreto sta tutto nel fatto che due forze di segno opposto si bilanciano. Come diciamo in Veneto, un alto e un basso fa un gualivo. E in quel gualivo io ci ballo, canto, scrivo, vivo, amo, rido e ne faccio un capolavoro. Avete appena letto il riassunto di dieci minuti di vita nella mia mente, mentre ero seduta su di una panchina di New Islington, nel nord di Manchester, in un freddo pomeriggio di dicembre. Ah, dimenticavo: grazie per quella canzone Liam e grazie a chi abitava in quella casa per aver aperto la finestra al mio passaggio.
La foto di New Islington è © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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