Perché ho messo una foto della Regina Vittoria come copertina di questo post? Perché oggi si parla di Epoca Vittoriana. Non vi preoccupate: non sto preparando ore di spiegone storico, benché io ne abbia una voglia matta. Gironzolando in rete, la mia strada ha incrociato per caso quella di Laura Bartoli. Ho chiesto a lei di raccontarsi e definirsi e, ovviamente, di parlarci di cosa l’ha portata a parlare di Epoca Vittoriana sui social. Come ho detto tante volte, i social sono un contenitore splendido che, spesso (troppo spesso), viene ridotto ai minimi termini per il contenuto che si propone. Non è il caso di Laura: lei è competente e anche molto brava nel creare il contenuto che propone. So che molti di voi, proprio come me e Laura, amano la Gran Bretagna come se non ci fosse un domani. Ecco, dovreste seguire Laura e oggi capirete il perché.
Ciao Laura, raccontaci in poche parole chi sei.
Ciao, buongiorno. Innanzi tutto, grazie mille per questa ospitata sul tuo blog. Per raccontarti chi sono, posso dirti che sono una professionista della comunicazione digitale (credo di fare più o meno il tuo lavoro) e sono responsabile marketing di una digital agency piuttosto grande, che si trova nelle Marche. Quella è la mia professione perché la mia vocazione è ciò che mostro sui social e che riguarda il mondo vittoriano, l’universo britannico e, in particolare, l’Ottocento. Tutto nasce dal mio amore per Dickens. Generalmente, mi definiscono divulgatrice. Ho deciso, a un certo punto, di accettare e abbracciare questa definizione. Quindi la risposta alla tua domanda è che sono una divulgatrice specializzata nell’Ottocento inglese.
Tu sei specializzata in tutto ciò che riguarda il periodo vittoriano: com’è nato questo amore e come ti sei formata a livello di studi?
Che cosa ho studiato per fare quello che faccio è una domanda che mi pongono molto spesso sui social e tutti si aspettano sempre una risposta tipo “ho studiato lingue e letteratura inglese” ma non è affatto così perché ho un background accademico che non ha nulla a che vedere con la letteratura o con la cultura. Ho studiato in Bocconi, seguendo un corso in ambito di Economia aziendale e poi ho studiato a Manchester e ottenuto là il mio master in Innovation management and Enterpreneurship: un background molto diverso dalla passione per l’universo britannico. Sono stata impressionata dalla prima biografia che ho letto su Dickens perché ho avuto l’impressione di avere tra le mani non la biografia di uno scrittore ma quella di un imprenditore. È difficile riassumere in poche righe quanto Dickens abbia fatto per la letteratura. Molte delle modalità con cui viviamo la lettura e arti come la musica derivano da trovate (di marketing) di Charles Dickens. Per essere uno scrittore di professione significava trovare il modo per riuscire a guadagnare dalla scrittura. Un po’ il grande problema che si ha anche oggi. Tutto è partito da un’esigenza molto moderna per trovare poi delle soluzioni altrettanto moderne. È nato da lì il mio interesse per Dickens, autore che poi ho iniziato a tradurre. Questo è un grande riassunto di ciò che è successo e, piano piano, lavorando all’epistolario di Dickens per tanti anni (4 anni) ho fatto tante ricerche che mi hanno permesso di approfondire la vita di una persona nell’epoca vittoriana, a livello generale. Dickens era famoso e aveva una vita da superstar ma, nella sua quotidianità, era un Vittoriano come tutti gli altri.
Come mai, secondo te, certi periodi della storia inglese (Regency, Vittoriano, Edwardiano e Georgiano) trovano tanto interesse verso chi legge o guarda serie tv?
Credo che l’Epoca Vittoriana, che è quella di mia competenza, ci risulti sufficientemente lontana ma anche sufficientemente vicina. Dal mio punto di vista, nonostante io abbia una sensibilità storica (quando tengo in mano un oggetto antico ne percepisco l’anima, quella vibrazione che trasmette), quando mi trovo di fronte a un qualcosa che, per esempio, arriva dall’Antica Roma, non provo la stessa emozione che mi dà un oggetto dell’Epoca Vittoriana. Questo perché vedo l’Antica Roma molto distante da me (è solo un fatto personale) mentre vedo l’Epoca Vittoriana sufficientemente vicina da rivedermici. Riesco a confrontarmi con quell’epoca. Riesco a confrontare il nostro modo di vivere con il loro che, allo stesso tempo, ha quel fascino del passato, di qualcosa che rischia di andare perduto. Credo, poi, che l’Epoca Vittoriana si porti dietro tanti contrasti che la rendono estremamente affascinante. Da un lato abbiamo questa visione dei Vittoriani come dei puritani, casti ma sappiamo benissimo non era così. La società vittoriana, in generale, era la società dei tanti poli opposti e questo la rende, a modo suo, indimenticabile. Pensiamo, da un lato, alle atmosfere romantiche dei grandi romanzi e delle loro storie d’amore e, dall’altro, abbiamo quel mondo gotico che spesso viene associato all’immaginario del Vittoriano. Credo che siano tutte queste sfaccettature a rendere molto affascinante l’Epoca Vittoriana e a renderla molto adatta a essere portata al grande o piccolo schermo.

Qual è l’aneddoto o la storia che più ami del periodo vittoriano e perché?
Più che un aneddoto o una storia mi piacerebbe riferirmi a un fenomeno sociale che era quello dei club vittoriani. Queste realtà, secondo me, sono esteticamente impressionanti e ci raccontano tantissimo dell’epoca vittoriana. Oltre a questo, i club ci parlano degli uomini che, in qualche modo, volevano scappare da una realtà domestica che non era sempre come la desideravano. Alla nascita dei club per uomini dobbiamo accostare la comparsa dei club di donne proprio in risposta alla realtà maschile. Anche le donne hanno voluto crearsi il loro mondo. Questi luoghi ci raccontano, poi, la tipologia dell’interazione sociale vittoriana per antonomasia: luoghi codificati, in cui non si poteva parlare di lavoro perché erano posti adibiti soltanto allo scambio sociale, luoghi esclusivi nei quali si poteva entrare soltanto su invito. I club nacquero per rendere accessibile la ricchezza anche a chi non si poteva permettere un certo tipo di sfarzo, benché non fosse un poveraccio. Essi presero vita principalmente perché la classe media potesse godersi un luogo di sfarzo e di ricchezza. Era un po’ come fare una colletta per riuscire a creare un lusso fruibile a tutti i membri. Ho dedicato tre video – sul mio canale YouTube – proprio a questo tema dei club che è molto ampio e che trovo estremamente affascinante e rappresentativo della società vittoriana.

Questo è un blog di viaggi e ti chiedo quali sono 3 posti che ti sono rimasti impressi e perché.
Come primo luogo mi ricollego alla mia risposta precedente parlandoti di un club: il Reform Club di Londra. È uno dei club più esclusivi in epoca vittoriana ed esiste tutt’ora, anche se segue dinamiche sociali un po’ diverse perché si è dovuto adattare a una modalità di interazione diversa tra le persone ma continua a rispettare molti dei canoni di allora. Il Reform club non è visitabile e mi dispiace, dato che questo è un blog di viaggi, citare un luogo privato però vi invito a cercare delle foto sul web perché è un luogo spettacolare. Io ho avuto la fortuna di poter accedere per ragioni di ricerca legate all’Epistolario di Dickens. È davvero spettacolare. Quello che hanno di bello questi club, quando li si vede dal vivo (vale anche per il Garrick Club), è la distribuzione degli spazi. Osservandola si capisce un po’ come venivano intese le interazioni: l’arredamento, com’erano disposte le sedie, i tavoli e via dicendo. Nei club più importanti è rimasto tutto pressoché intatto, da quel punto di vista. Il Reform Club si porta dietro un altro elemento molto interessante della società vittoriana: la cucina. Questo club aveva assunto Alexis Soyer, uno degli chef più celebri del tempo. Pensate che, tanta era la sua celebrità, che la cucina del Reform Club veniva aperta per visite guidate. Mi sarebbe sicuramente piaciuto molto.
Il secondo luogo, non è un posto preciso, ma una città intera: Rochester. Essa rappresenta una parte importantissima della vita di Charles Dickens. Si trovano riferimenti allo scrittore praticamente in tutta la città e lì si trova anche Gadshill, l’ultima dimora di Dickens, che oggi è visitabile soltanto alcuni giorni dell’anno. O, per lo meno, era così prima della pandemia. Vederla dentro è davvero emozionante perché si possono riconoscere diverse ambientazioni che magari abbiamo visto illustrazioni, ritratti di Dickens e ci racconta la quotidianità dello scrittore nonostante non sia adibita a museo come il Dickens Museum di Londra, che vi consiglio altrettanto di visitare.
Il terzo luogo è prigione di Newgate, a Londra: luogo che, di per sé, non esiste più. Ne si trova solo una piccola parte nei sotterranei di una taverna (in quello che è il magazzino) che ora occupa in parte la location della prigione. Il luogo è visitabile ma occorre entrare nella taverna e chiedere allo staff di vedere le celle. Loro capiranno la richiesta e ti porteranno al di sotto, dove ora ci sono dei magazzini per i prodotti usati nella taverna. La location può non sembrare così romantica o evocativa ma lo diventa non appena si entra in una cella. Non aggiungo altro: quando vedrete, capirete. Si tratta di un luogo nascosto che smentisce il fatto che la prigione di Newgate non esista più.
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Quando penso all’Epoca Vittoriana, la mia mente corre a Dickens, a Elizabeth Gaskell e fa dei voli pindarici sopra il Galles o sopra tutti quei luoghi in cui quel momento storico ha lasciato un sacco di segni. Come Bristol, il cui famoso ponte è ritratto nella foto qui sopra. Ho trovato resti dell’Epoca Vittoriana a Vancouver e anche sperduta sulle Highlands: a chi dobbiamo, secondo voi, il Viadotto di Glenfinnan? Ho incrociato Laura per caso sui social e i suoi contenuti mi sono subito piaciuti tanto. Ora, togliete il fatto che la Gran Bretagna mi appassioni così tanto già di mio. Avevo voglia di intervistare Laura soprattutto per porre l’accento su quel binomio fatto di passione e competenza di cui troppo spesso ci si dimentica. Siamo portati a pensare che la competenza sia pari al numerone di follower che ci portiamo dietro. Laura ha un buon numero di follower (oltre 12k, su Instagram, per esempio) e la sua è competenza reale, che sarebbe tale anche senza quel numero. I social sono spesso uno specchietto per le allodole e lo dico con piena cognizione di causa, proprio perché ci lavoro dentro tutti i giorni. Essere un content creator si porta spesso dietro una porzione di responsabilità che la gente tende a dimenticare: ciò che crei, ciò che divulghi ha un impatto e viene assorbito da chi ti ascolta. Laura è una di quelle persone che andrebbero moltiplicate e sparse per la rete: non tanto per l’argomento (che per me è geniale) ma per la capacità di raccontarlo e la serietà delle informazioni passate a chi la ascolta. Io le auguro di continuare a divulgare alla grande!
Le foto senza caption sono © Giovy Malfiori e Laura Bartoli – riproduzione vietata.
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