
Inizio questo post con una domanda all’intervistata: Silvia, ma non potevi mica scriverlo prima ‘sto libro? Scherzi a parte, sono convinta che chiunque stia leggendo questo post (compresa me, che lo sto scrivendo) sia passato almeno una volta attraverso una storia d’amore disastrosa, di quelle che – purtroppo – fanno male ma che, se superate correttamente, fortificano e rendono “più noi“. Avete presente? Non ho mai invidiato quelli che stanno, per tutta la vita, con gli amori dell’adolescenza. A meno che non ci tornino dopo anni, dopo aver vissuto e con la mente pronta a capire come e cosa scegliere. Tipo quello che accade nei film di Natale americani, dove lei è super-mega in carriera, torna nel paesino natale e si rimette col tipo che le aveva spezzato il cuore a 16 anni. Circa. Detto ciò, siamo qui oggi per parlare di amore e lo facciamo con Silvia Tizzoni, psicologa piacentina, non nuova alle pagine di questo blog. L’avevo già intervistata per un suo precedente libro. Perché ho deciso di intervistarla nuovamente? Perché ora esce un libro che tutti – a prescindere dal genere e dalle preferenze sentimentali – dovremmo leggere, tenere sulla libreria nello scaffale delle cose importanti e, perché no, regalare a tutti. Si intitola Pensavo fosse amore e invece era un disastro.
Ciao Silvia, non sei nuova su questo blog. Ci dici in poche parole chi sei e come mai torni su queste pagine?
Sono Silvia Tizzoni, classe 1979, psicologa, psicoterapeuta e mediatrice familiare. Ho uno studio privato a Piacenza dove ricevo perlopiù giovani adulti in terapia individuale, ma anche coppie, famiglie e nell’era post pandemica è aumentato a dismisura il numero degli adolescenti. Il sintomo che spesso mi viene portato in terapia, talora anche con una certa urgenza, è semplicemente una ‘spia che si è accesa’, o perlomeno a me piace vederlo così: lavoro soprattutto sulle situazioni contestuali che lo hanno generato e sugli equilibri relazionali che lo vanno ad alimentare.
Ho una casa colorata, piena di cose, amo circondarmi di stoffe, cuscini, fotografie e di tutto quello che ha fatto parte della vita che ho vissuto finora! Mi piace moltissimo viaggiare, scoprire posti nuovi e stare in mezzo alla gente, ma mi delizia anche ritagliarmi degli ‘angolini’ al calduccio tutti per me, soprattutto in queste sere autunnali, magari con un buon libro o una bella serie TV. Adoro essere di nuovo qui con te e raccontarti qualcosa di nuovo che ho fatto, costruendolo pezzo dopo pezzo, nell’arco di quest’anno, che pure per me è stato un po’ tribolato!
Il tuo libro parla di una relazione con un narcisista: perché, secondo te, prima o poi ci caschiamo tutte?
NON HO MAI INCONTRATO NESSUNO COME TE!
VORREI CHE IL TEMPO TRASCORSO INSIEME A TE NON FINISSE MAI!
Dai, alzi la mano chi non si è mai sentita dire una qualche frase del genere. E lì in mezzo c’è tutto il nostro amor proprio, la nostra bellezza di femmine/prede, la nostra autostima! Ci sentiamo ‘viste’, protette, amate come mai ci era successo prima. Non ci fa preoccupare il fatto che accada in fretta (mhm, già, un po’ troppo in fretta…), pensiamo che LUI sia semplicemente quello giusto (succede continuamente nei film, perché non dovrebbe succedere anche a noi?!). E così le sue azioni, i comportamenti, le attenzioni, i complimenti, i messaggi d’amore, le sorprese e le parole meravigliose con cui ci ‘bombarda’ creano la tempesta perfetta, alla quale è molto, molto difficile resistere.
Tipo il primo giorno libero dopo una dieta ferrea: avete davanti una pizza fumante che non sembra altro che dire: ‘Mangiami! Godimi!’ Ecco, una robetta così. Chi non ci cascherebbe? Peccato che questa sia solo una fase, la prima, la primissima: che duri settimane o mesi poco importa, ma di certo vi posso dire che non durerà.

Premesso che, per me, tutti dovrebbero leggere il tuo libro, come possiamo riconoscere un narcisista dai primi mesi di relazione?
Mi riaggancio alla domanda che mi hai fatto prima: una red flag che dovremmo allertare dentro di noi dovrebbe già essere questo suo desiderio impellente di bruciare le tappe, questa premura che lui sente nel conquistarci, dicendo e narrando vissuti emozionali che vanno ben oltre l’opportunità reale di una conoscenza che si sta condividendo in una relazione appena nata.
E poi c’è un altro segnale che dovrebbe farci drizzare le antenne, o quantomeno colpire la nostra attenzione: la sua capacità oratoria con fini manipolativi. È sottile, spesso difficile da scovare, lui ama piacere ed essere approvato, per cui in pubblico può mostrarsi simpatico, socievole, gradevole. Ma dentro le quattro mura, al riparo da sguardi indiscreti, può iniziare a dare il peggio di se’: anche in una banalissima lite, di quelle che possono capitare tutti i giorni per il solito dentifricio lasciato aperto sul solito lavandino o la solita raccolta differenziata che resta lì da buttare, fino ai ‘pilastri’ portanti della relazione.
Toglietevi dalla testa l’idea che lui si metterà in discussione: focalizzerà invece tutto sulla vostra reazione. E, indovinate un po’? La vostra reazione sarà stata sicuramente incongrua, inadeguata, esasperata, eccessiva, poco adatta. Per il modo in cui l’avete messa in atto, per il tempo in cui avete scelto di farla. Ovvero: VOI è solo voi dovete sentirvi in colpa. Sordo e cieco a qualunque forma dialogo e spiegazioni difensive, che pure proverete a dare: anzi, non faranno che accenderlo di più nella sua furia. Lì per lì occorre solo lasciare che passi, la cosa migliore è prenderne atto e tacere.
Ecco, io credo che in tutte le relazioni ci sia un momento preciso in cui la situazione precipita: quando il rapporto diventa fondato sulla colpevolizzazione, la critica, la svalutazione. È in quei frangenti che il manipolatore narcisista sta facendo il suo gioco a mani basse. E così finirà che in sua presenza sarete sulle spine, arriverete a misurarne il tono di voce al telefono o anche solo lo sguardo per capire in che giornata si trova, proverete ad abbozzare o a fare di tutto per non contrariarlo. Lì le bandierine sono tutte sventolanti, guai a non vederle.

Tu sei una psicoterapeuta: quali trovi siano un paio di grandi inganni della nostra società?
Te ne potrei dire tanti: io le chiamo trappole. E credo sia anche per questo che in un momento storico come il nostro si parli molto di più del tema del narcisismo, cosa quasi pressoché sconosciuta o erroneamente utilizzata nel linguaggio divulgativo comune di un tempo: era il belloccio, un po’ dandy, che badava molto alla sua immagine. E non sto andando molto indietro, sai, questo succedeva anche solo quindici, vent’anni fa.
Quella di oggi è una società fondamentalmente basata sulla considerazione della propria immagine (come appaio agli altri) a discapito della propria identità (come sono davvero, quali bisogni ho e come mi sento). In un’organizzazione sociale di questo tipo è facile che si neghino le emozioni che contraddicono l’immagine che si vuole dare. E così ci si perde ulteriormente rispetto al senso di se’ più profondo.
È una giostra da cui diventa difficile scendere. Vietato mostrarsi fragili, vulnerabili, impotenti o si arriverebbe a perdere il controllo su di se’, peggio ancora: sugli altri. La condivisione sociale di immagini stereotipizzate di benessere, sia fisico sia mentale, che concede agli altri di sbirciare nelle nostre vite (ma attenzione: solo a ciò che scegliamo abilmente di far vedere!) contribuisce a togliere autenticità, a recitare dei personaggi-fantocci-cliché idealizzati e vuoti. E qui scatta un certo tipo di status e di riconoscimento comunitario, apparentemente gratificante, ma nella sostanza privo di qualsiasi valore, dalla sensibilità all’ascolto, dal rispetto dell’altro all’empatia.
Qui, lo sai, si parla di viaggi: so che recentemente hai girato molto. Ci racconti tre esperienze della Silvia-Giramondo?
Una domanda bellissima, che mi riporta ai miei viaggetti più recenti! Vado dal più vicino all’ultimo, luoghi e cose che mi hanno colpito, seppur vissuti in modi e tempi diversi.
Vengo da un lungo ponte in Svizzera, tra mucche al pascolo e raclette, trascorso a girare tra tre città di un’incredibile bellezza: Lugano e il suo lungolago, la vecchia funicolare che arriva a Monte San Salvatore, uno dei migliori punti panoramici sulla città, la visita in una fabbrica di cioccolato svizzero alla Willy Wonka; Zurigo e l’eleganza delle sue piazze, i suoi quartieri più antichi, con le botteghe artigianali, il Teatro dell’Opera, il Pavillon Le Corbusier; Lucerna, la sua Mühlenplatz, gli angolini e le piazzette pieni di caffetterie coi tavoli all’aperto, i meravigliosi ponti coperti, il quartiere stravagante di Bruch, cosmopolita e radical chic, zeppo di murales, locali e negozietti.
Quest’estate mi sono concessa invece un tempo più lungo a Cipro, un’isola che è stata una scoperta affascinante. Ho amato quel contrasto forte tra vecchio e nuovo mondo, tra la parte greca di matrice europea e la costa del Nord musulmana, in mano alla Turchia. Ho amato le sue mille contraddizioni che puoi davvero toccare con mano: in un’occupazione silente, ma ancora molto vivida in certi luoghi, soprattutto nella parte Nord. Mi ha colpito particolarmente la città di Famagosta e il quartiere fantasma di Varosha, la ghost town di cui ancora si conosce pochissimo perché è stata aperta ai turisti solo da un annetto, con questo incredibile tour gratuito da fare con bici, bus o gambe in spalla, che ti sembra quasi di entrare a Gardaland, solo un tantino un po’ più macabra. Nel 1974 sbarcano i turchi e si intima alla popolazione greca sulla costa di lasciare le proprie case, facendo loro credere di poter tornare qualche giorno dopo, giusto il tempo di far calmare le acque. Quelle ‘acque’ sono in realtà tutt’oggi agitate: il quartiere sfollato è rimasto come allora, solo con 40 anni in più di polvere accumulati, le piante grasse e i rampicanti che hanno preso il sopravvento sui muri incrostati e i gatti randagi che prolificano come non mai. I greci-ciprioti che ci vivevano sono tutt’ora espatriati: le abitazioni restano di loro proprietà, pare che l’Onu vigili e tuteli, ma chi ne godrà? Io penso che li vedranno, alla migliore, i nipoti dei loro nipoti. O probabilmente manco loro, chissà. Mi è sembrato un enorme, ammiccante monumento alla guerra: il respiro del dolore e della violenza che c’è stata sono state un pugno in pancia. Forse anche con il sentore di un conflitto malgestito sulle linee di confine, che oggi ricorda tristemente un altro pezzo della nostra Europa.
In ultimo, ma non per importanza o bellezza: la fioritura delle lenticchie della piana di Castelluccio di Norcia in Umbria, visto agli inizi di luglio. Un’esplosione di colori, dall’ocra al rosso, al turchese, al viola, un arcobaleno che si estendeva a perdita d’occhio: l’ho trovato letteralmente un luogo magico, affollato, ma silenzioso, nel rispetto della Natura e delle meraviglie che solo lei può fare.
[riprendo la parola io, la Giovy]
Fa strano riconoscersi nelle parole di chi analizza la situazione in modo così puntuale, vero? Io ho letto e riletto questa intervista non so quante volte e, in ognuna di esse, vedevo qualche pezzo di me. Non c’è da colpevolizzarsi: come dicevo in apertura del post, ci caschiamo tutti prima o poi e non perché siamo impreparati o stupidi. Ci succede perché siamo umani e il bisogno d’amore è un qualcosa di primordiale dentro di noi. Trovo splendido che Silvia abbia voluto scrivere un libro così. Una delle caratteristiche di questo libro non è quello di essere un romanzo ma di riportare dei pezzi di un vero diario, di una persona che potremmo essere noi. A questo, Silvia abbina la sua esperienza professionale che – diciamocelo pure – serve davvero a tutti. Viviamo in un’epoca in cui, forse anche grazie alla pandemia (qualcosa di buono esce sempre dai momenti difficili), si sta ponendo sempre più attenzione alla salute e al benessere mentale di tutti, a tutte le età. Il libro di Silvia non vuole essere un surrogato della terapia bensì una sorta di chiacchiera con un’amica o amico più consapevole di noi. Avete presente quando avete bisogno di un bagno di realtà per uscire da una situazione emotivamente fangosa e, per questo, parlate con chi vi vuole bene e può osservare la situazione dall’esterno? Ecco. Io trovo che il libro di Silvia sia questo e, per questo motivo, dovremmo sempre tenerlo in un posto dove lo si trova al primo sguardo. Mi piace molto Silvia e la considero una di quelle anime affini a me, sparse per il mondo e incontrate per caso. Il libro di Silvia – ve lo ricordo – si intitola “Pensavo fosse amore e invece era un disastro“. Sarà presentato a Piacenza – al Caffè dei Mercanti – alle 11 del 3 Dicembre 2022. Sarà in vendita dallo stesso giorno e non mancherò di indicarvi le modalità di acquisto. Lo sapete come sono: questo blog è una casa dalle porte aperte e io amo molto dare spazio alle persone che stimo. Silvia ha tutta la mia stima e il mio sostegno e per questo stiamo parlando del suo libro oggi. Come ben spiegava lei, viviamo in un mondo che ci vuole sempre al top delle nostre performance. Forse, il vero top, è riconoscere quando le cose non vanno e, in mezzo ai cocci e alle macerie, ritrovare la forza e la capacità di ricostruire. Come una Trummerfrau dopo il bombardamento di Dresda.
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori e Silvia Tizzoni – riproduzione vietata.
così come il bisogno d’amore è una necessità primordiale, anche l’istinto di sopravvivenza, la ricerca del proprio benessere e del piacere sono una potentissima arma umana che ci salva dalle situazioni pericolose e, a volte, da noi stessi.
“conosciti e diventa chi sei” è una citazione che ci scriviamo sulla pelle delle nostre esistenze, senza quasi accorgercene. quando riusciamo a comprendere chi siamo, cosa desideriamo e cosa fa davvero per noi attraverso il dolore allora riusciamo anche a chiederci: ” ma io dove sono?”
e a risalire dal buio.
noi esseri umani abbiamo la chiave di porte invisibili e la possibilità di mettere il dolore chiuso in una scatola, dal quale non può più scappare.
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Abbiamo la possibilità di chiudere il dolore in una scatola. La gente che non ci va in una scatola. Come dicono gli Alice in Chains “man in the box”.
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