
Eccomi qui. Con la valigia in camera, ancora aperta perché sta per essere riempita di nuovo. La roba è uscita dalla lavatrice e, in tutta velocità, è stata lavata, stesa, asciugata. La mia schiena ha riconosciuto il letto in cui dormo e già lo sta per salutare. Non sono frasi tristi: sono frasi che mi fanno capire che ho chiuso la porta su un periodo che non sarei riuscita a immaginare più difficile, denso, pesante e complicato. Un periodo che mi ha vista stare male fisicamente (tanto), traslocare (che fatica), ricominciare a essere me. Ho chiuso una porta e ho aperto un portone.
Quella cosa di fare un gesto concreto

Si dice spesso che, per rendere compiute determinate fasi della nostra vita, ci vogliano dei gesti concreti che traducano in azioni visibili una forte sensazione interiore. Avete presente quelle cose tipo “scrivi su un foglietto quello che ti fa soffrire e poi brucialo”? Ecco: prendiamo una cosa pesante che si impone come una montagna dentro di noi e la rendiamo visibile al mondo (anche se la osserviamo solo noi) e riusciamo a sbarazzarcene per andare avanti. In fondo, è quello che mi capita quando devo rimettere in ordine i pensieri e quindi li scrivo. Proprio come ora. Ci sono tanti terapeuti che sostengo la forza del rendere concreto un pensiero o un’emozione altrimenti presente solo nella nostra testa. Fare uscire le cose dalla testa e scriverle è il modo per non provare ansia prima di un viaggio: io attacco post-it ovunque con scritto cose del tipo “carichini” o “chiudi l’acqua” perché, se non lo facessi, quel pensiero resterebbe a girare come un dissennatore nella mia testa. Voi lo fate mai? Di scrivere le cose per farle uscire dalla testa, intendo. Oltre a questo, ci sono un sacco di gesti concreti che possono aiutarci a chiudere porte e aprire portoni.
Chiudere

Io ho chiuso letteralmente una porta. Il 14 ottobre, ho postato sui social (tra le mie lacrime e anche la commozione di molti che hanno visto la cosa) la story che mi vedeva chiudere la porta di casa. Quella casa dove ho vissuto negli ultimi 14 anni. Di per sé, ho riaperto quella porta per andare a pulire quell’appartamento e l’ho richiusa – sta volta definitivamente – il 27 ottobre, in un giorno in cui l’autunno sembrava essere ancora estate e non prima di aver passato una mezz’ora seduta in terrazzo a piangere nel salutare il tiglio Attiglio. Mi basta scrivere il suo nome per sentirmi gli occhi pieni di lacrime e il cuore che stringe. Malgrado questo (e il fatto che Attiglio mi mancherà per tutto il resto della mia vita), ho chiuso quella porta con un sorriso e tanta leggerezza nel cuore. Ho chiuso una porta per aprire un portone. Letteralmente. Un portone che fa da ingresso a una nuova casa, una nuova vita e la me di sempre. La me ritrovata dopo un tempo difficile e potente allo stesso tempo. Chiudere la porta di quella casa, portare a termine formalmente ogni contratto legato a quella dimora (luce, gas e così via) mi ha aiutata a chiudere un qualcosa dal quale ero già fuori. Era, però, come una sorta di finestrella dove, dietro le tende, sai che c’è una signora anziana che ti guarda e tu non sai il perché. Ora quella finestra non c’è più.
Aprire

Il 28 ottobre ho chiuso la valigia, sono andata prima in stazione, poi in aeroporto. E poi ho iniziato a prendere mezzi come se non ci fosse un domani, a cercare le prese nelle stanze d’albergo e a chiedermi in che tasca dello zaino io avessi messo l’adattatore per le prese in stile Regno Unito. Ho chiuso una porta, aperto un portone e mi sono ritrovata dentro quella vita che mi mancava da troppi mesi. Fisicamente ancora provata (ginocchio sempre dolorante e rigido + piede matto che mi regala sempre strane sensazioni), ma strong in will to strive, to seek, to find and not to yield come scriverebbe Tennyson nel suo Ulysses. E come Ulisse sono ripartita, sempre con quella idea di ritorno che ho tatuata su una delle mie scapole. Ho chiuso una porta, ho aperto un portone, ho trovato una casa che non è fatta di mura (o meglio, non solo) ma di abbracci forte prima di dormire, di coperte rubate, di “dove cavolo l’avrò messa quella cosa là“, di abitudini da riprendere, di valigie e zaini da preparare, di aerei da prendere, di lontananza fisica che non è mai distacco. Di voglia di vedere il mondo, scriverne e poi tornare dentro quell’abbraccio che è proprio casa.
Lascia una risposta