
La stagione è cambiata nell’arco di una settimana. Dal ventilatore al copriletto che ti avvolte in 5 giorni. Dal lavorare in canottiera ad avere il cardigan addosso ed esserne felici. Ci sono cose che cambiano così, di botto. Anche se non dovrebbe essere così. Non è una lamentela, è una constatazione. Mi piacerebbe – se mai fosse possibile – mettermi a osservare il mondo e vederlo cambiare col tempo, dolcemente. Non così di botto. L’Italia, in 24 ore, è diventata un posto che non mi piace. Benché sia una ferma sostenitrice della democrazia, credo che certe scelte siano state poco ponderate. La stagione cambia, il mondo cambia, l’Italia cambia. E chi sono io per non cambiare? Spesso leggo una frase che ritengo molto vera e che, come sempre accade, viene attribuita ad cazzum a tutti: non siamo alberi, possiamo spostarci. Ecco perché, anch’io, mi muovo.
La mia finestra
Questa è la finestra che, per molti anni, è stata alla mia destra: tutti i giorni, mentre lavoravo mi giravo verso quella finestra (chiusa o aperta, non importa) e, da lì, vedevo i cambiamenti del Tiglio Attiglio, vedevo le mie api, scorgevo albe e tramonti, osservavo la pioggia e notavo la presenza del vento. Nell’ultimo anno, circa, ho buttato l’occhio sempre di più su Attiglio perché il suo cambiare era, per me, come il ticchettio di un orologio che segnava inesorabile la distanza da un solo fatto: il trasloco. Non so quante volte abbiate traslocato in vita vostra: io alcune, con tanto di cambio di nazione e ritorno in Italia. Secondo alcune statistiche, il trasloco è la seconda causa più forte di stress che un essere umano possa subire. Mi fanno ridere certi film e telefilm in cui si mette tutto dentro a un camion in due minuti e, nello stesso tempo, si mette a posto casa. Eh no. Non funziona così: il trasloco, oltre a essere un’azione fisica che richiede sforzo… altro che abbonamento in palestra, è un’azione mentale davvero complicata ed è lì che caschiamo tutti. Hai voglia a leggere Marie Kondo! Negli anni, lo ammetto e mi do una pacca sulla spalla per questo, sono diventata brava a dire “via, questo va in discarica” con le mie cose. Un tempo tenevo l’impossibile ma non aveva senso. Io e il decluttering stiamo cominciando a volerci bene ma ammetto di amare ancora alcuni oggetti che, per me, sono il racconto di me stessa. Il racconto verso il mondo. Riguardo la finestra e penso a questa casa e al suo significato per me.
Tra le scatole e quel senso di mancanza…
Credo piangerò il giorno in cui la chiuderò: piangerò perché chiuderò per sempre un pezzo della mia vita che, a tratti, si è già chiuso. Dare due mandate a una porta blindata, però, è di più. Fosse anche solo per il suono che quell’azione si porta dietro. Riguardo fuori dalla finestra e penso che non potrò portare con me Attiglio, fatta eccezione per un suo piccolo ramo che, tempo fa, è caduto proprio dietro la mia auto, dopo un temporale. L’ho raccolto e sarà con me in quella nuova stanza che diventerà il mio studio: lo metterò in un posto dove potrò vederlo ogni volta che vorrò: non farà foglie ma sarà per sempre Attiglio. Per sempre con me. Attiglio custode della mia vita, consigliere, consolatore, capace di ispirarmi e capace di ascoltarmi. Spero che chi verrà a vivere qui gli voglia davvero tanto bene. Anche solo un decimo di quello che gliene ho voluto io. Piango mentre scrivo perché lo guardo e mi chiedo come si possa razionalmente spiegare questo mio amore verso di lui. E so che mi mancherà like the desert miss the rain. Tanto per citare una canzone.
Pezzi di mondo, pezzi di me
A questa sensazione così romanticamente nostalgica metto vicino qualcosa che ho sentito chiaramente nelle ultime settimane e che sono felice di provare: mi sono sentita a casa nella casa nuova. Ieri notte – sarà stata la paura per i risultati delle elezioni – mi rigiravo nel mio letto (che, per la cronaca, viene via con me e sarà ancora il letto in cui dormirò) e sentivo qualcosa di strano nell’anima, isolato dalla paura del risultato delle elezioni. Sono rimasta lì a pensarci un po’ e ho capito: era la voglia di essere nella casa nuova, di atterrare piè pari dentro il nuovo capitolo della mia vita che, ora, è come se fossi in compresenza col vecchio. Mi spiego: non sto parlando di relazioni o chissà che cosa. È come se ora avessi un piede in un pezzo di vita e un piede nell’altro. Ho voglia, per l’appunto, di saltare e atterrare a piè pari nell’altro. Ben conscia – ve lo dico – che sarà un casino rimettere a posto tutto ma mi va pienamente di farlo.
Senza rotelle

Un’altra delle frasi che leggo spesso è che l’equilibrio arriva solo quando ci si muove. Come quando si va in bici: se stai fermo cadi ma, se pedali, vai avanti e riesci a stare sulle due ruote. Senza rotelle (come già scrivevo). Credo sia questo il senso dei giorni che sto vivendo e che sto per vivere. Un po’ come se fosse un nuovo viaggio. Sopportatemi, nel caso vi sembrassi tanto emotiva o anche isterica per via del casino e degli scatoloni. Settembre è stato pesante e difficile per via della salute del mio piede destro. Ora ho tutta l’intenzione di non soccombere più a nessuna disgrazia. Promesso.
Le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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