
Bella la foto di una spaparanzata in spiaggia, vero? Ecco: non sono io. Com’è che faceva la canzone di Malika Ayane? D’estate muoio un po’, aspetto che ritorni l’illusione. Adesso non è che io ascolti solo i Pearl Jam e la musica della gente morta, come la chiamo io. Conosco il mondo musicale, fatta eccezione per la trap, e canto quelle canzoni in cui mi riconosco, come quella che citavo proprio un paio di righe fa. D’estate io muoio, non solo un po’. Del tutto. Se non fosse per il Polase e per quel senso del dovere che mi viaggia dentro e che mi ricorda che devo pagare affitto e bollette, io d’estate sparirei dal mondo. Perché, diciamocelo, 40° con un’afa tremenda (facciamo anche 43°, come la settimana scorsa), le zanzare, caldo asfissiante di notte (che manco a Cuba, mi viene da dire) sono un qualcosa di utile e ammissibile solo se si ha il mare di fronte – come dicevano gli Skiantos – o se si può fancazzeggiare dalla mattina alla sera. Dato che la vita della sottoscritta è diversa, io mi permetto di dire a piena voce che sono stanca, sfinita e anche scoglionata.
Non ce la faccio più… [Magda dixit]
Quando mi scogliono così, arrivo a delle vere e proprio crisi d’ansia. Non le chiamo attacchi di panico, perché non lo sono proprio. Le chiamo crisi d’ansia perché la mia testa entra in un loop che è fatto di controllo del meteo su tutte le app possibili e immaginabili e passa poi al dialogo con il ventilatore per supplicarlo di non mollarmi. Dopo questo, inizio a piangere dicendo a me stessa che non ce la posso fare più, un po’ come Magda (di Fulvio) che si chiude in bagno e inizia a dire “non ce la faccio più“. Come mi accade quando ho a che fare con gli stati d’animo negativi (che proprio non sopporto), mi lascio cadere, mi spezzo, mi riformo e sono più bella di prima. Se non facessi così, non passerebbe: quell’ansia resterebbe con me, condizionando ogni parte delle mie giornate. Se succedesse, mi romberebbe un po’ le balle e quindi non è proprio il caso che succeda. Stare male, sì. Non reagire, proprio no. Almeno per quel che mi riguarda. Così, ad libitum.
Pensare bene… per contrasto
Altro metodo per contrastare la mia ansia e la mia stanchezza estiva sta nel fatto che cerco di farmi una lista delle cose che amo dell’estate. Allora, per prima cosa, apro l’armadio e guardo le mie gonne a fiorellini, quelle svolazzanti, quelle che speri sempre che ci sia il vento quando le vuoi mettere. Guardo i sandali da indossare rigorosamente fino a ottobre. Guardo i vestiti con la spalle scollate – i miei amati Bardot Dress, così si chiamano – o quello azzurro che mi piace chiamare “il vestito da Alice“. Quando lo indosso, spero sempre che il Bianconiglio mi incontri per strada urlandomi “è tardi, è tardi, è tardi“. Quello non è un vestito, è un passaporta. Con la A finale. Ecco perché deve esistere l’estate nella mia vita: per quei vestiti, quelle gonne, per i miei sandali, per i tatuaggi sempre esposti, per le lentiggini sul volto, sulle spalle, sul seno. Lentiggini battono sensazione cattiva d’estate: 10’000-0.
Ci pensiamo a settembre
E poi ci sono le pesche, da mordere nella speranza che ti esplodano in bocca, sporcandoti ovunque. E poi ci sono le albicocche, da aprire con le mani e da mordere sperando che non siano rimaste acidine. Ci sono le susine di ogni colore che, irrimediabilmente, mordi senza ricordarti che dentro c’è il nocciolo. E allora poi le spolpi coi denti e sei felice. Ci sono i meloni, gli stessi che da piccola non ti piacevano. Ci sono le cicale che cantano a ogni ora. Ci sono i “ci pensiamo a settembre” e i tuoi malefici e compiaciuti “io a settembre sono in ferie“. Ecco, ti piace quel senso di terrore nella voce, nelle mail o negli occhi di chi lavora con te quando gli ricordi che tu, in agosto, resti operativa ma ti permetti il lusso di andare in ferie quando l’estate finisce? Già, ecco perché ami quello che fai, come lo fai… anche in estate.
I’m Daria Morgendorffer

Mentre scrivo questo post, che non ha né capo né coda se non per me, il sole inizia a bussare alle finestre della stanza dove lavoro. Io, quasi investita di un superpotere, tiro giù la tapparella e guardo la mia casa in totale ombra. Così resterà finché il sole non se ne sarà andato stasera. Sono stanca, ho caldo, vorrei dormire e non ci riesco. Non c’è nulla di male nell’ammetterlo. Ho preso l’estate come esempio di un qualcosa che dovrebbe piacere a tutti e che, a me, piace ma non del tutto. Mi piace per alcune cose e, come per tutto quello che è dolce e amaro allo stesso tempo, guardo a quello che mi piace anziché il contrario. Senza dimenticare che, però, è lecito che ci sia qualcosa che non mi piace. Ecco perché il mondo va a ramengo, come si dice in Veneto: non si ammette mai l’esistenza di qualcosa che non ci piace o lo si fa sottovoce perché “altrimenti gli altri chissà cosa pensano”. Sempre sorridenti, sempre positivi, sempre attivi, sempre a posto, sempre felici: eh no, non è così. Sono stanca, stufa, accaldata, sudata, odio la gente e va bene così. Almeno d’estate. I’m Daria Morgedorffer (in effetti, mi vesto come lei da quando vidi la prima puntata di quel cartone).
Il podcast: sono stanca e quindi sono una brutta persona

Dato che sono stanca, mi viene da dire di essere proprio una brutta persona. Scherzi a parte, questa settimana non riesco a registrare il podcast ma mi è venuto in mente di riproporvi una puntata alla quale tengo davvero moltissimo. Per l’appunto, quella in cui mi definisco una brutta persona… perché? Ascoltatela e giudicate voi. Quella puntata nacque in gennaio, proprio a ridosso del mio compleanno.
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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