
Avete presente quella cosa del parlare in corsivo? Ecco, ci penso da giorni. Lungi da voler essere una boomer (che non sono per stessa definizione della parola “boomer”) ancorata in chissà che tempi passati, benché ascolti musica di 30 anni fa come se non ci fosse un domani. Lungi dal voler essere una secchiona assoluta. Che poi… che male c’è nell’amare lo studio? Io sono una che mangerebbe cultura a colazione, pranzo e cena. Credo che il termine “cultura” riguardi davvero un ampio spettro di cose: non ci sono solo i libri da leggere, le mostre da vedere o chissà che film assaporare. C’è anche la musica, assolutamente. Da Bach a Jimi Hendrix, senza interruzioni di nessun tipo. Quello che mi sto chiedendo in questi giorni è una cosa secca e delineata: amare la cultura fa davvero così schifo? Potrei anche girare la domanda: quando disprezzare la cultura è diventato qualcosa che fa figo?
What do you do with a Revolution?
Parliamone. La Rivoluzione c’è sempre stata e, per questo motivo, scrivo quella parola con la R maiuscola. Come nel tatuaggio che ho sul braccio destro. Quel tatuaggio cita una canzone delle Hole: “What do you do with a Revolution?“. Ovvero: cosa ci fai con una Rivoluzione. Il contesto è presto raccontato e poggia i piedi negli anni in cui imperversavano le Riot Grrrls in quel di Olympia. Anche in quei tempi, sembrava che dire “I went to school in Olympia” decretasse una sorta di status rivoluzionario acquisito alla nascita quando – lo sappiamo bene – la rivoluzione va coltivata come una pianta di basilico e non basta fare parte di un certo ambente per appartenere al concetto di Rivoluzione e perseguirlo con tutti noi stessi. Il fatto è questo: ogni epoca ha la sua ribellione e la sua rivoluzione. Citando qualcuno che di musica ne sa più di me, a volte si sceglie un genere musicale per ribellarsi alla vita dei propri genitori. Che valga lo stesso col modo di parlare?
La parola come base di tutto
La parola, per me (e lo sapete) è tutto. È così tanto tutto, per me, che i miei tatuaggi sono parole. Sogno di essere un libro da leggere, anche fisicamente. Vivendo un po’ sempre nel 1995 o giù di lì, ogni tanto mi aggiorno sulle tendenze dell’estate in corso: musica ignobile e, ovviamente, giochi e giochini vari. L’anno scorso imperversava il “dimmi che sei al mare senza dirmi che sei al mare” o cose simili. Quest’anno è il momento del parlare in corsivo. Ho cercato dei video della sedicente Prof Elisa Esposito che dice di voler insegnare questa parlata quando – proprio come dice un meme che ho intercettato in rete – Piero Pelù canta in corsivo da almeno trent’anni. Anche per l’estate del 2022 vince l’assioma “nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma“. Ve la ricordate – a proposito di parlare in corsivo – la Professoressa Fullin e le sue lezioni di Tuscolano? Ecco.
Tre cose da salvare
Io – ma forse lo sapete – mi emoziono così tanto per la cultura da poter sembrare fuori dal tempo e dallo spazio in cui vivo. Quando ho ascoltato le lezioni di corsivo sono un po’ inorridita, non tanto dall’invenzione (che invenzione non è) di questa lingua, bensì dal fatto che, a quanto pare, bistrattare la cultura sia the new fa figo. Sembrare ignoranti (nel senso letterale del termine: ovvero non so qualcosa) fa più figo che sembrare di sapere qualcosa in modo completo. Badate bene: sapere qualcosa in modo completo non vuol dire recitare il 5 maggio di Manzoni a memoria ma saper riconoscere quella poesia. Oppure l’incipit della Divina Commedia. Come dite? Non si capisce se scrivo Incipit?! A no, la prof del corsivo non capisce se scrivo Incipit. Meglio dire inizio. Sì. La domanda che mi faccio è davvero questa: quando sembrare di avere una testa che funziona con l’autotune è diventato essere dei fighi? E qui nasce la seconda domanda: ammettiamo di essere parte di un gioco in cui tutta la cultura sta per essere distrutta e noi abbiamo la possibilità di salvare solo 3 cose. Ognuno di noi ha tre cose da salvare. Quali sono le vostre tre cose?
Ciao Giovy, allora qui le cose di cui parlare sono molte.
Credo che il processo per cui “meno sai più sei figo” (o meno dici di non sapere più sei figo) sia un processo in atto da diverso tempo, e credo sia qualcosa di premeditato e studiato. Portato avanti con programmi tv beceri (che però fanno ascolti record) da diverso tempo, diciamo dall’inizio del 2000 più o meno?
Il “parlare corsivo” non so se lo inserirei in questo fenomeno o nel più ampio (e intramontabile) bisogno dei giovani di crearsi un proprio linguaggio, un gergo. Una volta era magari una cosa più di zona/città (vedi il “riocontra” milanese, ovvero parlare “al contrario” per sillabe), oggi col villaggio globale la cosa è più virale e generalizzata. E i fenomeni (dopo mesi e mesi di presenza social) arrivano ai “vecchi” giornali scandalizzati e a quel punto se ne parla.
Non credo che ci sia un assioma tra parlare corsivo ed essere fieramente ignoranti. Non ce lo vedo.
Invece sulla seconda domanda, quali 3 cose culturali vorrei salvare:
– la composizione VIII di Kandinsky
– il gotico (posso salvare tutto un stile, vale?)
– La Divina Commedia (certo che poi pensare di fare a meno di Orgoglio e Pregiudizio fa male al cuore, e l’elenco potrebbe continuare).
Cara la mia Elena, ti aspetto al varco nel post di domani, viste le tue tre scelte 🙂
Non è una minaccia ma credo che il post di domani ti piacerà.
Detto questo, ti do ragione sul fatto di cercare un gergo, fatta eccezione proprio per la prof del corsivo che faceva la bella aggressiva dopo che non ha saputo riconoscere proprio Dante. Comunque, io voto sempre per il Tuscolano e la Professoressa Fullin.