
Ve l’ho detto che questa settimana il consueto ordine dei miei post sarebbe stato stravolto, vero? C’è un motivo. Solitamente, il giorno dei cavolacci miei pucciati nel latte a colazione è il martedì ma avevo bisogno di scrivere e pubblicare questo post personale il 9 giugno 2022. Oggi sono esattamente 10 anni che la mia mamma non c’è più. A me, da un lato, sembrano due giorni. Dall’altro, sento e – ancora di più – vedo questi 10 anni trascorsi in modo così intenso. Oggi, con la testa colma (lo è sempre ma oggi lo è ancora di più) della sua immagine e della sua presenza, sto esattamente facendo quello che anche lei avrebbe voluto da me: sono in viaggio. Se c’è una cosa che mia madre ha sempre voluto da me è che non rinunciassi mai a fare ciò che mi fa stare bene, ciò per cui sono – probabilmente – nata. Lei non mi avrebbe mai voluta triste, affranta, di fianco o di fronte a una tomba per ricordarla. Il modo migliore per celebrarla è dare totale forza a alla mia indole. E quindi viaggio. E scrivo.
Come sono andate le cose…

Mia madre è morta nel mattino di un sabato caldo di giugno del 2012. Io ero totalmente fuori dalla mia comfort zone perché c’era stato il terremoto in Emilia e non potevo nemmeno sentirmi avvolta dalla mia casa. In quei giorni, mi sentivo totalmente esposta. Ero partita alla volta del Veneto, dove lei si trovava, con una borsa riempita a caso. Avevo scelto di non dormire a casa dei miei perché si trovava al quinto piano di un condominio molto grande. La mia testa era divisa in due pensieri: da un lato, mia madre. Dall’altro, il terremoto che mi aveva sbattuta fuori casa e sepolta in mille paure che non avevo mai avuto. Ricordo ancora il primo pomeriggio passato in un b&b delle mie zone natali, dopo averla salutata in ospedale. Una doccia fatta con calma e poi il crollo totale e una dormita che potrei definire epica. Non dormivo da giorni e – fa strano a dirlo – in quel momento mi sono sentita sollevata. Avevo un paio di leggings al ginocchio neri e una maglia leggera, sempre nera, addosso quando mio padre mi ha detto che lei era morta. Ero a casa mia, quella casa che mi ha vista nascere e crescere ed ero ferma all’ingresso del salotto. Mio padre mi ha guardata e ha detto solo “la mamma non c’è più”. Io l’ho abbracciato e in quel momento non sono quasi riuscita a piangere. Ora, mentre scrivo, non vi dico quante lacrime sto versando, benché stia solo riportato i fatti e non ragionando su quella perdita. In quel momento ho fatto un passo avanti verso il fatto di diventare grande. Avete presente quando scrivevo del diventare grandi? Ecco, quello è stato un momento forte. Il mio diventare grande è stato dato dal fatto che ho iniziato a pensare a lei, più che a me. A mio padre, più che a me. Ai miei nipoti, più che a me. Ai miei fratelli, più che a me, soprattutto a quello che – distante per lavoro – non sarebbe potuto essere lì.
Germogliare lontano dal punto di partenza

La mia famiglia è così e lo è anche nei momenti in cui, di norma, tutti accorrono per stare insieme. Noi siamo sparsi da una vita, sparsi nella vita, ognuno nel proprio mondo, quasi come fossero degli insiemi indipendenti ma sempre pronti a intersecare le proprie circonferenze. Credo ci siano mille modi di essere famiglia e noi siamo così: sparsi nella vita. Veniamo da semi che hanno germogliato lontani dai loro luoghi di nascita, fin dai tempi dei miei nonni. Posso contare solo due persone, tra i miei parenti più stretti, nati, cresciuti e rimasti sempre nello stesso luogo. Due. Tutti gli altri – me compresa – sono come i soffioni del tarassaco: pronti a volare via e posarsi chissà dove. Mia madre sarebbe il terzo elemento nato, cresciuto e vissuto nello stesso luogo ma, anche lei, a modo suo, ha fatto il soffione. Mamma giovanissima (aveva 20 anni quando nacque il mio primo fratello. 31 quando nacqui io, che sono la terza), aveva mille progetti per la sua vita di donna e non è riuscita a realizzarli. Un giorno mi disse che, quando nacqui io e lei vide che ero una bimba (niente ecografie ai miei tempi) si sentì come se fosse arrivata, per lei, una seconda occasione.
It’s me
Io sono io, non sono mai stata il suo clone. Ora guardo le foto della mia mamma a 40 anni o giù di lì e le assomiglio, fisicamente, in un modo immenso. Non mi sono mai vista così simile a lei fisicamente. A livello di vita, io sono stata lasciata libera di essere ciò che volevo essere. Con un solo pensiero come fondamento: non esiste costrizione che ti possa portare via da ciò che vuoi essere. A questo, io aggiungo un mio pensiero, usando le parole dei Led Zeppelin: … in the long run, there’s stil time to change the road you’re on. Quando morì mia madre, 10 anni fa, io scrissi di essere diventata la Giovy 2.0. Quello è stato l’inizio di una nuova era. Un’altra è iniziata con la pandemia. Ora vivo a testa alta (oddio, quando mai non l’ho fatto) guardando davanti a me: mi chiedo quante nuove ere ci potranno essere. Sapete una cosa? Non ho paura. Questo mi ha insegnato la morte di mia madre: a non avere paura dei cambiamenti. La morte di un genitore è quanto di più naturale per un figlio: è la vita e accade. Per quanto possa essere naturale, è sempre difficile e – ve lo dico – si supera ma non passa mai. Ci sono dei giorni in cui la vorrei ancora accanto, soprattutto per il suo modo di tagliare corto quando io mi perdevo troppo nei miei pensieri. Se io sono una donna pratica, lei lo era mille volte di più. Oggi, a dieci anni da quel giorno, io vorrei guardarla in faccia e dirle una sola cosa: Bruna, guarda che capolavoro hai fatto! [e lei mi direbbe direttamente che si può sempre fare di meglio].
La foto senza caption è © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Lascia una risposta