
Stamattina (ovvero ieri, rispetto a quando leggerete questo post) ho visto l’estratto dell’intervista a Elisabetta Franchi. Quell’estratto in cui dice che lei mette in posizioni alte solo donne negli “anta” perché sono già – parole sue – “al quarto giro di boa” nella vita. La nota imprenditrice emiliana intendeva dire che a quarant’anni ti sei già sposata, sei probabilmente già madre e magari hai già cambiato compagno di vita perché potresti aver divorziato e quindi essere già passata alla fase del “adesso cambio vita“. Se guardiamo i numeri, sicuramente può avere ragione, dicendo che le donne “anta” sono un po’ più attente al lavoro. Ma finisce lì. A quarant’anni poi, aggiungo io, è probabile che un essere umano – e non solo una donna – sia già professionalmente adatto a certe posizioni, per esperienza ovviamente. Il fatto increscioso, per me, non arriva tanto dalle parole di Elisabetta Franchi (che di sicuro non approvo) che, come sottolineato da lei, ragiona da imprenditrice e deve pensare al bene della sua azienda. Il fatto davvero brutto sta proprio in una società che non sostiene l’idea che il lavoro sia lavoro e, come tale, sia importantissimo ma costituisca solo ed esclusivamente una parte della giornata. Se hai del tempo libero dopo il lavoro, non sei figo. Non sei socialmente accettabile. Il problema è lì, quando un imprenditore qualsiasi dice “io esco tardissimo dalla mia azienda” e pretende che i suoi dipendenti lo seguano.
Utopia, ma anche no

Se vivessimo in un mondo utopistico (ma, ve lo dico, da qualche parte accade quindi non è proprio sempre utopia), la nostra giornata si potrebbe tranquillamente dividere in tre parti uguali, almeno in apparenza: per un terzo delle mie ore giornaliere dormo, per un terzo lavoro, per un terzo sono cavoli miei. Leggevo da qualche parte, nei giorni scorsi, che il nuovo status symbol dell’epoca che viviamo è il fatto di non avere tempo libero. Quando ero adolescente io, puntavi ad avere un padre dirigente d’azienda, con una bella auto e magari la possibilità di fare le vacanze in modo figo. Poi, tra i giovani, lo status symbol era avere la Golf e andarci a fare i giri con la morosa. Per le ragazze era, spesso, avere proprio quel moroso con la Golf. Ovviamente sto generalizzando ma, ammettiamolo, ci sono sempre stati degli elementi che, una volta raggiunti, davano all’umanità una sorta di bollino che diceva “ah, ok, sei un figo“. Attualmente, per come stiamo vivendo, il nuovo status quo è il non avere tempo. Non è più dire “mi compro la Golf” bensì guardare l’agenda e rispondere un po’ in modalità Milanese Imbruttito e direi “figa, è tutto schedulato“.
Time is mine

Tornando all’intervista a Elisabetta Franchi (ascoltatela: parte da 1 ora e 27 minuti circa), molti giornali e quotidiani riportavano l’affermazione “assumo solo anta perché lavorano h24” ma, ve lo dico, non ho trovato questo pezzo nelle sue dirette parole. Nel caso abbiate il link a un video che testimoni questa frase, ditemelo. Non è tanto il fatto di verificare l’affermazione (e, badate bene, non sto per nulla difendendo ciò che ha detto Elisabetta Franchi), però. Il fatto è che questa affermazione è dentro la mente di fin troppe persone. Io – lo sapete – sono una freelance ormai da 9 anni. Ho aperto partita iva perché avevo capito una cosa del mio rapporto col lavoro: io sono davvero una che lavora tanto e dà tutta se stessa ma c’è una cosa sulla quale io e solo io posso avere voce: il mio tempo. Se qualcuno mi chiedesse perché ho aperto partita iva, io risponderei perché non trovavo più giusto che qualcuno governasse il mio tempo libero. Chiedere di poter stare a casa un giorno e sentirmi dire “cosa devi fare?” era per me l’offesa più grande. Esagerata, direte voi, ma per me non è così. Ogni lavoratore dipendente ha diritto a un tot di ore di permessi e ferie che, concordate con l’azienda (e su questo sono pienamente d’accordo, vanno concesse senza che il lavoratore sia tenuto a giustificarne la richiesta. E questo è un diritto sacrosanto. Da dipendente (praticamente da quando avevo 19 anni fino ai 35), ho lavorato in luogo in cui le ferie veniva trattate in modo perfetto e altri in cui, a due settimane dall’inizio del periodo richiesto, non avevo ancora una risposta in mano. E tutto questo perché il mio tempo era in mano a chi non sapeva gestire nemmeno il proprio.
Out of office

Ora va meglio? Non direi ma ora ho una posizione diversa. Quella posizione – passatemi la stronzaggine – che mi concede di godere come una scema quando attivo il mio “out of office“. Io, proprio perché il tempo è tutto, avverto sempre i miei clienti della mia assenza. Oltre a questo, finisco tutto quello che devo fare prima di assentarmi. La cosa che, però, mi fa ridere in modo ironico (per non piangere) è che nessuno capisce il valore della frase “io non ci sono“. Perché ho diritto a non esserci, perché me lo merito, perché se sono così indispensabili mi paghi la reperibilità e il fatto che io, in qualche modo, devo sempre esserci. Ci sono clienti – e lo ammetto senza ritegno – che si meritano la mia totale disponibilità perché sono i primi a rispettarla. Quelli che, invece, mi vorrebbero H24… no, mi dispiace. Non ci sono e me lo merito. Il problema di ciò che ha detto – o non detto apertamente – Elisabetta Franchi è che, in un paese come l’Italia, la mancanza di presenza indica il fatto che non te ne freghi nulla del tuo lavoro. Esserci H24 per qualcuno è un problema. Non il contrario. Non esserci non significa non amare ciò che si fa ma significa dare il giusto peso a tutte le parti della propria vita. Perché il segreto è quello. Io vivo dei periodi in cui lavoro anche tutte le domeniche e ogni giorno di festa ma lo decido io. Non mi è imposto da nessuno.
Mi aspettate?
Sono l’impegno, la costanza, la dedizione, il sapersi organizzare il segreto di un lavoro. Non esiste un lavoro in cui in due ore si ottiene il risultato di 8 e sono io la prima a dirlo. Io non sono madre e quindi ho solo me stessa da gestire ma tratto il mio tempo libero come fosse una persona e non mi sembra di aver scritto un’eresia. Finché penseremo che un’ora – nostra – sul divano sia meno importante di un’ora passata tra mille commissioni “perché mi sono presa un’ora di ferie e allora devo fare tutto“, non andremo da nessuna parte e daremo la possibilità a chi gestisce il nostro tempo di pensare che H24 sia una costante. Il discorso sarebbe lunghissimo e dovrebbe partire su una maggiore consapevolezza del valore del lavoro e, soprattutto, su delle leggi in ambito di contratti di lavoro più forti da alcuni lati, più aggiornate e adeguate coi tempi. Anche per noi freelance, magari. Avevo proprio bisogno di scrivere questa sorta di sproloquio sindacale sui generis per dire che, davvero, è il nostro tempo ciò che conta di più. Il tempo che diamo al lavoro è il tempo del lavoro (senza troppe distrazioni). Il tempo che diamo a noi, è il tempo per noi. Dopo aver letto tutto questo, capirete perché – forse – ci saranno meno post sul blog nei prossimi giorni. Dico “forse” perché scrivere per me è come respirare. Mi aspettate, vero? Al massimo, provate a cercarmi sulla spiaggia qui sopra, come sempre. Citofonare Giovy.
La foto senza caption è © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Perfettamente d’accordo. Il tempo libero, speso a fare anche nulla, serve per ricaricarsi, per essere persone migliori e, anche, lavoratori più produttivi. La gestione del tempo e il giusto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, dovrebbero essere valori imprescindibili.
Buone ferie. (Io nel mentre mi cullo il COVID che si, è arrivato pure qui.)
Nooooo, Elena: il Covid noooo!
Mi dispiace tanto. Io stamattina ho fatto quella che ha lavorato un po’ ma sto cercando davvero di dedicarmi a me… e anche al mio ginocchio da far guarire del tutto.
A proposito di guarigione, guarisci presto, ok!