Mentre scrivo questo post, attorno a me e attorno a noi tutti è il 25 aprile. Io sono una che si fissa molto sulle date: spesso e volentieri, festeggio gli anniversari d’amicizia con le persone a me più care o mi ricordo la prima o l’ultima volta che ho indossato una tal cosa o che sono stata in un posto. Fin da piccola mi hanno insegnato ad amare il 25 aprile per il suo senso di libertà. In questa data, infatti, non si è compiuta solo la liberazione dell’Italia ma anche quella del Portogallo. Mi piacciono le coincidenze storiche: rafforzano alcuni concetti, come quello della Resistenza. In generale. Ecco perché mi sento di ripetere la frase scritta da Gramsci. Personalmente, mi è difficile odiale ma mal sopporto gli indifferenti. Quindi… “odio gli indifferenti”.
L’indifferenza secondo Gramsci

Gramsci, in uno scritto del 1917 (no, non parto con lo spiegone storico), portò alla luce alcune parole che, anche al giorno d’oggi, fanno fortemente pensare. Al di là della parte politica che sentiamo più vicina al nostro essere. Qui siamo davvero a un livello superiore al fatto di scegliere questa e quell’altra fazione.
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà […]
Queste parole hanno più di 100 eppure sembrano essere scritte ora. Sinceramente, più mi guardo attorno più vedo che, troppo spesso, ci si siede aspettando che succeda qualcosa. Non c’è più voglia di vita attiva (tanto per citare un altro dei miei grandi miti storici e filosofici) in nulla di ciò che ci possa toccare. Che sia l’indifferenza il vero e proprio protagonista della nostra epoca? Io credo proprio di sì. Facciamo una sorta di test: provate a mettervi a pensa a quante volte, nella vostra vita, avete avuto vicino (non importa in che ruolo) qualcuno che non si è mai preso la briga di scegliere nulla. Una persona che si siede sulla riva del fiume e attende che passi ciò che più può andare bene per lui o lei. Vi viene in mente nessuno? Io potrei scrivere una lista di almeno 10 pagine. Allora non posso fare a meno di chiedermi se sia io a essermi attorniata da persone non-parteggianti perché parteggiavo già abbastanza io (e quindi mi sono fatta sfruttare per mia personale scelta) oppure se, per davvero, non ci siano più né la voglia né il desiderio di schierarsi.
Il gioco della vita

In un’epoca in cui certi diritti sembrano conclamati – più che conquistati e giustamente vissuti – il fatto di non scegliere è già una scelta? Lo so, sembro Marzullo. Non posso però fare a meno di chiedermi se il fatto che l’impegno stia storicamente e progressivamente calando (parlando in linea generale… ovviamente ci sono le eccezioni) ci possa portare in un’epoca in cui nessuno più parteggerà e tutti saremo (o saranno, magari io non ci sarò più) giocattori (neologismo per dire sia giocatori che attori) della squadra dell’indifferenza. Scenario distopico? Non direi. Assomiglia molto di più già alla nostra realtà. Schierarsi implica fatica decisionale e fatica nel sostenere la decisione che abbiamo preso. Sia essa relativa alla musica che ascoltiamo, ai film che vogliamo vedere, ai libri che vogliamo leggere, alla vita che vogliamo per noi. Per davvero la vita più facile ci sta portando a non curarci più di nulla?
Credo che la volontà di schierarsi sia parte di tutto ciò che facciamo. Nei viaggi, nella vita, in tutto. Posso tranquillamente continuare a scomodare le parole di Gramsci.
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Indifferenza & Co: il podcast

Torna il podcast oggi. Torna perché ho un sacco di voglia di raccontare questo mio eterno parteggiare. Nella vita, nel viaggio, nella letteratura, nei miei interessi. Perché sono tutti ingredienti di un’unica cosa: me stessa. E voi? Voi parteggiate in qualche modo?
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