
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenzaInferno, Canto XXVI, vv. 118-120, AD 1300 circa
Dante, ovviamente. Non c’è bisogno di dirlo. 720 anni fa circa – il “circa” è d’obbligo perché non abbiamo una data precisissima per la composizione della Divina Commedia – Dante metteva al mondo dei versi che riecheggiano ancora ora e che hanno perfettamente senso. Questo è il senso di eternità dato dalla letteratura e dall’arte. Quel senso al quale io mi inchino tutti i giorni e che sono felice di contemplare. Contemplo, ugualmente, la rinascita del Tiglio Attiglio, qui fuori dalla mia finestra. Guardo Attiglio e penso a quanto un albero possa essere maestro di vita. E questo lo sapete già, se mi leggete da un po’. Attiglio, con il sentore dello scorrere del tempo su di sé, è per me davvero un maestro in tutto e mi ricorda quanto importante sia l’essenza che abbiamo nell’anima. In tutto. Ecco perché, come dice Dante, dobbiamo considerare la nostra semenza. O scemenza. Fate voi.
L’abilità del raccontarsi balle

Giochi di parole a parte – Dante mi vuole bene e mi perdonerà – e megalomania da parte mia, sto pensando a quante balle ci raccontiamo perché ci dimentichiamo della nostra semenza, della nostra essenza, quel seme che racchiude esattamente cosa vogliamo da noi. Il fatto è questo: spesso ci diciamo “non so cosa voglio da me” quando in realtà è solo la paura a parlare, a non farci guardare nello specchio e non farci piantare quel seme per vederlo crescere. Avete presente quando si acquistano due cose uguali e di una si dice “la tengo da parte perché magari l’altra si rovina“? In una frase così ci potremmo vedere della lungimiranza. A volte, però, è solo paura. Quella paura che non ci fa crescere, che ci fa cadere negli stessi errori, che non ci fa guardare all’altro (amico, complice, amante, qualsiasi cosa vogliate) con tutta la sincerità che sarebbe dovuta. La paura ci fa dimenticare la nostra semenza e ci fa vivere – usando di nuovo Dante – come bruti.
Virtute e canoscenza
Invece noi dovremmo seguire – e continuo- e perseguire virtute e canoscenza. E lo dice Ulisse. L’eroe del “nostos“, quella parola che ora è impressa per sempre sulla mia pelle. Ulisse parla di virtute e canoscenza., mica io. Lo dice Ulisse quando, con le parole che Dante gli mette in bocca, sprona i suoi uomini a vivere nel modo più degno. A seguire quella che è, per l’appunto, la loro essenza. Questa cosa mi fa pensare a una cosa che mi porto dentro da tanto. Ho già provato a scriverne ma, secondo me, non mi è uscito bene il concetto. Quando penso alla parola “semenza“, mi viene in mente la famiglia. La famiglia è seme e inizio di molte cose: è parte integrante del nostro imprinting culturale. Un sacco di anni fa, durante un viaggio molto bello in Irlanda (il primo sull’isola di Smeraldo), parlavo con un mio caro amico del fatto che esistano famiglie-punto e famiglie-linea. Le famiglie-punto sono quelle che potrei definire più stanziali, più concentriche. Le famiglie-linea sono quelle che si distendono lungo una retta infinita, restando unite anche nel loro dispiegarsi. Parlavamo di come fossero diversi i nostri concetti di famiglia e, ancora oggi, quando mi trovo a spiegare a qualcuno le dinamiche della mia famiglia totalmente vagabonda, ricorro alla similitudine con punti e linee. Un po’ come dire che siamo tutti diversi. E va bene così.
Da seme ad albero

E va bene così, appunto. La cosa importante è considerare la nostra semenza e tenerne conto. Ci sono dei semi che diventano delle piante bellissime. Come l’Albero Euclide oppure l’Albero Attiglio. Si trasformano: cambiano forma ma non essenza. A volte i semi sono elementi fuorvianti: sono ricoperti da uno strato che non li rivela per quello che sono davvero. Avete presente il nocciolo di una pesca? Ecco: il seme non è mica quella cosa rugosa e rossa? Il seme è bianco latte ed è dentro quella cosa. Considerare la nostra semenza implica anche il fatto di riconoscere davvero la nostra primaria essenza, che potrebbe essere diversa da come nasciamo. Tornando a parlare di punti e linee: un punto potrebbe essere una retta ingrumata. La retta un punto che non si è ancora raccolto. Perché sto scrivendo di queste cose oggi? Perché penso a quanta gente, anche intorno a me, non considera la propria semenza per paura di chissà che cosa. Magari di una vita che non sia proprio come ce la immaginavamo. A voi è mai capitato? Io ho tralasciato la mia semenza per anni, in virtù di un rapporto nel quale credevo molto ma, dentro al quale, non sarei mai sbocciata. Lo stesso può capitare parlando di lavoro, nel puro rapporto con noi stessi e – udite, udite – anche in viaggio. E qui volevo arrivare.
Il podcast: la semenza, in viaggio

Già, il podcast. La settimana scorsa – shame on me – non sono riuscita a scriverlo e a registrarlo. Tutta colpa della primavera (ma voi leggete: non riuscivo a concentrarmi a dovere e così ho dilatato i tempi di tutto quello che dovevo fare. Inutile raccontare balle). Il fatto è questo: considerare la nostra semenza, quando si viaggia, è importantissimo. Fare un viaggio che – come dicono in tv – non sia nelle nostre corde forse potrebbe non essere proprio il massimo. Ho una domanda, però, a riguardo: e se fosse proprio un viaggio così a rivelarci chi siamo? Ne parlo nel podcast. Voi raccontatemi di quelle volte in cui un viaggio fuori dagli schemi (per la vostra essenza) si è rivelato quasi profetico. Ve l’ho mai detto che sono curiosa?
Le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Il podcast me lo tengo per domani andando al lavoro (sotto la, spero, pioggia). Per il resto quanta verità in questo post e quanti spunti!
Molte volte abbiamo paura di esprimere a noi stessi quello che vogliamo in quel momento, come se il restare fermi fosse in qualche modo migliore che il tendere verso dove vogliamo andare.
La nostra vera essenza fonda per forza nella famiglia (volenti o nolenti), da lì partono le nostre radici che poi dobbiamo saper innaffiare per trasformarci in begli alberi e portare altra semenza in giro per questo pianeta. E tutti siamo diversi e veniamo da famiglie diverse, che ci hanno inculcato cose diverse. Le nostre radici non possono essere uguali e forse questo è il bello di questo pianeta (se tutti lo capissimo di più).
Che bello che mi ascolti sempre, Elena! Sono felice di accompagnarti al lavoro.
Poi mi dirai cosa ne pensi di questa puntata.
Per quanto riguarda le radici, io credo siano importantissime e ce ne sono di tutti i tipi: per questo è bello anche soffermarsi a pensare a un concetto così.