
Oggi è un giorno pieno di due: 22/2/2022, già la data farà impazzire tutti gli appassionati di numerologia. Oggi, per la mia personale storia di vita, è il compleanno della pandemia. Tanto per restare in tema di due, era il 22/2/2020 quando, intorno alle due del pomeriggio, entravo dalla porta della mia casa col maglione invernale, la giacca in mano, la valigia al seguito e tutti i miei racconti su Manchester da scrivere. Oltre a questo, quel momento ha segnato un turning point fondamentale per me. Quella sera, mentre guardavo il telegiornale, iniziavano a parlare di quel famoso paziente zero di Codogno. L’Emilia-Romagna blindava i confini un paio (sempre due) giorni dopo. Oggi, per me, sono due anni di pandemia. Due anni che non mi sarei mai aspettata di vivere. Oggi ho proprio voglia di scrivere qualcosa perché spero con tutto il mio cuore che questo sia l’ultimo anniversario da ricordare a tal proposito.
Le fasi del superamento di un dramma

Gli studiosi della psiche umana – non io di certo ma i professionisti – dicono che ci siano varie fasi del superamento di un lutto. Tante cose a questo mondo possono essere considerate un lutto, non solo la morte di qualcuno di caro. Ci può essere la fine di una relazione, così come la fine di un’amicizia o, per come la vedo io, la fine di una fase della nostra vita. Due anni fa, noi abbiamo detto addio alla vita così come l’avevamo sempre conosciuta. Per chi, come me, si aggira sui 40 anni (anno più o anno meno), è stata difficile per vari motivi: a differenza di tanti adolescenti che sono stati privati di punto in bianco di un’affettività che stavano iniziando a costruire, a noi è stato tolto “il gioco più bello“: quella vita di contatto che è sempre stata nostra. Noi eravamo quelli che suonavano il campanello malgrado la moda imperante di mandare un messaggio quando si era sotto casa di qualcuno. Noi eravamo ancora quelli che riuscivamo a passare le serate parlando. Abbiamo sempre avuto una gamba negli Anno ’90 e una nel presente. Ma non è di questo quello di cui vorrei parlare ora. Fasi del superamento di un dramma. Quali sono?
- Fase della negazione: non è vero che quella cosa sta succedendo.
- Fase della rabbia: vero e proprio punto fondamentale. Arriva quando ci arrabbiamo per quello che è accaduto.
- Fase della contrattazione: se faccio questo, magari le cose migliorano.
- Fase della depressione: è quando la tristezza ha la meglio anche sulla nostra volontà.
- Fase dell’accettazione: è il momento finale, quando ci rendiamo conto che qualcosa è accaduto ma possiamo andare avanti. Dobbiamo e vogliamo andare avanti.
Perché cito queste cinque fasi? Perché, a mio avviso, sono state anche le fasi di questi due anni di pandemia. Che, va detto, non sono finiti perché la pandemia non è stata dichiarata finita ma un po’ più di luce c’è. O almeno io la vedo.
Prima e dopo

Un anno fa, di questi giorni, scrivevo un post che parlava di quanto la nostra vita fosse in panchina. A mio avviso ero all’inizio della fase di accettazione perché iniziavo a rendermi conto di quello che la pandemia mi aveva tolto e quello che, però, la pandemia mi aveva dato. Rileggendo le mie parole, mi rendo conto di quanto più facessi riferimento a quello che avevo rispetto a ciò che avevo perso. Oggi, a due anni da quel momento, comprendo in pieno – e qui sono nella fase dell’accettazione più pura – che quello che avevamo non ci sarà mai più, se non tra tanto tempo. Ieri mi dicevo una cosa: che belli i tempi in cui perdevi un aereo perché ti eri messo a fare shopping in giro per l’aeroporto o dormivi da qualche parte, anziché attendere il testo di un antigenico rapido Fit to Fly. Che belli i tempi in cui, arrivare in tempo al gate, era davvero una questione solo tua; quei tempi in cui mostravi documento e boarding pass senza avere gli occhiali appannati o comprendendo in pieno ciò che diceva la persona vicino a te. Mannaggia le mascherine! Belli i tempi in cui, prima di uscire di casa controllavi solo di avere le chiavi. Ora la lista è lunga: chiavi, telefono, green pass, disinfettante, mascherina, fazzoletti per pulire gli occhiali. Aggiungiamo altro?
Come diceva mia nonna

Mia nonna Cecilia iniziava molti dei suoi racconti con “sti ani” che, in dialetto veneto, non è dicerto l’indicazione di una parte ben intima del corpo di una persona. Era come per dire “ai miei tempi” e lei mi raccontava, soprattutto, dei tempi prima della Seconda Guerra Mondiale. Mi parlava delle feste, di quanto si ballava in giro per le contrade, dei pranzi fatti con non so quante persone. Poi faceva – anche con il tono della voce – un volo pindarico ai giorni successivi e mi raccontava spesso quanto ci mise a riabituarsi alla vita senza problemi, bombe o ufficiali tedeschi che venivano a controllarti casa. Mi chiedo – e non posso fare a meno di farlo – se questa pandemia sia il nostro segno storico forte. Nella mia vita da quarantenne ci sono vari prima e dopo, a livello di vita. Penso al prima e dopo l’Europa Unita: quando varcai il primo confine aperto nel 1992, senza dovermi fermare, fu speciale. Era il confine tra Germania e Belgio, non lo scorderò mai. Penso al prima e dopo l’Euro e quella prima volta che andai in Austria senza il pensiero di cambiare i soldi. Penso al prima e dopo l’11 Settembre 2001, a quei momenti in cui potevi partire da casa con pranzo e acqua nello zaino, passando i controlli temendo solo che ti notassero l’enorme panino al salame che ci si preparava per i viaggi lunghi. Ora ci sarà un prima e – speriamo – dopo Covid19.
Due, sempre due
Two, due, zwei, dos, deux… in quanti modi possiamo contare? In quanti modi possiamo dire il numero due. Dentro quella breve parola, almeno per me, oggi c’è dentro davvero tutto il viaggio fatto restando a casa, avendo paura di uscire, ascoltando i messaggi che il comune dove vivo diffondeva. Quel “state a casa” ripetuto a tutte le ore del giorno e della notte. Poi è arrivato il momento totale della solitudine per me: il primo compleanno senza nessuno. 5 mesi senza vedere mai nessuno dal vivo. Qualcosa di impensabile e, se mi giro indietro, non ci credo ancora. Non ci credo che sia successo e non ci credo di avercela fatta. E poi mi guardo ora, nel mio presente, e vedo che non solo sono sopravvissuta. Sono sempre più io. Sono passata attraverso il pianto, le crisi d’ansia di esattamente un anno fa. Sono passata attraverso la negazione di due anni fa quando dicevo “non mi possono chiudere in casa“. Sono passata attraverso il setaccio di una pandemia, la cui intensità era arrivata ai miei occhi solo attraverso alcuni racconti di fantascienza. Ho scoperto, quindi, che la vita vera è più fantasiosa di qualsiasi romanzo. Ho capito che quello che pensi che non accadrà perché “ah è solo un telefilm”, in realtà potrebbe anche accadere. Ho capito che, per quanto possa essere difficile, non solo si sopravvive: ma si vive con una voce nuova, con uno sguardo nuovo. Con tutta la forza che non sapevamo nemmeno di avere. Ah, quella che vedete è l’ultima foto che ho scattato in un mondo senza pandemia. Che resti agli atti.
Two: il podcast

Non sapevo se sarei riuscita, ieri, a dare vita anche al podcast. Sono giorni un po’ presi in cui mi servirebbero giornate di almeno 48 ore per poter fare tutto. Ma ce l’ho fatta. Ascoltatelo: come sempre si mescola al post di oggi ma indugia un po’ sulla questione dei viaggi “prima e dopo“, su quello che, per sempre, mi mancherà.
It’s Times like these You Learn to live again
It’s Times Like these You Give and Give again
It’s Times like these You learn to love again
It’s Times Like these time and time again
Times like these – Foo Fighters – 2007
Ho appena finito di ascoltare il podcast e mi sono trovata in momenti con i lacrimoni e momenti in cui ho riso molto.
Speriamo sia fare davvero vivendo il momento tra prima e dopo.
Grazie per le bellissime parole
Grazie a te, che passi sempre di qui per dirmi come la pensi e che effetto ti fa ciò a cui do vita!