
Avete presente come iniziavano certe barzellette che, almeno quando ero piccola io, si raccontavano iniziando con “c’erano un italiano, un francese e un tedesco in un bar“? Ecco. Il post di oggi inizia con me che vi dico di immaginare un bel tavolo di un pub o di una birreria, uno di quelli in cui ci si siede con l’intento di stare lì un’oretta e poi si passa l’intera giornata in chiacchiere e sorrisi. Scegliete l’ambientazione che più vi aggrada e immaginatevi seduti con un fantasma, un qualcosa di bello e una persona che per voi è presenza pura. Poi, ovviamente, ci siete voi. Sul tavolo mettete quello che più vi potrebbe piacere: le lasagne, la pizza, una torta, quello che volete. L’intento di quella riunione è il fatto di far dialogare le parti, profondamente, un po’ come accade durante la partita a scacchi de Il Settimo Sigillo di Bergman. Con un po’ più di vitalità rispetto a quel capolavoro svedese. Oggi, cara la mia gente, si parla di fantasmi. O meglio, ci provo.
Tra mostri e spirito

Lo sapete che la parola Ghost e la parola Geist (rispettivamente inglese e tedesco) hanno ovviamente la stessa origine. Fantasma, in tedesco, si dice in tanti modi perché la parola Geist è più intesa come spirito. E se la gioca alla grande nell’accostamento linguistico-etimologico con Seele, che sarebbe l’anima. A seconda del tipo di fantasma, in tedesco si usano parole diverse: c’è Gespenst se è un fantasma che spaventa, Spukgestalt (che io adoro come parola) se è più un’immagine che una presenza. Poi c’è Schatten che si usa più in senso figurato, che va bene anche per dire ombra. Tipo “i fantasmi del passato” o cose simili. Linguistica a parte (lo sapete che, per me, è meglio di un porno), da un dialogo quasi sociologico e filosofico avuto con la mia migliore amica la settimana scorsa, mi sono resa conto che ci sono davvero tanti fantasmi intorno a noi. La cosa potente – e a dir poco preoccupante, direi – è che questi fantasmi non sono spiriti che vagano tra un mondo e l’altro o la nostra nonna che viene a controllare se dormiamo ogni notte (giuro, a me succede: ascoltate il podcast): si tratta di persone vive e vegete che, però, soccombono al peso della responsabilità di una vita normale. Soccombono così tanto che spariscono, di dileguano, non proferiscono più parola. Avete sentito parlare del fenomeno tutto contemporaneo del ghosting, vero? Hanno dato a questo comportamento un nome che richiama l’idea del fantasma, che sarebbe di per sé una presenza, per delineare una vera e propria sparizione.
Questione di Ghosting

Cercando su Google la parola “Ghosting” compaiono oltre 16 milioni di risultati. Tanti, ribadisco, per un qualcosa che indica la non-presenza anziché il contrario. Cito da Wikipedia “Ghosting deriva dall’inglese to ghost (=muoversi furtivamente) e dal suffisso -ing, ad indicare un comportamento elusivo proprio come i fantasmi“. Dicono, sempre su Wikipedia, che il termine sia stato coniato dal NYTimes dopo che Sean Penn e Charlize Theron si lasciarono. Se non ricordo male, il ghost fu proprio lui. La domanda nasce spontanea: i fantasmi sono elusivi? Faccio mente locale e cerco dentro la mia testa tutta la letteratura gotica e horror che ho letto (e che rileggo) nel corso della mia vita. Quando, in qualche libro o storia raccontata, compare un fantasma c’è tutto tranne che elusione. Per sua stessa definizione da dizionario, elusione è l’evitare qualcuno o qualcosa. Il fantasma, però, nella maggior parte dei casi infesta, tormenta, si fa sentire in qualche modo. Trovo giusto, invece, definire un ghost chi svanisce, proprio perché scompare proprio come fanno certi fantasmi. Vi è mai capitato di subire del ghosting? Io ne parlavo giorni fa, come scrivevo prima. Come molti altri comportamenti e attitudini, anche il ghosting è diventato più marcato grazie all’uso costante che abbiamo di web e algoritmi vari. Un tempo – e ne scrivevo circa un anno fa – si arrivava sotto casa, si suonava e ci si vedeva faccia a faccia. Ora la tecnologia aiuta a valicare le distanze ma rende anche più comodo e facile il fatto di svanire. Non prendetemi per una boomer, ma preferivo il tempo in cui ci si parlava, magari con il cuore a mille, un nodo in gola e mille pianti davanti a qualcuno che un “è online e ha visualizzato” con una mancata risposta come conseguenza.
Rispondere è cortesia… (educazione, direi)

Se, da un lato, sono la prima a dire che le cose chiare sono le uniche che dovrebbero regolare la nostra esistenza, dall’altro mi dico che la possibilità di sapere se qualcuno ha letto o meno il nostro messaggio ci sta togliendo quell’umana e lecita speranza che le cose possano andare diversamente dalla cruda realtà. Il problema, però, non è solo la gente che visualizza e non risponde o non si fa più vedere. Il problema è che questo comportamento è ormai conclamato anche in ambienti in cui non dovrebbe esistere. Parlo, per esempio, del lavoro. Come molti freelance, io passo molti miei momenti lavorativi a mandare preventivi e parlare nella speranza che si concretizzino delle buone collaborazioni. Rifiutare un preventivo è un’azione lecita e legittima per chiunque nel mondo del lavoro. Rifiutare facendo ghosting proprio no. Trovo che questo comportamento sia più diffuso di quanto dovrebbe esserlo: aziende e professionisti “cassano” la tua proposta solo non rispondendo più alle tue mail. Che il ghosting sia diventato tipico anche nel mondo professionale mi fa pensare che, con tutta probabilità, la nostra società sia già profondamente ammalata di mancanza di responsabilità. Un comportamento applicato al mondo delle relazioni è approdato, quasi come se gli si fosse stato aperto il cancello con tanto di tappeto rosso, nel mondo professionale. L’invasione, cara la mia gente, è completa.
Finale di partita

Al tavolo che vi avevo chiesto di immaginare, però, non c’è solo il fantasma in rappresentata del cruento e al quanto imbecille mondo del ghosting. A questo tavolo c’è anche Sua Maestà la presenza, che guarda il ghosting con aria di sfida come a dire “poveretto…”. Al mio tavolo, almeno è così. Sono mesi – e cavolo se sono fortunata – in cui mi rendo conto quanto, alla veneranda età di 44 anni in fila per sei col resto di due, Sua Maestà la presenza sia sempre qui con me. Qui, con una qualità di rapporto davvero speciale: perché il mio amore è per la gente speciale. A questo tavolo c’è anche una cosa bella, in rappresentanza di tutte le cose belle che arrivano davanti alla mia porta. Oggi ci metto un’alba vista un paio di giorni fa mentre viaggiavo verso la stazione. Per prendere un treno che mi avrebbe portato a qualcosa di bello in presenza. Guardo il mio telefono e vedo le chat della gente che c’è. C’è nella mia vita in un modo del tutto speciale, personale, solo mio. Solo nostro, direi. Perché io sono con loro. Questo batte il Ghosting mille punti a zero. Resta però una grande domanda: perché cazzo la gente (adulta, maggiorenne, con una vita propria che sembra del tutto normale e responsabile) si lascia andare al ghosting? Affrontare gli altri è davvero così spaventoso?
Di fantasmi e cose simili: il podcast

Il podcast di questa settimana è, as usual, un puzzle di cose spettacolari: c’è il racconto del fantasma della mia nonna, come un paio di presenze incontrate in viaggio. C’è un po’ di invettiva verso il mondo del ghosting perché, per quanto io ami essere una adultescente, proprio non c’è posto per qualcosa di simile per la mia vita e quella delle persone che stimo e che apprezzo. E il resto? Ascoltate…
I got guns in my head and they won’t go
Spirits in my head and they won’tI’ve been lookin’ at the stars tonight
And I think, oh, how I miss that bright sun
Spirits – Strumbellas – 2016
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