
“L’anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma…“. Ogni anno da metà degli Anni ’90, in questi giorni, io penso all’incipit de Il Piacere di Gabriele D’Annunzio. Penso all’anno che sta per finire non come una persona che muore ma come una persona che si assopisce, si addormenta e poi si risveglia quando la festa è finita, con nessuno in giro e se ne va dal luogo in cui si trova con un sorriso dolce-amaro sul volto, guardandosi indietro solo un minuto. Mancano pochi giorni alla fine dell’anno e io, proprio come tutti, tiro le somme di un 2021 davvero potente. Rileggo quel che scrissi alla fine del 2020. Sorrido, con la stessa espressione che ho descritto qualche riga fa, ma con più forza e gioia: sto portando con me i miei doni. Tanti doni.
Donare, liberamente

Donare è una delle parole più antiche che ci siano mai state. La sua radice arriva fino a noi partendo direttamente dall’indoeuropeo e, successivamente, dal sanscrito. In questa antica lingua, la parola dâna (dalla radice dâ) significa dare liberamente. Diverso da dare dietro richiesta. In latino divenne danum prima a donum in epoca classica. Donum, doni. Seconda declinazione, neutro… perché il dono è di tutti e non ha una pratica connotazione di genere. Se, nel 2020, dicevo a tutti di studiare semiotica, nel 2021 consiglio di darsi liberamente alla linguistica. Sono discipline considerate di nicchia e solo per esperti di lingua, grammatica, letteratura e così via. Dovrebbero essere materie più raccontate, non solo insegnate, perché la nostra vita ne è pregna. Pregna di doni, di liberi gesti che comunicano all’altro una cosa spontanea e personale. Il dono è questo. Ci sono doni che riceviamo e doni che facciamo, anche a noi stessi. Quali?
Il dono del tempo
Fermatevi un secondo e provate a pensare a quello che sto per chiedervi: il tempo, in questo 2021, è volato o si è fermato? Sono giorni che tento di trovare la mia personale risposta e oscillo come un pendolo tra queste due realtà contrapposte. Da un lato, proprio come mi era successo nel 2020, mi è sembrato che quest’anno si sia volatilizzato. Il primo momento di incontro con la vita, per me, è avvenuto a fine aprile, a fine di 5 mesi di esilio. Quei 5 mesi pesano ancora sulla mia anima come il più grosso di macigni. Da un lato, mi sembrano volatilizzati: che cosa ne ho fatto di questi 5 mesi in casa? Ho pianto un sacco, ho sperato un sacco, ho ragionato un sacco. Oltre che a tantissime attività quotidiane che non sto qui a elencare. Sono state tante ma non mi hanno trasformato in una gestrice migliore delle mie quattro mura. Il tempo mi è sfuggito. Il tempo mi ha segnato. Continuo ad alternare, dentro me, queste due affermazioni. Lo sento tutto addosso questo 2021, nel bene e nel male. Nell’analizzarlo, però, ci vedo molto più bene. Ci vedo la forza che mi è arrivata addosso con quelle lacrime che mi solcavano il volto tra gennaio e febbraio. Ci vedo la volontà di non cedere quando il trigemino mi faceva impazzire (per tre mesi: mai successo prima in vita mia) e io ero qui da sola fisicamente ma mai moralmente. Avevo il cuore pieno di gente e questo è stato un altro dei doni che ho ricevuto. Il tempo è stato portatore di tante cose. Il tempo è stato un dono.
Il dono del cuore pieno
Siete di quelli che, a inizio anno, fanno buoni propositi? Io poco. Memore del 2020, mi ero detta che avrei riempito il 2021 di gente. Se guardo ai primi mesi di quest’anno, sinceramente, ci vedo solo me. O meglio, ci vedo solo me in apparenza. Non sarei giusta, infatti, nel dire che sia stato un anno in cui ho visto poca gente. Diciamo che era iniziato molto stringente, in quanto a incontri di persona. Ma non di persone. Vivo in una regione che è praticamente sempre stata rossa e, per mesi, sono ricorsa alla tecnologia per vedere le mie persone. Anche quelle più vicine. Non appena si è ricominciato a muoversi, per lo meno in regione, è arrivata la seconda incognita: eh, aspetto di fare il vaccino. E poi, per fortuna, è arrivato anche quello. Da lì in poi è stato tutto un abbraccio, tutto un vediamoci, tutto un certo che sì. Sono tornata a dire sì alle persone alle quali volevo dire sì, alle sensazioni alle quali volevo dire sì. Qualcuno mi ha amabilmente detto che io me ne stavo con la porta chiusa solo perché lo volevo io. Una volta aperta la porta, avrei avuto la fila. È stato così? Certo, almeno in parte. La porta che ho veramente aperto è stata quella del cuore, fino ai luoghi più profondi dove da tempo non abitava nessuno. Il mio cuore si è riempito di persone ed è stato magnifico. È magnifico perché quelle persone sono lì e io le amo profondamente, ognuno a modo proprio, ognuno nel luogo dove vuole abitare dentro di me. È successo tutto in modo così naturale e meraviglioso: come bere del tè e lasciare che sto che stai per deglutire ti abiti. E tu vuoi che ti abiti.
Il dono che non tocchi… ma che c’è
C’è una cosa che faccio tutti gli anni a Natale. Scarto i regali la mattina del 25 e poi lascio per qualche giorno i regali sotto l’albero. Mi piace godermi le lucine dell’albero nella mia stanza con l’illuminazione bassa e vederli lì sotto quasi come fossero i promemoria che mi lascio io, in giro per la casa, scritti su dei post-it verde acqua. Quei regali sono lì per ricordarmi la bellezza del dono materiale che rappresentano: una tazza che riporta l’esatta tonalità del rosa che adoro, così come un libro a fumetti su Pasolini. Proprio lì vicino a Pasolini c’è un altro libro perfetto. Perfetto per me, intendo. Tra i doni che ho ricevuto c’è un Bug Hotel… che non vedo l’ora si riempia di vita. E poi c’è Ten che è più di un diamante. Non sto facendo una lista e non voglio fare torto a nessuno. Sto guardando quei regali nel loro insieme. Ci sono tutti questi oggetti – passatemi il termine – che mi ricordano qualcosa di più del loro significato diretto e materiale: sono la presenza totale di qualcuno nella mia vita. Di tanti qualcuno che sono nella mia quotidianità anche se non posso toccarli sempre. Dentro quegli oggetti c’è il loro pensare a me. Mi guardo attorno e mi rendo conto di essere stata davvero tanto fortunata in questo 2021. Il sentirmi aperta in due a livello di anima ha permesso alla luce di entrare. Un po’ come succede con la crepa sul muro nel Doctor Who. Da lì filtra il mondo e tutto ciò che può essere. Il 2021 mi ha conosciuta piena di punti di domanda, con uno squarcio enorme che cercavo di lenire e di guarire. Mi ha vista guerriera e battagliera, così come debole e stufa di tutto. Alla fine di quest’anno, quello che posso dire è che ne ho ancora le palle piene della pandemia e, probabilmente, ce ne vorrà ancora per uscirne. Alla fine di questo 2021 vedo quella crepa enorme dentro di me essersi riempita di terra, di semi. La vedo fiorita anche se è inverno. La sento sostenermi. Un po’ come se i miei piedi si fossero appoggiati su di un terreno forte, dopo tanto vagare. Ecco il dono che mi ha fatto quest’anno. Un dono che non è pari a nulla. Per questo, grazie 2021.
I miei doni: il podcast

Parliamone: nel podcast di questa settimana c’è davvero di tutto di più. Un po’ a ruota libera perché, a fine anno più di ogni altro momento, ci sta alla grande. Con questo, il podcast nel 2021 conta 39 episodi che voi – grazie, grazie, grazie – avete ascoltato davvero tanto. Più di quanto mi aspettassi. A ruota libera, dicevo. Questo è un podcast in cui vi racconto i capodanni dei tempi che furono, quando me ne stavo in giro senza preoccupazione e prendevo aerei come se non ci fosse un domani. Buon anno nuovo a tutti!
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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