
L’altro giorno, qui a casa, stavo per fare merenda: avevo appena fatto i biscotti e ho pensato “mi faccio il tè e ne mangio qualcuno“. Poi la mia mano è finita nel cesto della frutta e ha pescato una pera. Dentro di me mi sono detta che il giorno in cui diventi grande è quello in cui, invece di mangiare i biscotti, scegli coscientemente la frutta. È così anche per voi? Stiamo vivendo giorni magici, quelli che aprono la strada al solstizio di invero, a Yule. Sono giorni magici perché buio e luce si rincorrono e perché sono momenti in cui i regali arrivano e ci fanno sentire proprio come quando eravamo bimbi. Ieri, giorno di Santa Lucia (molto importante per me), mi sono svegliata con la stessa sensazione di gioia nel cuore che avevo da bimba. Giorni fa, ho guardato per l’ennesima volta qualcosa legato alla storia di Alice nel Paese delle Meraviglie e mi sono sentita proprio come quando vidi il cartone della Disney la prima volta. Ancora prima, mentre partecipavo all’evento del Castello di Babbo Natale in Fortezza Alta, parlavo con i bimbi accorsi per vedere Babbo Natale e non sentivo distacco tra il loro animo e il mio. Eppure io ho quasi 42+2 anni. Sicché mi sto chiedendo, per davvero, cosa ci faccia diventare grandi.
Cosa ci rende adulti?

Me lo chiedo spesso: cosa ci rende adulti? Non so se vi ricordate quello che scrivevo quando iniziai a organizzare il mio viaggio a Seattle. Mi dicevo – giusto per convincermi del fatto che non fossi tanto silly – che la felicità è sempre un qualcosa di lecito. Mi chiedevo, scrivendo quel post, se ci fossero motivi meno leciti, a una certa età. per essere felici. Il mio percorso di crescita, ora che ci penso, è sempre stato strano. A 6 anni ero responsabile per me stessa con tanto di chiavi di casa: tornavo da scuola e stavo quasi sempre da sola. A me sembrava normale. Ho sempre avuto una fantasia capace di lavorare tanto e, ancora oggi, la faccio marciare a passi lunghi e ben distesi come se avessi 6 anni. Mi sono chiesta, tante volte, se questo fosse normale. Dopo tanto ragionare, mi sono convinta che la mia fantasia sia una delle mie migliori amiche e non tolga nulla al caterpillar responsabile che sono. In poche parole: la mia fantasia non toglie nulla ai miei quasi 42+2 anni. Lo sapete che, dai 42 anni (complice la Guida intergalattica per autostoppisti), si contano gli anni così, vero? Essere fantasiosa, avere la mia personale Wonderland, non è fuggire dalla realtà ma è viverla come la voglio vivere io. Con i piedi per terra e una testa capace di salire sugli alberi senza mai abbandonarmi. Allora, davvero, cosa ci rende adulti?
La mia adultinfanzia

In introduzione del post vi dicevo che mi sono sentita adulta perché ho scelto di mangiare una pera anziché un biscotto. Mi sento così quando scelgo di farmi un minestrone anziché impastare la pizza. Mi sento così quando l’anima stride se non ho rifatto il letto al mattino (cosa che faccio irrimediabilmente sempre da quando avevo 7 anni), se non piego il bucato quando l’asciugatrice finisce, se non pago le bollette in tempo. Se non consegno un lavoro in tempo. Se non lavoro quando dovrei. Guardo al mio passato e vedo un’adulfanzia (età adulta+infanzia) totale, seguita a ruota da una adultescenza totale che si mescola con una completa età adulta. Il simbolo della mia adultinfanzia sono state le chiavi di casa che ho avuto, come vi dicevo, fin dalla prima elementare. Sono adulta per come voglio gestire la mia vita. Sono un’adultescente per come sento la mia vita. Allora, di nuovo, mi chiedo se questo sia sbagliato. Ho capito, nel tempo, che non c’è mai nulla di totalmente sbagliato, tranne fare del male agli altri, al mondo e a se stessi.
La mia adultescenza

Mi sento adultescente (perché non posso dire di sentirmi bimba) quando sogno e voglio realizzare i miei sogni. Mi sento adultescente quando guardo gli alberi e parlo con loro. Mi sento adultescente quando faccio, dentro di me ma non solo, l’elenco di tutte che le cose che piacciono a me: il non-compleanno, la magia di certi periodi, i desideri confessati alla luna, i miei personali incantesimi da recitare almeno 3 volte. Mi sento adultescente perché, per me, è sempre il 1995 per molte cose: la musica, in primis. Il modo di vestirmi, in secondo luogo. E, badate bene, portare ancora le camicie a quadri (che, ve lo ricordo, sono tornate di moda) non mi rende meno donna o meno desiderabile. Non potete nemmeno immaginare i reggiseni che ci metto sotto quelle tshirt con i disegni di Miyazaki o con l’immagine dello Stregatto. Il segreto è quello: viversi come adultescenti perché ci si sente così, non perché faccia figo esserlo. Sentirsi così per poi sapere che c’è il nostro io adulto lì, pronto a saltar fuori quando serve. E non devo raccontarvi io quando serve, vero?
Adulfanzia, adultescenza, diventare grandi e viaggi: il podcast

La settimana scorsa non ho registrato nessuna nuova puntata del podcast perché ero intenta a partire. Capire i propri limiti e non voler sempre far tutto è un altro segno che si è nell’età adulta. By the way. Che cosa vi racconto nel podcast? Restiamo sul tema del “diventare grandi”. Parlo di mondo e di viaggi, ovviamente, oltre che dei fattacci miei. Quello che vi chiedo è questo: quali sono stati i viaggi che vi hanno fatto capire che eravate diventati grandi?
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