Era un po’ che non pubblicavo un’intervista, vero? Sto lavorando su un po’ di cose a riguardo e non mancherò di raccontarvi libri, musica, viaggi e chi più ne ha più ne metta. Sto entrando in contatto con persone dalle storie interessanti e, come spesso succede, tutto ciò capita per caso. È successo così con Francesco Gallina, autore di un libro sul rapporto tra Heavy Metal e pittura. Lì per lì sono rimasta sorpresa di questo accostamento ma poi ci ho pensato un po’: l’heavy metal è un genere musicale con dei rimandi culturali immensi che vanno dalla musica classica, alla storia, alla mitologia e alla letteratura. Penso agli Iron Maiden e The Ryme of the Ancient Mariner di Coleridge, così come a Enter Sandman dei Metallica e il racconto di Hoffman. Non avevo mai approfondito il rapporto tra heavy metal e pittura ma l’ho fatto leggendo il libro di Francesco. E, ve lo dico, mi sono venuti in mente almeno 10 viaggi da fare. Nel frattempo, leggete l’intervista a Francesco e scoprire il suo magnifico libro.
Ciao Francesco, raccontaci in poche parole chi sei.
Ciao Giovy. Innanzi tutto grazie per lo spazio che mi stai concedendo sul tuo blog, uno dei più interessanti del panorama italiano. Purtroppo sono un logorroico da competizione, per cui contenermi in poche parole è sempre difficile per me, ma cercherò di accontentarti. Ho cominciato all’età di diciassette anni come speaker radiofonico e scrivendo inizialmente per la fanzine di Torino «Metal Fortress» e poi per la sua evoluzione «Inferno Rock», la prima rivista italiana dedicata all’heavy metal regolarmente diffusa in edicola. Dal 2005 faccio parte della redazione della metal webzine «metallized.it». In questi anni con loro ho messo insieme oltre 2000 tra recensioni, live report, articoli di approfondimento a sfondo sociale e culturale e interviste ad alcuni tra i personaggi più in vista della scena metallica internazionale. Come scrittore, oltre a alcuni racconti brevi pubblicati da Perrone Editore, a essere presente con un intervento in un libro sui Queen e ad aver curato le prefazioni di alcuni libri di successo dedicati al mondo del metal e dintorni, nel 2019 è uscito il mio volume «Donne rocciose – 50 ritratti di femmine rock. Dalla contestazione alle ragazze del 2000», seguito nel 2020 da «Adepti della Chiesa del Metallo». Di quest’anno «Dipinto Sull’Acciaio – del rapporto tra heavy metal e pittura», tutti per Arcana Edizioni. In sostanza sono un malato di musica e scrittura. E spero di essere contagioso, visto che servirebbero solo malattie del genere in un periodo come questo, invece di quella che ci troviamo ad affrontare nella realtà.
Qual è il tuo rapporto con la musica e cosa ti ha portato ad amare il metal?
Come ti ho detto, per me si tratta di una malattia. O meglio: di una medicina per affrontare la vita. Per quanto riguarda il rapporto col metal, quando è realmente profondo si vive come una religione, come un atto di fede. Come risponderebbero molti seguaci di una religione intesa come devozione verso un Dio, la fede la hai o non la hai. Deve esserci una predisposizione naturale che puoi scoprire precocemente per quanto è forte (come nel mio caso) o per restare in tema religioso, essere folgorato sulla via di Damasco, ma verrà comunque fuori. In generale la musica è parte essenziale della vita, terapeutica valvola di sfogo dalle tensioni e dalle paure del quotidiano, consolatrice e confidente oltre quanto chiunque potrebbe fare in quanto capace di coprire ogni singola sfumatura dell’animo umano. Il metal è l’unico genere capace di farlo con tutti, presentando un numero di sottogeneri davvero difficile da calcolare, ognuno dedicato a una certa sfaccettatura della nostra psiche. Oltretutto inglobando in sé qualunque altro stile possa mai essere stato concepito dall’uomo. Tutte tematiche che ho affrontato nel mio libro precedente, «Adepti della Chiesa del Metallo». Ma un grande ruolo gioca pure il fiero rifiuto di certe convenzioni ipocrite. Per autocitarmi proprio da quel libro e per descrivere come abbia preso coscienza di questa necessità vera e propria:
… si inizia ad ascoltare metal […] per istinto, per Dna, perché per alcuni è impossibile fare altro. Perché ci nasci, perché lo hai dentro, perché per qualche oscuro motivo senti una spinta irrefrenabile a cercare una musica che non sai nemmeno se esista e come sia fatta; ma la cerchi. La brami perché ti fa schifo quello che fanno gli altri, perché odii il vuoto degli atteggiamenti e dei comportamenti altrui, perché d’istinto non sopporti le ragazze che guardano solo chi indossa abiti firmati e quelli che indossano abiti firmati solo per farsi accettare dalle ragazze. Perché ne assorbi l’elettricità dall’aria satura degli sguardi ostili delle signore che cambiano strada quando passi. Quelle che ti guardano come se avessi un turpe Belzebù accovacciato su una spalla intento a fissare le loro grazie virginali. Perché sotto sotto ci godi quando i genitori dei ragazzi bene impongono ai loro figli di non frequentare certi drogati che finiranno male come te, mentre tu non fumi nemmeno sigarette normali e sono proprio i loro figli ad avere i sottosella dei motorini pieni di sostanze strane e perlopiù proibite dalla legge. E poi per reazione verso l’abulia del posto in cui cresci, per la sua assoluta falsità e ipocrisia […] Perché daresti fuoco a […] gente il cui unico scopo nella vita è indebitarsi per acquistare automobili da usare come sostituti del pene e poi indebitarsi di più per trasformarle in insulse discoteche su ruote mediante elaborazioni […] comprendenti l’installazione di uno stereo che vale più del mezzo stesso e per wattaggio può competere con quello che i Motörhead avrebbero considerato eccessivo per un loro concerto […] Perché non puoi dirlo a nessuno e per mille altre ragioni simili […] si inizia ad ascoltare metal [una musica] che era per tutti noi come un veleno elettrico che invadeva ogni cellula, ma da cui poi ti mitridatizzavi subito, regalandoti un’incantevole assuefazione alla sostanza tossica più bella che ci fosse al mondo.
Hai scritto un libro che si chiama “Dipinto sull’acciaio”. Perché hai scelto questa tematica?
Per due motivi essenziali. Intanto perché la pittura è un’altra delle mie passioni e fonderla con quella principale è stato naturale. La molla principale, però, è quella che fa da sfondo alla mia opera in generale: stabilire una volta per tutte come heavy metal sia uguale a cultura nel senso più alto e completo del termine. Credo che le 500 pagine di «Dipinto Sull’Acciaio» possano essere davvero esplicative in questo senso. Specialmente se lette da chi non è avvezzo a certi suoni e a certe immagini forti. L’iconografia del metal (un altro degli argomenti trattati in «Adepti della Chiesa del Metallo»), così repulsiva per coloro i quali non possono o non vogliono dedicare del tempo ad approfondire certi temi, ha una spiegazione psicologica e filosofica precisa. Ed è da considerare in larga parte come direttamente derivante dalla grande arte prodotta dall’uomo almeno negli ultimi 1000 anni. Dilagando nel mondo delle graphic novel e nella cultura pop attuale. Argomenti che, tra l’altro, non mi risulta siano stati affrontati da nessuno da questa particolare angolazione.

Il tuo libro è davvero pieno di informazioni: scegli tre connessioni tra metal e arte e raccontacele.
Il lavoro di ricerca dietro il libro è stato davvero estenuante e questa fase è stata più faticosa della stesura vera e propria. Le connessioni sono davvero infinite. Una delle principali è quella con la musica classica. Poi ci sono quella con la pittura e tra le tante altre, quella con la letteratura. Per quanto riguarda la prima possiamo notare in larga parte del metal (anche primordiale) un filo diretto con la musica classica nell’uso di soluzioni armoniche, di certe scale, della costruzione e dell’arrangiamento di molte canzoni che riportano direttamente alla classica. Una relazione che nel corso degli anni si è palesata in modo clamoroso con l’esplosione del symphonic metal e le esibizioni in contesti importanti insieme a orchestre sinfoniche. A questo proposito posso consigliare la visione di «Forces Of The Northern Night – Live in Oslo Spektrum 2011» dei Dimmu Borgir, eccellente fusione di classica, estremo e teatralità. E poi con l’irrompere sulla scena di voci femminili di impostazione tipicamente lirica. Molte della quali – Floor Jansen, Tarja Turunen, Simone Simons, Marcela Bovio e altre – inserite in «Donne rocciose». Quello con la pittura risulta così chiaramente osservando una massa di copertine di area metal e derivate, da avermi indotto a scrivere «Dipinto Sull’Acciaio» auto limitandomi a 500 pagine anche in presenza di molto altro materiale potenzialmente utilizzabile. Questo penso basti a chiarire il concetto. Spesso, poi, la parte visuale degli album viene legata a opere letterarie di grandissima valenza che ho in parte indicato nello stesso libro. Un esempio mainstream per chi segue il genere potrebbe essere «Rime of the Ancient Mariner» degli Iron Maiden, trasposizione del poema di S.T. Coleridge. Ma come ho già detto, è solo uno dei tantissimi esempi che si potrebbero indicare. Alla fine tutto questo porta sempre alla stessa conclusione: il metal è una vera cultura, esattamente al contrario di come la maggioranza pensa.
Questo è un blog di viaggi e a tutti gli intervistati chiedo di raccontare tre posti nel mondo da vedere. Quali sono i tuoi e perché?
Ti propongo tre itinerari che sono direttamente legati a «Dipinto Sull’Acciaio». Intanto quello che guarda all’Inghilterra e ai suoi musei, che so essere apprezzati anche da te. Quindi Londra e la Tate Gallery per vedere ad esempio “The Ghost of a Flea” di Blake, usato per la copertina di “The Chemical Wedding” di Bruce Dickinson o “The Fallen Angels in Hell” di John Martin, utilizzato per la copertina di “Angel Witch” del gruppo omonimo e su vari altri lavori minori. Ma bello poi spostarsi anche in zone meno di massa come York per vedere “Christ Stilleth the Tempest” o Newcastle upon Tyne, dove presso la Laing Art Gallery è esposto “The Destruction of Sodom and Gomorrah”, ambedue ancora di Martin. Il primo copertina di “Vast Oceans Lachrymose” dei While Heaven Wept, il secondo di “Glance Fron Unreality” dei milanesi Valas. Ma l’Inghilterra è un serbatoio inesauribile di itinerari arte/musica heavy.
Un altro guarda al Nord Europa seguendo la storia di un pittore come Kittelsen, tanto poco conosciuto qui da noi quanto importante per l’identità culturale norvegese e per una certa scena musicale estrema. A volte troppo. Quindi la contea del Telemark, la visita alla casa museo denominata Lauvlia in quel di Sigdal, a nord di Prestfoss e al Museo Theodor Kittelsen a Blaafarveværket, che si trova vicino alle miniere di cobalto sulla cresta Skuterudhøyden. Questo in modo da contestualizzare lo spirito di lavori quali “De Profundis Clamavi” dei From Depths o “Fielltronen” dei Woengraven. Escludendo l’Italia che dovrebbe essere ben conosciuta sia a livello museale (ma non per le infinite connessioni col metal, purtroppo), si potrebbe seguire una direttrice “boschiana” che da Lisbona e dal Museo nazionale d’arte antica e il “Trittico delle tentazioni di S. Antonio” porti al Museo del Prado a Madrid per “Il Giardino delle Delizie”. Poi lo spostamento all’Accademia di belle arti di Vienna per ammirare il “Trittico del Giudizio di Vienna”, quindi la Gemäldegalerie di Berlino per “San Giovanni a Patmos e storie della Passione” e infine Gand per recarsi al Museum voor Schone Kunsten, dove è allocata “La salita al Calvario”. Dipinti presenti su album di Deep Purple, Celtic Frost, High Tide, Saviour Machine e Trouble solo per citare i più noti. Una soluzione “moderna” e inusuale potrebbe essere quella di varcare l’oceano per dare un’occhiata alla Morrison Hotel Gallery e vedere, tra le altre, le opere fotografiche di Steve Joester, autore della postfazione del libro. Per poi spostarsi a bordo di un autobus Greyhound e raggiungere in circa otto ore il “Frazetta’s Fantasy Corner” a East Stroudsburg, in Pennsylvania, per ammirare le opere di Frank Frazetta. Così siamo però a quattro.
Per molti, il metal è un genere molto Anni ’80: cosa possiamo dire su questo genere nell’epoca attuale?
In realtà non è affatto così. Il metal non può morire perché è legato all’insofferenza, alla non accettazione, all’emarginazione, alla ribellione e alla voglia di vivere. Situazioni che interesseranno sempre l’esistenza di una grande massa di persone. L’esplosione degli anni ‘80 è stata come una supernova, ma poi, anche se l’industria ha tentato di strangolarlo, l’heavy metal è sempre sopravvissuto tra alti e bassi commerciali, ma non di fede. Certo, se pensiamo che sia rimasto lo stesso di 40 anni fa siamo fuori strada, come per tutte le faccende umane. Ma il bello è che in questo campo non si dimentica nulla, non si lascia per strada niente. Molte band continuano a suonare come all’epoca dei primi album dei Maiden o dei Venom, ma i nuovi generi e sottogeneri che sono fioriti nel frattempo sono infiniti e hanno ibridato qualsiasi sfumatura proveniente dal resto della scena musicale. Arrivando all’avanguardia vera e propria passando da band diversissime tra loro come Sunn O))), Ne Obliviscaris, Leprous oppure Oranssi Pazuzu, gruppi ricadenti nel calderone metal che però non hanno quasi nulla in comune con quelli degli anni 80. Un’altra cosa che amo dire è che il metal è la razza Borg della musica. Assorbe e metallizza qualsiasi altro stile, dalla classica al reggae al jazz o oltre, rendendolo qualcosa di nuovo e diverso. Un altro dei motivi per cui non può andare in crisi al di là delle sentenze di miei coetanei restati con la mente cristallizzata nel passato. In altre parole: “voi sarete assimilati, la resistenza è inutile”, eh eh eh.
[riprendo la parola io, la Giovy]
Quando ho chiesto a Francesco di essere intervistato, ero certa che ne sarebbe uscito qualcosa di davvero bello. Il suo libro è davvero massiccio (come ricorda lui, sono 500 pagine davvero dense) ed estremamente potente per la sua capacità di mettere in moto le sinapsi. Io vivo circondata dalla musica e dalle parole. Scrivo (quasi) tutto il giorno e non c’è momento in cui la radio non sia accesa o qualche cd (sì, uso ancora i cd, sono vintage) non giri nel mio stereo. Spesso si pensa alla cultura come qualcosa di pesante, che ci affligge quando siamo a scuola e non consideriamo mai quanto ne sia permeata – per fortuna, lasciatemi dire – la nostra vita. Così come lo studio del latino, del greco, delle lingue straniere, della storia, della filosofia, la musica apre la mente. Apre la mente di chi vuole lasciarsela aprire Il viaggio, secondo il mio modo di vedere le cose, dovrebbe fare altrettanto. Il libro di Francesco è perfetto per chi ha voglia di spalancare, letteralmente, le porte della percezione. Tanto per citare William Blake (ripreso poi da Aldus Huxley e poi ancora dai Doors). Io mi appresto all’acquisto di Donne Rocciose, così… per dire. Ringrazio Francesco per la sua disponibilità e per essere entrato su questo blog con delle risposte spettacolari: cibo totale per la mente e l’anima. E grazie mille per i complimenti sul blog: accetto, sorrido e gongolo.
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori e Francesco Gallina – riproduzione vietata.
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