
Solitamente è il martedì il giorno di Giovy’s Life (ovvero la spadellata di fattacci miei) ma, perdonatemi, sto giro è il mercoledì. Mentre scrivo questo post non è ancora il giorno in cui dovrò tornare in Italia ma, quando questo post verrà pubblicato, quel giorno sarà appena trascorso. Oggi (per la cronaca sto iniziando a scrivere questo post domenica 26 settembre, circa alle 22 dell’ora di Tenerife), ho compiuto il mio consueto giro dell’isola. Così consueto da diventare rituale. E ne ha ben ragione: ogni mio viaggio a Tenerife prevede – sempre a caso, perché lo decido all’ultimo – un giorno in cui mi dedico al giro completo del perimetro dell’isola. Chilometro più o chilometro meno. Che cosa ho capito in questo on the road canario? Che io sono l’oro in mezzo a loro. Ora vi spiego tutto. Mettetevi comodi.
Quando è ora di tornare
Lo sapete come sono fatta. Tornare non è mai facile per me. Tornare, però, è parte stessa del viaggio. In qualche modo, prima o poi, si torna a qualcosa. Non è detto che sia il punto da cui siamo partiti. Geograficamente parlando, io torno esattamente da dove sono partita. A livello interiore, proprio no. Non è mai così. Sto pensando che tutti i miei viaggi hanno un significato interiore per me e questo è stato una sorta di presa di coscienza totale. Ma involontaria. Avete mai avuto la sensazione di riconoscevi in qualcosa per poi dirvi “non avrei mai pensato di essere così“? Ecco, proprio quella sensazione. Questo viaggio mi ha portata a contatto con la mia sostanza. Senza saperlo. E sono stata io la prima ad ammetterlo, totalmente in modo involontario.
εμπάθεια

Avete presente l’empatia? Ecco, proprio quella lì. Quando ero piccola e ho imparato a descrivermi (e, nel farlo, a conoscermi) dicevo sempre di me che ero simpatica, che piacevo a tutti e che avevo tanti amici. Così è sempre stato. Poi è arrivato qualcuno che mi ha detto che ero come la Maieutica Socratica. Ho capito che, per qualche strana ragione, ho un modo tutto mio di sentire il mondo. Anzi: tutti abbiamo un modo ad personam di percepire il mondo. Io sento il mondo che mi parla e no… non ho le allucinazioni. Gli alberi, le cose, gli oggetti, gli animali mi dicono il loro nome perché, come ho scritto tempo fa, quando chiami le cose col proprio nome le riconosci le e le fai vivere. C’è chi dice che questa sia empatia e a me piace questa parola. In greco antico si scrive εμπάθεια ed è composta da en (dentro) e patos (sentimento o dolore, sofferenza). Di per sé indica quella capacità di sentire le cose dentro di sé. Un tempo scrissi che l’empatia salverà il mondo e ne sono ancora convinta. Non tutti, però, sono destinati a essere empatici e, quando non lo si è, bisogna trovare il proprio modo di sentire e percepire il mondo. Studiarlo, per esempio.
Tra due forze

Perché vi parlo di empatia? Semplice: l’altro giorno ho capito di più su di me proprio grazie a questa capacità. Ero intenta a fare il mio consueto giro sul Teide. Devo farlo almeno una volta in ogni viaggio qui a Tenerife. L’anno scorso, quando ero sull’isola de El Hierro, ho percepito la forza dei vulcani in un modo totale. Quando sono qui a Tenerife, sento sempre la forza del Teide ma, stavolta, è stato ancora più forte. Nel mio on the road intorno al vulcano, sentivo una sorta di morsa tra stomaco e cuore. Come se qualcuno mi stringesse con la mano per farmi capire quanto forte fosse la sua energia. In quei momenti mi sono riempita così di vita da non riuscire a reggere quella sensazione e, guidando verso la costa, ho pianto per buttare fuori tutto quello che sentivo. Era come se io mi stessi infondendo di una forza così grande da non riuscire a reggerla. Qualcuno mi ha detto che provo questo perché sono fisicamente più sensibile all’elettromagnetismo di altre persone. Questa, in poche parole, sarebbe la spiegazione scientifica dell’empatia. Che sia questo oppure no, la sensazione che provavo era fortissima e io ne ero attratta, da un lato, e sentivo di dovermene allontanare, dall’altro. Mi sono fermata vicino a un belvedere a metà strada tra la cima del vulcano e l’oceano. Ho preso il telefono e raccontato a qualcuno come mi sentivo. Scrivendo il messaggio mi è uscito “e io sono l’oro in mezzo“. Ma volevo dire “sono in mezzo a loro“. Sicché è come se mi fossi definita come l’oro in mezzo a Terra e Oceano. Pretenziosa? Forse. Il lusso di avere 42+1 anni è che, probabilmente, riesco a vedermi esattamente per quella che sono.
Sono l’oro…
Sentirsi oro in mezzo a due elementi così forti non è essere supponenti. È essere consci di essere stati creati da vari elementi. È comprendere quanta alchimia ci possa essere nella vita di tutti noi. È capire che tutti siamo davvero preziosi, ognuno a modo nostro. Ognuno di noi è oro in qualche modo. Lo sapete: ogni mio viaggio su questa isola ha un che di speciale per me l’interno di me stessa. L’anno scorso sono arrivata qui letteralmente a pezzi. Quest’anno, invece, sono arrivata intera e felice, in cerca di qualcosa di sempre più grande per cui gioire. Ho ritrovato il colore dell’oceano. Ho sentito il potere del vulcano su di me. Ho nuotato così tanto da farmi venire mal di schiena. Ho viaggiato in lungo e il largo per non so quanti chilometri. E ho capito di essere l’oro in mezzo a loro: tra il vulcano e l’oceano. Due forza che mi danno energia e che mi ricordano, a modo loro, che devo sempre gioire di tutto. Anche quando la forza che mi viene donata è così forte da (pensare di) non riuscire a reggerla.
Last but not least: dopo il mio pianto liberatorio, sono risalita in auto e la prima canzone uscita dalla radio è stata Gold degli Spandau Ballet. Se non è empatia questa… (oppure è proprio karma della musica).
Gold (gold)
Always believe in your soul
You’ve got the power to know
You’re indestructable
Always believe inGold – Spandau Ballet – 1983
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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