
Sto pensando a Coleridge. Sono giorni – ma proprio tanti – che penso a Coleridge e alla sua The Rime of the Ancient Mariner. Perché? Semplice: mentre ero in vacanza, ho riflettuto molto sul silenzio. In generale. Sul suo valore, sui luoghi che abita o che non abita. Sulla sua totale impossibilità di esistere e sul suo essere musica. Ed è proprio qui che arriva Coleridge, con un verso della sua Rime in cui il silenzio diventa musica. The silence sank like music on my heart, scrisse Coleridge. Con quel “sank” che sa di onomatopea e che si lega perfettamente, a livello concettuale, con il fatto che il silenzio sia musica. E la musica silenzio. E il silenzio parola. E la parola silenzio. Complicato? Meno di quanto pensiate.
Il valore del silenzio

Ve lo raccontavo la settimana scorsa: in vacanza non ho fatto praticamente nulla se non – e non mi sembra poco – stare con me. Ascoltare me. Il mio silenzio e, con tutta probabilità, molto più la mia voce interiore che quella con cui parlo tutti i giorni e comunico cose al mondo. Il fatto è questo: il silenzio, di per sé, non esiste. A meno che non ci troviamo in qualche stanza isolata acusticamente e ovattata. Il silenzio è una condizione di assenza di suono totale. Nel nostro mondo, ora come ora, non c’è nessuna situazione che possa avvicinarsi. Possiamo essere soli, in un luogo sperduto ma non saremo mai in assenza totale di suono. Ci sarà un filo di vento, il canto di un uccello, il suono delle ali di un insetto. Noi stessi, pronti a respirare. Il silenzio è una condizione estremamente difficile da raggiungere, sia a livello interiore che esteriore. Ecco perché ha così tanto valore. Ecco perché lo aneliamo tanto. Lo vogliamo, lo desideriamo, soprattutto in alcuni momenti della nostra vita. Il silenzio interrompe il flusso delle cose: è l’unico elemento – se così posso chiamarlo – capace di schiacciare il tasto pausa sul mondo. Nel mondo. In noi.
Cercare il silenzio nel mondo

Tutto continua a sembrarmi un enorme ossimoro, scrivendo di silenzio. Pensare al silenzio genera comunque un flusso di parole dentro di me. E le parole fanno, a modo loro, rumore. Quando ero alle elementari – era l’inverno del 1985 – un pomeriggio (facevo tempo pieno) iniziò a nevicare. Le maestre, per tenerci buoni, dissero che il nostro silenzio avrebbe fatto nevicare di più. E così fu: la famosa nevicata del 1985 è ancora negli annali di molte città e paesi, compreso il mio. Storia personale a parte, ho riflettuto molto sui luoghi del silenzio nel mondo e ce ne sono proprio tanti. Spesso crediamo di dover andare da chissà che parte del nostro pianeta per vivere un’esperienza di totale silenzio quando, a volte, basta anche casa nostra. Tutto sta nel nostro atteggiamento. Frasi quasi scontate a parte, esistono però dei luoghi del silenzio, dei pezzi di mondo (vicino o lontano, non importa) dove poter mettere a tacere tutto e tutti. Anche noi stessi, se lo vogliamo. Nel mio vagare, ci sono stati molti posti così, anche luoghi di silenzio inaspettato.
I luoghi del silenzio: due posti importanti per me

Uno dei luoghi del silenzio più speciali che ci possano essere al mondo è l’Eremo delle Carceri, appena sopra Assisi, in Umbria. Luogo chiave per la vita di (San) Francesco e posto assolutamente spirituale. L‘Eremo delle Carceri è un luogo in cui il silenzio è richiesto per via della presenza di due conventi. Esercitarsi nel silenzio lì è qualcosa di davvero forte. Io sono andata in giro per il bosco attorno all’eremo e mi sono seduta per terra: per me il mondo, lì, si è fermato. Un altro luogo del silenzio – che poi non è mai silente – è la scogliera che guarda il piccolo paese di Aberdaron, in Galles. Lì è il vento a parlare ma l’anima è capace di mettersi in silenzio. La mia, almeno.
Quando il silenzio non è una scelta

Finora vi ho parlato di quello che penso quando il silenzio è una scelta consapevole, fatta per noi stessi e, quindi, piena di valore. Valore che va ad attaccarsi a quello che è principalmente un bisogno interiore. Ci sono dei momenti della vita in cui, senza volerlo, subiamo il silenzio come un’imposizione altrui o del mondo. Quei momenti, il silenzio ci sembra invalicabile e pesante. Non è più curativo ma diventa un coltello che apre in due cuore e anima. Tempo fa, scrivevo di quanto sia importante considerare il fatto di parlare, tra esseri umani. Quando due o più vite si compenetrano, in tutti i modi possibili, non ci può più essere silenzio imposto tra i due. A meno che non lo si introduca con un po’ di parole che suonano tipo “ho bisogno di silenzio“. Allora la situazione di assenza di suono è lecita. Anzi, doverosa. Io non so come la pensiate voi, mai io mi rendo conto sempre di più di come, in questi tempi così veloci che viviamo, non ci sia più la volontà di spiegare il silenzio. Per fortuna esistono rare e preziose eccezioni, di quelle che hanno i demoni nell’anima e non hanno paura di dirlo.
Il podcast: il silenzio a parole

Ecco un altro ossimoro: raccontare il silenzio in un podcast. È quello che mi è successo ieri. È quello su cui ragionavo da giorni. Ma cosa dico giorni: settimane. Tra silenzi cercati, silenzi subiti, silenzi compresi e silenzi incompresi, sono tornata a registrare il podcast dando vita a un grande ossimoro. Vi do solo un’anticipazione: ascoltando la puntata scoprirete alcuni luoghi del silenzio che non ho citato in questo post. Del resto devo pur invogliarvi in qualche modo… no?!
This seraph-band, each waved his hand,
No voice did they impart–
No voice; but oh! the silence sank
Like music on my heart.S.T. Coleridge – The Rime of the Ancient Mariner
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