Khorakhané è una di quelle canzoni di De André che non uscirà mai dalla mia anima. Ho fatto miei molti dei suoi versi, a iniziare da quel “a forza di essere vento” che mi sento proprio nel cuore. Ci pensavo una settimana fa, mentre la mia playlist di Spotify ha fatto partire questa canzone in un punto del mio viaggio dove io presto sempre attenzione alla canzone che sto ascoltando. Ovviamente scelta casualmente. Perché è il karma della musica a parlare. Là dove il cartello Toscana lascia spazio a quello che dice Umbria, si sono “appoggiate” magicamente le parole “a forza di essere vento“. E io mi sono commossa. Ora sono a casa, in Emilia. Una settimana in Umbria mi è sembrata una vita in Umbria ma, allo stesso tempo, un istante in Umbria. Sarà proprio per via del vento.
Come Mary Poppins…

Sono arrivata in Umbria proprio accompagnata dal vento e mi sono sentita dire “il vento era diverso stamattina. E sei arrivata“. Un po’ come fossi Mary Poppins. Al di là del fatto che la buona Mary sia infallibile e perfetta (e io no: ho sporcato di brutto una delle mie maglie preferite e ho rotto gli occhiali), mi piace come immagine e mi ci vedo ad approdare da qualche parte volando, proprio come fosse il vento il mio mezzo di trasporto. Apppena arrivata, sono andata a salutare tutto il mio mondo, a partire dall’Albero Egidio. L‘ho abbracciato e il ritmo del mio cuore è aumentato. Egidio, contenitore di vita (perché parte del suo tronco è cava e lì dentro ci vivono funghi, insetti, altre piccole piantine), ha ascoltato ancora una volta i miei racconti, la mia vita incasinata e mi ha restituito energia. Mancavo da quel luogo dal 1 dicembre 2020. 230 giorni. 230 giorni di vita sospesa. 5’520 ore di incasinamenti, pianti, sorrisi, lavoro, non-lavoro, piani fatti, piani saltati, esilio e uscita dall’esilio. 331’200 secondi di attesa. Giovy, l’hai capito o no che sei capace di attendere?!
La storia di Clori

Me lo chiedo: il vento attende? Il vento resta? Resta come vuole davvero? Quando penso al vento, penso sempre alla Primavera del Botticelli e alla parte del dipinto (guardando il quadro, a destra di Venere) in cui ci sono proprio Flora, Clori e Zefiro. La sapete la storia, vero? Leggetela nelle Metamorfosi di Ovidio. Io, intanto, ve la riassumo. Zefiro – vento – si innamora di Clori – Χλωρις, che per i romani diventa Flor, Floris – e la rapisce (la scena nel dipinto di Botticelli è bellissima perché Clori è proprio avvolta dal vento). Dopo averla amata, lei si trasforma nella Dea dei fiori, dei prati e dello sbocciare della Primavera. Diventa, per l’appunto, Primavera e nel quadro di Botticelli appare proprio anche nella nuova forma, con quel vestito colmo di fiori. Mi chiedo se Clori avesse atteso, in un certo qual modo, Zefiro e se sapesse sel suo arrivo. Badate bene: non di Zefiro in sé e per sé ma di un qualcosa che potesse portarla via. L’altro giorno, seduta all’ombra dell’Albero Egidio ho pensato a me e mi sono chiesta se, a forza di essere vento, io non sia diventata inafferrabile per mia stessa scelta. Qualcuno mi ha detto “tu non hai la fila fuori dalla porta solo perchè ti fai i cazzi tuoi“. Ci ho messo un po’ di malinconia in quel pensiero perché – me l’ha detto qualcuno – esistono persone altamente funzionali per la vita di molti e io, forse, sono tra di esse.
Essere in funzione…

Mi spiego meglio. Anni fa qualcuno mi disse che io sono nata per essere un capitano: sono una di quelle persone che nascono per essere il punto di riferimento per altri. È difficile diventare capitano. Lo si è e basta: è una questione di anima predisposta a questo. È il fare un passo indietro e guardare tutto da una prospettiva più ampia perché tu ci riesci e molti no. E allora è lì che “funzioni“: attivi quel tuo “perché essere al mondo” in funzione di qualcuno che quel perché l’ha sviluppato in maniera di versa. Ho ripensato a questo conceto quando mi hanno detto che sono come la Maieutica Socratica e che quindi sono, oltre che un qualcosa di funzionale, un metodo per tirare fuori dagli altri il loro meglio. Maieutica, ovvero μαιευτική, è una parola che ha in sé un’accezione genetrice, che genera, che dà vita. Agli altri. Non so se voi vi siete mai persi in un pensiero così ma io – per davvero – mi sono chiesta tante volte nei giorni scorsi quale sia la mia funzione nel mondo. Non il mio posto. La mia funzione. La funzione è semplice, la variabile non c’è… cantano i Subsonica. A me… che la matematica non sarà mai il mio mestiere.
Social Hangover

Un altro pensiero che ho fatto è che la settimana appena trascorsa è stata la prima fuori casa dopo 230 giorni. Dal 1 Dicembre, avevo passato al massimo 1 notte fuori casa. Ho letto, nei giorni scorsi, questa cosa del social hangover. Avete presente? Io sicuramente l’ho provato quando mi sono vista con la mia amica Elena a pranzo, a maggio. Sono tornata a casa provata come se avessi scalato un 8000. Felice ma provata. L’ho sentito quando sono stata a Pontremoli a scoprire le Statue Stele e a passeggiare in paese. Questa volta, dopo una settimana di Umbria, mi sono sentita più provata nell’anima che nel fisico. Provata nell’anima perché quel luogo ha arato il mio campo interiore. Ha aperto i solchi per seminare. Mi ha fatta sentire esposta e protetta. Tu sai difendermi e farmi male… sempre in tema di Subsonica. Esposta, arata, pronta alla semina (anche se detta così sembra brutto), pronta a fiorire anche se la stagione non vorrebbe fiori ora. Ma io ho le mie stagioni, il mio unico e personale tempo. Quel tempo che vivo a forza di essere vento. Vento che si sposta. Vento che avvolge. Vento che porta via. Vento che arriva per portare chissà cosa. A forza di essere vento, sempre. Ma non sarò mai inafferrabile per chi ama il vento nel suo essere forza assoluta.
Il podcast: i luoghi del vento

Il podcast di questa settimana è stato registrato di lunedì perché, come vi dicevo, ho passato una domenica un po’ asfaltante dal punto di vista della stanchezza e di altre incombenze di lavoro da portare avanti. Quali sono i luoghi in cui aveve vissuto più vento in assoluto? Ascoltate il podcast e poi raccontatemi tutto.
Il cuore rallenta la testa cammina
In quel pozzo di piscio e cemento
A quel campo strappato dal vento
A forza di essere vento
Porto il nome di tutti i battesimi
Ogni nome il sigillo di un lasciapassare
Per un guado una terra una nuvola un canto
Un diamante nascosto nel pane
Per un solo dolcissimo umore del sangue
Per la stessa ragione del viaggio viaggiare…Khorakhané – F.De André + Ivano Fossati – 1996
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