Ho scattato questa foto in Umbria, l’estate scorsa, e l’ho avuta in mente per tutto il tempo in cui mi sono buttata nella lettura di La verità è una cosa liquida, il primo romanzo di Letizia Dorinzi che, probabilmente, qualcuno di voi conoscerà come la creatrice di In cinque con la valigia, un blog di viaggi dedicato a chi va a zonzo con bimbi al seguito. Letizia è una persona che apprezzo molto e mi piace il suo modo di vivere il mondo. Ho comprato il suo libro non appena è stato pubblicato ma sono riuscita a leggerlo solo nei giorni scorsi. Perché lo metto nella lista dei libri da leggere assolutamente nella prossima estate? Ve lo racconto oggi ma, prima, intervisto proprio Letizia.
Ciao Letizia. Ci dici in poche parole chi sei?
Ciao Giovy, mi chiamo Letizia, classe ’75, traduttrice e copywriter di professione, blogger per passione. Ho tre figli, vivo a Merate, un paese della provincia di Lecco ma sono per metà marchigiana, una regione che sento come casa mia. Come chiunque apra un blog di viaggi, amo gironzolare con una predilezione per le mete nordiche e per il Regno Unito.
Il tuo libro si intitola “La verità è una cosa liquida”.
Come mai l’hai scritto e perché il titolo?
Fin da piccola sognavo di diventare Joe March, la sorella di Piccole Donne che voleva vivere di scrittura. Posso dire che la scrittura effettivamente mi dà da mangiare, anche la traduzione è una forma di scrittura. Ma il sogno grande era scrivere un romanzo, cioè mica solo uno. Il titolo, contrariamente a quanto accade di solito, è arrivato prima della trama. Vivevo un momento di grande confusione e rabbia, di rimescolamento dei rapporti umani, di analisi profonda. E ho pensato che in fondo non esiste una verità assoluta. Ognuno ha la propria verità che spesso differisce in modo incredibile rispetto a quella degli altri. Ecco perché la verità è una cosa liquida, si adatta al contenitore che la contiene.
L’ufficio di traduzioni per cui lavoravo, in seguito al calo drastico del lavoro, mi ha licenziata nel dicembre 2018 e non è stato facile ritrovarsi improvvisamente disoccupata a 43 anni. Avevo due strade: disperarmi e lamentarmi dell’ingiustizia del mondo oppure rimboccarmi le maniche e decidere di approfittare del tempo che avevo a disposizione per provare a realizzare il mio sogno: scrivere un romanzo. E così è stato. Ora ne ho iniziato un secondo, speriamo di finirlo presto.
Senza spoilerare nulla della vicenda che racconti, come hai dato vita ai personaggi? Parlo soprattutto di Tommaso, Marco e Amelia.
Tante persone che mi conoscono pensano che Amelia mi rappresenti. In realtà per certi versi credo di essere più simile a Laura, la sua amica. Ci sono due elementi autobiografici nel romanzo: l’esperienza dell’aborto e la casa nelle Marche, l’attaccamento al paese d’origine. Per il resto è tutta fantasia. Volevo costruire dei personaggi che sconvolgessero l’idea di buono o di cattivo. Tant’è che, nonostante Tommaso si sia comportato in modo indegno, a tratti viene quasi voglia di prendere le sue parti. E Amelia a volte la prenderesti a sberle, a volte vorresti solo abbracciarla. Marco, che sembra essere il buono della situazione, in realtà non ce la fa. Non capisce i segnali, è molto limitato da questo punto di vista. Insomma non c’è nessun personaggio da difendere a spada tratta dall’inizio alla fine. Tranne forse Laura, l’amica che tutti vorremmo.
Nel tuo libro si fa menzione a quel luogo dei ricordi che tutti noi abbiamo. Il tuo è quello del libro?
Sì, questa è davvero la nota più autobiografica. Quando Amelia risale le colline e le curve la portano ad arrivare al suo paese prova una grande emozione, che è la stessa che provo io ogni volta che esco dal casello dell’autostrada di Pedaso e guido verso Montelparo, il mio paese d’origine in provincia di Fermo. Ho scritto gran parte del romanzo proprio lì, ho scritto la parola fine proprio contemplando quelle colline che sono un vero e proprio toccasana. Ovviamente dico Marche, ma potrebbe essere Umbria, Toscana, Romagna, Abruzzo e, in generale, quel paesaggio collinare che il mondo ci invidia.

Visto che questo è un blog di viaggi, ci racconti tre posti che hanno davvero significato per te?
Il viaggio che mi ha segnata in modo profondo è stato quello a New York a 16 anni. Seguivo mio padre che era lì per lavoro e mentre lui era impegnato con le sue riunioni, io giravo per New York da sola, con una cartina e qualche dollaro in tasca. Salire sul ponte di Brooklyn con un pizzico di neve è stato un momento che definirei epifanico. Era il 1992, mi sentivo padrona del mondo, la città ai miei piedi tutta da conquistare, non c’erano cellulari né Google Maps, contavo solo su di me. Mi sembrava la città dei sogni, scuola di Saranno Famosi inclusa. Davvero, è stato indescrivibile, pazzesco. Nonostante con i miei avessi girato un po’ in Europa, è stata New York a fare di me una viaggiatrice, a farmi sentire una fame di mondo perenne, a farmi ammalare di Wanderlust.
Al secondo posto metto la Germania, la metto tutta. Ho fatto l’Erasmus lì ed è stata un’esperienza che mi ha davvero profondamente cambiata. Mi sentivo parte dell’Europa, al centro del Vecchio Continente, con il Wochenende Ticket, il biglietto del fine settimana che consentiva di viaggiare ovunque in Germania sui treni regionali per 35 euro in 5, che mi apriva mille opportunità. Ho girato quasi tutta la Germania, ad eccezione del nord che resta prepotente in wish list. E da quel momento non mi sono più fermata, ho girato l’Europa in treno notturno anche in solitaria (non amo particolarmente l’aereo) scoprendo angoli splendidi del nostro Continente.
Al terzo posto metto il viaggio di nozze in Australia e Isole Fiji. Perché l’Australia è meravigliosa e perché è stato in assoluto il viaggio più lungo che io abbia fatto. Mi sono sentita totalmente fuori dal mondo, i cellulari non prendevano, nessuno da casa mi poteva rintracciare. Sono stati 34 giorni spettacolari, roba da sposarsi solo per quello 🙂

Ultima domanda: ci sarà un seguito?
No, non credo ci sarà un seguito. La storia si esaurisce così. I sequel spesso sono minestre riscaldate. Ho deciso di cambiare totalmente genere, sto scrivendo un romanzo più a sfondo storico, ma sempre ambientato nelle Marche.
[riprendo la parola io, la Giovy]
Qualche anno fa, tornando dal TTG di Rimini, ero sul treno regionale che mi avrebbe portata fino a Modena quando, nel mio scompartimento, è entrata Letizia e si è seduta vicino a me. Benché entrambe reduci da una giornata in fiera, ci siamo messe a chiacchierare e abbiamo smesso a Bologna, quando Letizia ha cambiato treno. Proprio un paio di giorni fa parlavo del bello di trovare delle anime affini in giro per il magico mondo del web: ho sempre pensato che Letizia lo fosse e questa intervista ne è stata una riprova, per me, se mai ne avessi avuto bisogno. Ci sono un paio di frasi e di cose nelle sue parole che mi hanno fatto pensare che, se ci fossimo conosciute da piccole, saremmo state amiche da quel tempo. Del suo romanzo ho, davvero, apprezzato tantissime cose: in primi, ho adorato proprio quel fatto che nessun personaggio possa essere amato o disprezzato in toto. Nella vita, se ci pensiamo bene, è proprio così: viviamo tutti sulle linee delle nostre sfumature. C’è sempre la possibilità di essere dannati, così come quella di salvarsi. Ho amato anche il modo in cui, nel libro, si parla di quelli che potremmo definire gli anni della nostra adolescenza. Nei ricordi sembra tutto sempre bellissimo ma siamo sicuri che sia davvero così? Lo stesso vale per le relazioni e i rapporti umani: quelli raccontati da Letizia hanno in loro qualcosa di davvero reale. Leggete il libro perché vi porterà davvero in giro con la mente. E, per “in giro”, intendo dentro e fuori di voi.
Le foto senza caption sono o © Giovy Malfiori o © Letizia Dorinzi – riproduzione vietata.
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