
È successo di nuovo: c’è una canzone degli Afterhours che ascolto da anni – dal 1997 – e che, solo ora, mi rivela tutto di se stessa. È “Voglio una pelle splendida” e da lì ho tratto il titolo del post di oggi. Sicuramente dipende dal fatto che sono adulta o, almeno dovrei esserlo. Domenica scorsa ho registrato una puntata del podcast alla quale tengo davvero molto: racconta dei luoghi della stupidera, geografici o interiori che siano. Mi sono resa conto, sempre di più, di quanto in questo tempo di attese e incertezze totali (leggete: siamo tutti nella merda) ci sia bisogno di un pensiero superficiale che renda la pelle splendida, che ci dia luce, energia e che ci porti dritti alla superficie della vita. Perché essere in superficie è diverso da essere superficiale.
Superficie vs Superficiale

Il lemma del dizionario che riporta la definizione di superficie è immenso perché più è semplice la parola – di solito – più è profondo il significato. Di per sè, superficie e superficiale appartengono alla stessa famiglia. Se prendessimo le parole così come sono, ci renderemmo conto senza problemi di quanto carichiamo ciò che diciamo di accezioni positive e negative a seconda dei dettami culturali che viviamo. Se vi chiedessi di dare all’aggettivo superficiale una connotozione positiva o negativa, tutti rispondereste negativa. Lo so. Lo farei anch’io. In realtà, superficiale è un qualcosa che sta sulla superficie. Che c’è di male nel galleggiare nel mare della vita e, soprattutto, delle parole che usiamo per comunicare? Io me lo dico spesso: spogliamo le parole di quello che la società ha caricato loro addosso. C’è un libro meraviglioso di Gianrico Carofiglio che si intitola “La manomissione delle parole” che racconta di come, al giorno d’oggi, certe parole siano usate davvero in modo errato. Un po’ come quando giocavamo al telefono senza fili: iniziavi con casa e finivi con cosa. Una sola vocale cambiava tutto.
La stupidera, alleata di vita

Dicono che ridere sia come una medicina per il nostro corto, proprio dal punto di vista chimico. Non ricordo più quali siano le “ine” che la risata scatena (se dopamine o endorfine, ma va bene tutto), ma so che ridere ci fa sempre bene. In un momento storico come quello che viviamo ora, ridere è forse l’ultima cosa che ci viene in mente. Pensate un po’ il lapsus: avevo scritto è l’unica cosa che ci viene in mente. Poi ho corretto ma la mia mente mi vuole spingere da sola verso il concetto chiave di questo post: la stupidera. Avete presente quel riso incontrollato che ogni tanto ci prende e non sappiamo nemmeno perché? Ora pensateci un secondo: quando è stato che la stupidera si è presa il vostro essere e vi ha trasformati in entità ridenti? A me è successo poco più di una settimana fa e mi reputo fortunata per questo. Complice un po’ di confidenze e almeno mille Forever 1995, il riso è arrivato e si è preso sia me che la mia interlocutrice. E mai cosa fu più bella. Ho ragionato, quindi, sul fatto che ci siano dei luoghi – come dicevo in apertura del post – che riportano la stupidera dentro al cuore e al cervello. E se il nostro compito per casa fosse portare un po’ di stupidera in tutti i nostri giorni? Io lo faccio ricordando alcune cose. Luoghi, persone, momenti.
I miei luoghi della stupidera

Potrei parlarvi del campeggio dove andavo da adolescente; potrei parlarvi di quella volta che la mia compagna di banco del liceo ha detto mandòrlo al posto di màndorlo, perché la metrica della poesia che stava leggendo richiedeva uno spostamento di accento; potrei parlarvi di quella volta in cui, al mio ventunesimo compleanno, una semplice baita si è trasformata in the place to be. Potrei dirvi dell’Isola di Palmaria, di quell’ape car sulla quale ho rischiato la vita. Potrei raccontarvi mille cene, un abbraccio, un bacio in particolare, un divano arancione. La cosa che risulta da tutto ciò che vorrei raccontarvi è che i luoghi della stupidera sono dentro di noi e lì resteranno sempre. Potremmo tornarci per rimembrare chissà quante cose ma la verità è un’altra: siamo portatori sani dei nostri personali luoghi della stupidera. E che la stupidera, quindi, possa governarci almeno un po’, per sollevarci e portarci in superficie. Per darci quella felicità senza senso che ora ci viene tolta dal fastidio dei giorni che viviamo. Che ci viene portata via dalle restrizioni e dal quel “strega comanda colore” che trasforma le regioni ma che – no – non le fa giocare come quando noi eravamo piccoli. Credere nei proprio luoghi della stupidera, andarci mentalmente per stare bene dovrebbe essere un diritto. Un diritto che ci porti a quel pensiero superficiale che rende la pelle splendida, ci fa brillare ed essere stelle capace di illuminare l’universo attorno a noi.
Prendetevi del tempo, anche stasera o domani o quando volete. Qui c’è il podcast, la mia voce che racconta le mie personali stupidere eterne. La voglia di galleggiare sulla vita e di lasciarmi cullare per un momento, ora, sempre… a salvarmi, vieni a salvarmi… come dice quella canzone degli Afterhours che ho compreso in pieno solo a 43 anni. Alla buonora, Giovy. At last!
Lascia una risposta