
Giorni fa, quando ho intervistato Ice per parlare del suo cd, mi si è sbloccato un ricordo. O, almeno, così direbbero quelli supergiovani. Io mi considero solo giovane e basta e quindi mi viene da dire che mi si è aperto un file in testa. Uno di quei file con estensione .giovy che compongono l’archivio dei miei ricordi. Ho ripensato al viaggio in Messico fatto con la mia migliore amica 17 anni fa. Si può parlare oggi di un viaggio che, ormai, è diventato quasi maggiorenne? Certamente. Dipende sempre da come ne si parla: nel post di oggi vi racconto il mio amore per il Messico e, ripensando al modo di vedere il mondo di Jack London, ogni viaggio dovrebbe lasciarci dentro delle “impressioni eterne“. Almeno per me è così.
Quello che amo del Messico
Questo non è un post di consigli di viaggio, benché se ne possano trarre. Questo non è un post che consiglia questo o quell’altro posto per dormire o mangiare, perché è passato troppo tempo da quel viaggio e, benché io ricordi tutto alla perfezione (e, nel caso, esistono sempre i miei diari ad aiutarmi), non mi sembra proprio il caso di eleggermi a consigliera ufficiale. Quello che, però, posso raccontarvi è quello che ho provato in quel lontano settembre del 2004, in un viaggio di quasi tre settimane che ha portato me e la mia migliore amica da Città del Messico al Chiapas, e ritorno. Con giri immensi, non so quanti autobus presi di notte e un volo improbabile per tornare da Puerto Escondido alla Capitale senza farsi altre 18 ore shakerate come il migliore dei margarita. Questo post vi porterà nei meandri della mia mente e dei miei ricordi, dentro quei file con estensione .giovy che vi citavo prima. Ci sarà posto, però, per ricordare le cose buone, le cose belle, le cose forti, i pianti e i sorrisi e tutta la voglia di scoprire un luogo che, fino a pochi mesi prima, immaginavo soltanto. Una bella sera di giugno del 2004, io e la Fra eravamo alla festa dell’Unità di Milano, in uno dei ristoranti all’aperto dell’evento. Davanti a non so che bianco fermo e a un piatto di spaghetti con la bottarga che sembrava non finire mai, ci siamo dette che saremmo partite. Tempo due giorni e avevamo prenotato il volo: a settembre saremmo atterrate a Città del Messico.
Quello che amo del Messico: la strada fatta on the road (tanta, tantissima)
La strada on the road fatta in Messico è stata davvero tanta, tutta percorsa con i mezzi pubblici. Le ore sugli autobus sono state tante e mi hanno permesso, quando viaggiavamo con la luce del giorno, di osservare quella “faccia triste dell’America” cantata da Jannacci. Ricordo ancora la prima tratta, di non troppissime ore: da Città del Messico ci siamo spostate a Oaxaca. Passando sulle pendici del Popocatepl, perchè l’autobus che avevamo preso fermava anche a Puebla. Città del Messico, come saprete, è a 2200 metri circa mentre la strada che sale sulle pendici del vulcano arriva quasi fino a 2800. Quel viaggio ci ha fatto – stranamente – venire fare e siamo riuscire a comprare, proprio durante una delle soste, delle tortillas con patate che ricordo ancora alla perfezione.
Quello che amo del Messico: il cibo… e il mezcal
Ogni tanto, quando mi viene chiesto quale sia stato il paese in cui ho mangiato meglio in assoluto nel mondo, io rispondo sempre dicendo “il Messico“. Ed è proprio vero: tra tutti i viaggi che ho fatto un po’ ovunque, credo che il viaggio fatto in Messico mi abbia portato alla più grande varietà di cibo in assoluto. Non c’è stata una volta in cui io abbia detto “questa cosa non è proprio il massimo“. Io e la Fra abbiamo mangiato davvero in ogni tipo di luogo: dai ristoranti improvvisati lungo le strade, ai chioschi nei mercati, alle trattorie un po’ più organizzate ma sempre molto genuine. Se ci penso bene, non abbiamo mai mangiato due volte la stessa cosa e, pensando proprio alla produzione di frutta e verdura del Messico, ci è andata alla grande anche dal punto di vista nutrizionale. Come dite? La vendetta di Moctezuma? Mai avuto mezzo problema. La borsa dei medicinali è partita con noi dall’Italia ed è restata intatta dentro lo zaino: manco un cerotto abbiamo tirato fuori. Figuriamoci l’Imodium! Una menzione d’onore fa fatta al mezcal, bevuto soprattutto a Oaxaca e al barista che – vinto dalla nostra capacità di bere – ci ha lasciato la bottiglia sul tavolo senza chiederci un pesos in più.
Quello che amo del Messico: la sua archeologia
In tutti quei giorni a zonzo per il Messico, le esperienze fatte sono state molte. Abbiamo dato grande spazio, ovunque le trovassimo, alle rovine del mondo Azteco, Maya e Zapoteco. La giornata passata a Teotihuacan e la salita alla Piramide del Sole resterrano dentro al mio cuore per sempre. La vista da là in cima, il fiatone per quelle maledette ignobili scale e per l’altitudine, i miei “Fra, siamo in montagna, ci ustioniamo” e i nostri – perché è stato un pensiero collettivo – “ma ti pensi che Frida è venuta qui” sono ancora qui dentro la mia anima che fanno su e giù come un bimbo in altalena. Ricordo alla perfezione lo stupore della scoperta di Monte Alban, la rovina zapoteca che mi ha lasciato senza parole. Per non parlare poi del lungo viaggio verso Palenque, del caldo di quel pezzo di Chiapas quasi a soli 60 metri sul livello del mare. Dopo settimane passate sempre oltre i 2000, scendere a quell’altitudine è stato come immergersi in un liquido denso. Umidità o vento di montagna a parte, il Messico sa stupire dal punto di vista dell’archeologia. Come si fa a dimenticarlo?
Quello che amo del Messico: la sua storia
La storia e la cultura del Messico sono vastissime. Quando si fanno gli esami di storia dell’America Latina, all’Università, la storia del Messico è davvero una parte consistente ed è davvero fondamentale per capire l’andamento di molto di ciò che è accaduto tra Centro e Sud America tra il 1790 e, almeno, il 1940 circa. Il Messico, oltre alle civilità precolombiane, racconta una storia meravigliosa che può essere vissuta visivamente iniziando dai Murales di Diego Rivera a Città del Messico, dentro il Palazzo presidenziale, e può portare fino alle mura esterne di un piccolo museo del Chiapas dove si racconta la saggezza della medicina Maya. Tutto in Messico, se ci pensiamo, è storia. La cultura messicana è vasta e grande e può abbracciare 10, 100, 1000 viaggi alla scoperta di quella terra meravigliosa.
Quello che amo del Messico: la forza della gente
Scomodo nuovamente Jack London e il suo modo di vedere e raccontare il mondo: sono le persone che, spesso, sulla nostra strada sono capaci di fare la differenza e di modificare anche la nostra percezione di un luogo. Se c’è un posto, tra tutti quelli visti durante il viaggio in Messico, capace di avermi dato tanto, quello è stato senz’altro San Juan Chamula, in Chiapas. Per la Fra e me è stato la meta di una gita di un giorno che, però, ci ha aperto una finestra enorme sul mondo Maya e su quanto ci siano tradizioni capaci di valicare il tempo e lo spazio. E, giusto per rincarare la dose, approdare ai giorni nostri in modi inaspettati. Guardo spesso le foto fate a San Juan Chamula: avevo una macchina fotografica tradizionale e sono tutte stampante e incollate su un album. Proprio vecchio stile. Ho anche il formato digitale ma le guardo sempre “dal vero“. Come mi viene da dire ora. Ricordo ogni singolo incontro di quel giorno: quelle bimbe che mi rincorrevano per avere qualcosa da me o quando pesos per farsi scattare le foto. Poi c’erano quelle che scappavano, convinte – da brave maya – che la macchina fotografica rubasse loro l’anima. Quando sarà vecchissima, praticamente una highlander, e mi chiederanno di un momento emozionante vissuto in viaggio, io racconterò quel giorno e, dentro di me, rivedrò quei volti, quei sorrisi. Rivedrò la Fra e me in quel di San Juan Chamula, intente a stupirci e a dirci quanto quel viaggio ci stesse dando.
Quel viaggio in Messico, per me
Questa è una delle foto che, una volta sviluppata, mi ha lasciata così… stupita. Proprio ieri, nella puntata del mio podcast, parlavo di quando ci si sorprende e si si stupisce. Ci sono luoghi che hanno questo effetto su di noi ma ci sono anche momenti. Se si ha la fortuna di aver colto quel momento con la macchina fotografica… beh, è poesia. Non trovate? Guardo questa foto incollata sul cartoncino nero dell’album con le foto del Messico e penso al fatto di aver scattato a caso e di aver colto lei, in un momento di gioco. Era una bimba che faceva la bimba, giocava nella piazza della cattedrale di San Cristobal de las Casas, in Chiapas, con altri bimbi come lei. Con quella gonna fatta di stracci, le ciabatte troppo grandi, le trecce scompigliate e tutta la voglia di non farsi prendere da chi la rincorreva per gioco. Quello fu uno dei miei primi momenti in Chiapas e lo ricordo come se fosse ieri. Ricordo quei colori, i profumi, l’aria di montagna che mi costringeva ad avere sempre il maglione con me. Ricordo la minuscola sarta Maya di Oaxaca, che ha cucito una gonna che porto ancora. Ricordo quel signore che, in qualche mercato, mi ha fatto assaggiare cose buonissime. Ricordo i volti delle persone in attesa di un autobus. Ricordo la signora che ha cucinato per me e la Fra il primo pranzo messicano all’ombra delle Piramidi di Teotihuacan. Ricordo i suoi nachos fatti in casa, le enchilladas che mi ha servito. Ricordo la birra Bohemia e la XX, perfette per accompagnare ogni piatto. Ricordo lo smarrimento misto a felicità quando sono arrivata a Puerto Escondido: la felicità di poter passare qualche giorno di fronte all’oceano (ed era la prima volta che vedevo l’Oceano Pacifico) ma lo smarrimento per avere attorno a me quasi solo gente straniera e non più tutte quelle persone dai tratti Maya, capaci di farmi sentire una vichinga altissima quando mi trovavo vicino a loro. Ho perso il conto dei sorrisi legati a quel viaggio: i miei ma, soprattutto, quelli incontrati per strada. Ecco perché amo il Messico.
Messico e nuvole
La faccia triste dell’America
Il vento soffia la sua armonica
Che voglia di piangere ho
Messico e Nuvole – Enzo Jannacci – 170
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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