
Il sottotitolo di questo post potrebbe essere “mi sa che ho paura“. E sono davvero io la prima ad ammetterlo. L’altro giorno, ascoltavo il telegiornale, come faccio tutte le mattine, e sentendo la notizia delle riaperture il 26 aprile mi sono sorpresa della mia reazione. Il nulla. Il nulla cosmico: guardavo lo schermo e non sentivo assolutamente nulla dentro di me. Potevano aver detto “il mondo esplode domani” che non sarebbe cambianto niente. La cosa, ve lo dico, non mi è proprio piaciuta. Nel post di saluto al 2020 parlavo di Apatia e di quella A privativa che toglieva al pathos il suo perché di vita. E se quella A privativa si fosse attaccata alla mia di vita?
Giovy, facciamo il punto

Lo sapete: io scrivo (anche) per rimettere in ordine le cose in me. Potrei farlo solo privatamente. Apparentemente, in senso privato perché i miei diari sono aperti a tutti. Se venite da me e vedete il mio diario sul divano, non sarò di certo io quella che potrebbe impedirvi di leggerlo. Mai. Al di là di questo e del fatto che non mi senta di avere segreti, quello che posso dirvi e dire a me stessa è quanto segue. Sono mesi – da Dicembre 2020 – che io e i contatti umani viviamo in due dimensioni spazio-temporali diverse. Questo, guardando logicamente la situazione, ha avuto sicuramente un impatto in me. Posso raccontare la rava e la fava a tutti ma è chiaro che, ora come ora, io non sia più solo Rapunzel nella torre col drago davanti alla porta ma mi sia trasformata in una Shieldmaiden degna di Lagertha e stia combattendo ancora più del drago. E, nella frase che ho appena scritto, “shield” è la parola chiave. Mi sono davvero resa conto (ci sto pensando da una decina di giorni) che mi sono messa l’armatura e sono diventata – per così dire – impermeabile. Benché mi senta empatica, as usual, nei confronti del mondo (e sia sempre convinta che l’empatia ci salverà), sto veramente facendo entrare poco e pochi in me. Questo succede solo perché, da un po’ di mesi a questa parte, mi sono difesa così tanto da essere diventata, per così dire, proprio impermeabile. La gente mi scivola addosso come gocce di pioggia su di un ombrello. Proprio così.
Giovy, sicura?

Mi faccio una domanda (una!?!? Ah, sì… crediamoci) e mi do una risposta. No, effettivamente non mi sono spiegata bene: certa gente mi scivola addosso come gocce di pioggia su di un ombrello. Dove “certa” è senza dubbio la parola più importante. E gli altri, quindi? C’è chi è riuscito a passare le strato cerato del mio personale impermeabile (ora che ci penso, le uniche cose impermeabili che possiedo sono i miei anfibi e il mio poncho da viaggio) c’è ed è in me. Ci sono state alcune (non posso dire tante: sono poche e ben scelte) persone che sono riuscite a trovare quell’ingresso segreto che c’è nel mio personale e intimo impermeabile. Sono felice che ci siano, davvero tanto. Proprio per questo mi sono stupita – negativamente – della mia apatia verso la notizia delle riaperture. È come se, ora come ora, volessi tenere fuori tutti. Non ho ancora capito se sia per prudenza o per altro. La prudenza – ho imparato – non è mai troppa: ora dicono di riaprire ma, magari, tra un mese siamo da punto a capo. Credo che il mio cervello si stia semplicemente difendendo non lasciando andare nessuna sostanza capace di creare entusiasmo in me. Questa cosa, perché, mi fa davvero avere paura.
Il fatto è che ho paura
Torno a parlare di paura, la chiamo col suo nome proprio come ho fatto tempo fa. Ho davvero paura ora: paura che il lavoro non riesca ad andare avanti bene. Da libera professionista, il rischio c’è sempre ma l’ultimo anno mi ha insegnato davvero a camminare sulle uova senza romperle. Mi chiedo per quanto ci riuscirò. Sono perfettamente cosciente che tutti i settori stanno penando e che ce ne sono di più in crisi della sottoscritta ma non posso davvero farci nulla. Ho paura. Ho paura anche perché, ora come ora, mi sento davvero un cavaliere solitario senza scudiero. Sono io la prima a dire di dover contare solo su me stessa (non mi sarei tatuata I am mine sul braccio, altrimenti) ma, ogni tanto, vorrei sentirmi come quando ci portavamo i bigliettini per il compito in classe e non li usavamo mai. Avete presente? Vorrei poter trovare il punto da cui guardare il mondo in prospettiva per dirmi “cazzo, ho fatto tutto da sola“. Mi sono voltata a guardare il mio passato in questi giorni e mi sono resa conto di una cosa che sapevo già ma che sento il bisogno di guardare e riguarda per trovare un modo per farmi coraggio: per anni ho fatto tutto da sola, anche se avevo i bigliettini nell’astuccio. Non li ho mai guardati. Mai. Ho fatto da sola anche quando credevo (e probabilmente meritavo) di non essere da sola. Eppure, ora come ora, questa cosa mi fa paura. Vi confesso una cosa che sto osservando da una decina di giorni: sono tornate a farmi male le mani e questo mi terrorizza. In questi mesi passati in esilio, non è il più il pensiero del mancato contatto umano che mi fa del male ma quello di non riuscire a mostrarmi autonoma come vorrei sempre essere. Non so se mi sono spiegata, ma spero di sì.
Le conseguenze dell’esilio

Sono arrivata a comprendere le conseguenze dell’esilio: questa situazione mondiale, in me, ha sortito effetti che non avrei mai voluto vedere e devo capire come affrontarli. So che un modo c’è e per questo non mi sentirete mai usare le parole “sono senza speranza” o cose simili. So che è il momento, so che sono umana – after all – e so anche che sono sempre profondamente figa e rock and roll nell’anima. Ma, ora come ora (che brutto cominciare la frase con un’avversativa. Mi fa rendere conto di quanto ci sia qualcosa di contrapposto al mio essere), è come se fossi racchiusa nell’accaio inossidabile. L’esilio mi ha donato la paura di ciò che, invece, mi ha sempre dato vita: un’emozione nel cuore che non si sa in cosa si trasformerà (o non trasformerà). Ho paura di sembrare diversa da ciò che sono realmente e che questo porti chi è riuscito ad entrare nel mio impermeabile ad andarsene. L’esilio mi ha fatto quasi perdere la voglia di andare e scoprire il mondo perché la sta sostituendo con la paura che tutto, di nuovo, cambi improvvisamente e che tutto torni a bloccarsi. L’esilio sta minando il desiderio di vedere le persone che mi sono care e la mia grande capacità di lasciarmi attraversare da ciò che merita. Voglio contraddirmi da sola. Voglio che questo cambi e devo solo capire come tornare ad avere fiducia in ciò che non posso controllare direttamente con le mie mani, con la mia mente, col mio cuore. Non posso lasciare vincere l’esilio ma per ora lui ha fatto meta e trasformato. Io no. Io sto giocando in difesa e nemmeno tanto bene. Ora come ora, mi viene solo da piangere un po’. Poi passa, ve lo prometto…
This girl I know, needs some shelter
She don’t believe anyone can help her
She’s doing so much harm
Doing so much damage
But you don’t want to get involved
You tell her she can manage
And you can’t change the way she feels
But you could put your arms around her
Protection – Massive Attack – 1994
Io quando ho sentito la notizia delle riaperture ho avuto paura.
Paura perché temo sia una decisione presa per motivi molto diversi da quelli sanitari. Paura perché non ho voglia di riappropriarmi di piccoli pezzi di vita per poi vederli scivolare via di nuovo: ci si adatta a tante cose, lo sto facendo (a volte bene e a volte male). Però un conto è doversi adattare ad una situazione, un conto è dover cambiare come un camaleonte sul vestito di Arlecchino… Abbiamo dei limiti.
In questo momento le nostre fragilità stanno uscendo fuori più di prima. Più siamo soli (forzatamente) più queste si fanno largo dentro di noi. Dobbiamo accettarle, accettarci per ciò che in questo momento siamo e abbiamo da dare.
Piano piano la corazza (sacrosanta, visto il momento) cadrà e torneremo ad assomigliare al noi di prima.
Io rileggevo quello che scrivevo un anno fa: le mie paure, le mie aspettative, l’incertezza legata al fatto che avevo appena ribaltato la mia vita personale. Malgrado questo, avevo più speranza e più forza d’animo. Credo che, anche per me, valga quello che dici tu: non voglio poter ricominciare a sperare per poi riadattarmi a nuove chiusure, nuovi limiti. Ne va della mia vita personale ma, soprattutto, del mio lavoro.
Esatto. Ora dovrebbe essere il tempo della certezza. Ed è per questo che ho avuto paura (ma anche un po’ di rabbia) alla notizia delle riaperture.
Stiamo agendo come Paesi già molto più avanti di noi in termini di vaccinati.
L’unica cosa che mi sono detta è stata: stiamo a vedere, passo per passo e non mi forzerò a fare nulla. Credo che la mia vita di qui alla prossima settimana non cambierà. Per il momento sto alla finestra, non avrei la forza di richiudermi
Nemmeno la mia, mi sa, cambierà. Forse mi limiterò a fare qualche cosa di lavoro qui in Emilia… visto che spero che musei e luoghi da visitare siano accessibili. Piano, piano. Poi vedremo. Se dovessero richiudere, anch’io credo crollerei.
Riflessione bellissima!
Grazie, Anna!