
Giovedì: giorno di storie e di interviste. Almeno per questa settimana (ma ho come idea che sarà la prassi per questo blog. Sto preparando un sacco di storie belle da farvi leggere). Interviste, dicevamo. Cosa fa parte della mia vita a pari merito con lettura e scrittura? La musica… e quando si parla di questa splendida arte – sempre forza non è mossa ma che muove – mi piace portare su queste pagine le storie delle persone che conosco e dei musicisti che apprezzo tanto: sia dal punto di vista professionale che, soprattutto, personale. Oggi è il turno di Massimo Ice Ghiacci, bassista dei Modena City Ramblers. È da poco uscita una nuova release del suo primo cd solista che si intitola Come un mantra luminoso.

Ciao Massimo, raccontaci in poche parole chi sei.
Ciao Giovy, mi chiamo Massimo Ghiacci, suono il basso e scrivo canzoni nei Modena City Ramblers dal lontano 1992. Da sempre sono un grande appassionato di musica, ma ho studiato tutt’altro nella vita, laureandomi in Economia e Commercio. Non pensavo che la mia passione diventasse anche un lavoro e in questa bellissima avventura mi ci sono ritrovato un po’ per caso. Da questo punto di vista mi sento davvero privilegiato!
Negli anni ho maturato una certa esperienza nell’ambiente musicale e ho iniziato anche a fare qualche cosa di “extra Ramblers”, pubblicando il mio primo disco solista nel 2008 e poi fondando una band con l’amico musicista dei Nuju, Marco Ambrosi, band che abbiamo chiamato La Rosta come il quartiere di Reggio Emilia dove vivo. Con La Rosta ho pubblicato il disco d’esordio “Roba Lieve” nel 2015 e dopo l’estate faremo seguire un nuovo disco che abbiamo già da tempo registrato e mixato. Oltre a suonare musica, dagli anni ‘90 ho fatto anche il dj in una radio rock della zona, piuttosto nota, che purtroppo da qualche anno ha chiuso e che si chiamava K Rock.
Il tuo cd “Come un mantra luminoso” è uscito un po’ di tempo fa. Come mai hai pensato a una nuova edizione?
Come ti dicevo il disco ha sul groppone ben 13 anni, essendo stato pubblicato nel 2008. Recentemente sono tornato in possesso dei diritti di proprietà di questo disco, che non è presente sulle piattaforme di streaming, e ho pensato subito di renderlo disponibile innanzitutto su Bandcamp, una piattaforma molto interessante e molto “Artist friendly”, per in seguito arrivare anche alle altre più conosciute realtà di streaming. Più che una nuova edizione, quindi, la considero una vera e propria prima release digitale. Per solleticare la curiosità di chi mi segue ho pensato di aggiungere, solo per la versione presente su Bandcamp, anche qualche chicca inedita, dei demo del periodo e alcune registrazioni in sala prove.
Questo è il primo passo per approdare anche come solista sulle piattaforme di streaming, dove, purtroppo o per fortuna, oggi passano gran parte degli ascolti di musica, e anche per preparare l’uscita del mio secondo disco solista che ho già nel cassetto dall’autunno scorso e la cui pubblicazione è imminente.
Al proposito posso già dirti che si chiamerà “Distanziamento Morale” e saranno 12 canzoni scritte, interpretate e suonate per la maggior parte da me, prevalentemente un suono scarno ed acustico. Proprio in questi giorni sto capendo come arrivare a pubblicarlo: sicuramente lo farò in modo indipendente, magari con un crowdfunding!

Come ho chiesto al tuo “collega” Fry, cosa vuol dire essere un musicista in questi tempi di pandemia?
Per il nostro lavoro questa situazione è davvero difficile, come del resto sono consapevole lo è per tante altre categorie di lavoratori. La grave situazione di sofferenza del settore dello spettacolo non è certo limitata a chi sta sotto i riflettori ma si estende alle tante altre figure professionali che con la loro opera mettono gli artisti in condizione di potersi esibire: sono davvero mesi duri per tutti. Da musicista, rifletto anche su come la musica in questi ultimi anni sia arrivata ad essere legata per la sua sopravvivenza sempre più agli eventi dal vivo, poiché lo streaming è sostanzialmente la tomba del potere pensare di vivere, non dico di guadagnare e arricchirsi, vendendo dischi. L’artista infatti percepisce pochissimo da questo tipo di passaggio e questa situazione di impossibilità a suonare dal vivo rende ancora più drammatica la realtà di chi della musica ha la sua fonte di guadagno lavorativo.
Recentemente, hai suonato sul palco dell’Estragon con i Modena City Ramblers: cosa hai provato senza un pubblico davanti a te?
Per me, dopo praticamente un anno di inattività (se si eccettuano quattro concerti estate scorsa) questa esperienza è stata come una boccata d’aria fresca e sublime! Le sensazioni che ho provato sul palco dinanzi al “buio”che avevo davanti non sono certo paragonabili a quelle di un concerto vero e proprio ma non ti posso nascondere che sapere di avere venduto 1700 biglietti per assistere allo streaming video mi ha fatto in qualche maniera “percepire” la presenza del nostro pubblico, appena al di là di quel buio… Sapevo che c’erano tante persone, ognuna a casa propria, certo, ma erano davanti a uno schermo per noi!
Questo è un blog di viaggi, quindi si parla anche di mondo: ci racconti tre luoghi che hanno o che hanno avuto senso per te come musicista e ci spieghi il perché?
Fare parte dei Modena City Ramblers mi ha permesso di conoscere tanti luoghi nel mondo che abbiamo avuto la fortuna e l’onore non solo di visitare ma dove anche poterci esibire. Tra i vari, ricordo con particolare affetto il Chiapas. Abbiamo suonato a San Cristobal de Las Casas, ma soprattutto abbiamo visitato e fatto sentire le nostre canzoni nelle comunità zapatiste dell’EZLN del comandante Marcos, un ricordo indelebile che abbiamo riportato a casa assieme all’ispirazione per molte canzoni, prima fra tutte “Viva la vida y muera la muerte”.
Un altro posto stupendo dove per due volte abbiamo avuto l’occasione di andare è il Sudafrica: ci siamo esibiti a Durban e a Johannesburg, ma abbiamo avuto anche la possibilità di fare i turisti! Con Cisco, Kaba e Fry feci uno splendido viaggio in auto lungo la costa da Durban fino a Capetown, quasi 2000 km di viaggio attraverso luoghi stupendi, scogliere e piccoli villaggi con la gente ancora vestita in abiti tradizionali boeri…
Abbiamo avuto anche la possibilità di visitare zone normalmente fuori dal turismo, come la Terra delle Mille Colline, nel Kwa Zulu Natal, con anche un piccolo concerto improvvisato nell’ambito di una cerimonia tradizionale zulu. Se ci penso oggi sembra incredibile!
Nei giorni passati a Durban, una città molto bella, seppure vagamente simile all’immagine classica percepita attraverso i film della California, ebbi occasione di assistere a un concerto che è rimasto nella mia memoria come uno dei più belli a cui ho avuto la fortuna di presenziare, quello di Hugh Masakela, grandissimo trombettista e cantante sudafricano , che suonò in un Parco dinanzi a migliaia di persone. Io e gli altri eravamo sicuramente gli unici europei in mezzo a una meravigliosa audience vestita a festa, allegra e gioiosa: percepimmo una vibrazione commovente, sentendocene completamente parte, in un abbraccio enorme e inclusivo.
Un altro luogo a me caro è la Bolivia. Un viaggio fatto nel ‘97 che ci portò fino ai luoghi dove Che Guevara perse la vita nel combattere il fascismo dei militari boliviani. Fummo gli unici non americani invitati alle celebrazioni per l’allora trentennale della morte dell’eroe argentino, un concerto a Vallegrande che facemmo insieme a tanti altri artisti latinoamericani, rimane un ricordo stupendo.
Tornando al tuo cd, come mai quel titolo?
“Come un mantra luminoso” è una frase contenuta nell’ultimo brano del disco, “Luce”, e costituisce una sorta di invocazione che faccio a me stesso per continuare a trovare nel mio spirito la forza per camminare, come direbbe Shane McGowan, dal “lato soleggiato della strada”.

Cosa possiamo fare per sostenerti?
Grazie della domanda, Giovy, già il pensiero che ci sono persone interessate a sostenere chi fa musica è qualcosa di rinfrancante! A breve pubblicherò, come ti dicevo, il nuovo disco solista a 13 anni dal primo. “Distanziamento Morale” è fin dal titolo evidentemente legato a quest’ultimo anno, le canzoni in gran parte sono state scritte durante il lockdown e pensate per poter essere portate in giro in piccoli club, da solo chitarra voce, una possibilità in più, assieme a quelli che mi auguro saranno tanti concerti dei Modena City Ramblers, per potere, quando la condizione della pandemia ce lo consentirà, tornare a suonare dal vivo. Vi invito a seguire le notizie per la sua pubblicazione e, se vorrete, a comprarlo!
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Ho un ricordo di Ice, di tanti anni fa, poco prima del viaggio che ho fatto in Messico con la mia migliore amica. Complice l’assidua frequentazione dei “Modeni” per i loro concerti, avevo chiesto a Massimo se mi potesse dire qualcosa di San Cristobal e lui mi raccontò di un momento che aveva vissuto (se non erro si trattava di un tramonto) camminando fino al “cerro” che sovrasta quella città del Chiapas. Quando sono arrivata là e ho visto la strada che saliva su quella collina, mi sono subito detta “ci devo andare“. E così ho fatto. Tornando indietro, ho pensato di mandargli una mail. Sono entrata in un internet café (sì, a quei tempi era necessario) e, mentre scrivevo ho sentito “Canzone dalla fine del mondo” proprio dei Modena City Ramblers. Erano stati loro a lasciare il cd in quel luogo. Quando ho guardato Ice musicista sul palco, ho sempre visto una persona capace davvero di credere tanto nella sua passione fatta di note. Per questo gli ho proposto questa intervista. Per questo e perché senza musica – signori miei – non si vive. Un po’ come dire senza api non si vive. Vi invito a seguire Massimo su Bandcamp e, già che ci siete, provate a digitare il nome dei vostri artisti preferiti: si sa mai che abbiano un progetto in piedi e che, ora più che mai, abbiano bisogno del vostro aiuto. Io ci penso sempre: se non sostengo ora, non tornerò mai a ballare sotto un palco. Anche questo, se vogliamo, è il dovere di chi ama la musica. E qualsiasi forma d’arte meriti di essere sostenuta. Io ringrazio Ice per le sue parole e per credere sempre in quello che fa.
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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