
Quando ho scritto di ciò che amo dell’Emilia, ho iniziato il post citando Virgilio e lo faccio anche oggi. “Valdagno me genuit” è quello che dico sempre di quando racconto degli immensi giri che ha fatto la mia vita finora. Per quanto io possa non vivere più in Veneto da 20 anni ormai, di sicuro quella regione resta davvero la mia prima casa. Un luogo in cui sentirsi a casa anche se non mi riconosco apertamente davvero in tutto i suoi luoghi. Quello che amo del Veneto è davvero molto e, come sempre, ve lo racconto cercando di tirar fuori dalla mia anima le parole migliori per riusciare a farlo.
Quello che amo del Veneto
Il mio Veneto non è tutta la regione: lo dico senza troppi indugi. Per quanto possa amare Venezia (e per quanto ne metta una parte in questo post) quella non è casa mia. La Laguna mi ha regalato due posti ai quali voler bene senza misura ma io non mi riconosco in quella parte di regione. Mi riconosco nel Veneto di montagna, in quello che mescola cimbro e dialetto. Mi riconosco nel sapore della Maresina e in quello del Biancorosso di Carlotto. Mi riconosco nei boschi, più che in calli e campielli. Come sempre accade quando scrivo questi post su ciò che amo, sto per dare vita a un puzzle di luoghi, emozioni e ricordi che fanno e faranno sempre parte di me. Vi parlerò di:
- Ponti, architetti, antiche chiese
- Cose buone da mangiare, ça va sans dire
- Montagne, what else!?
- Un posto di mare che ho nel cuore
Io non torno in Veneto da dicembre e, stando a come vanno le cose in questo periodo, credo non rivedrò i miei luoghi almeno fino a maggio inoltrato. Sento una nostalgia che non riesco nemmeno a definire.
Quello che amo del Veneto: Ponte San Michele, Vicenza

Ponte San Michele, per me, è uno dei luoghi più belli del centro di Vicenza. Io sono nata e cresciuta in provincia di Vicenza ma ho iniziato a conoscere bene la città solo quando sono andata al liceo. La mia scuola era proprio a pochi passi dal centro e questo mi ha permesso di conoscere di più una città che per me era solo il luogo in cui mi recavo per andare alle giostre la settimana prima che iniziasse la scuola. Ponte San Michele, per me, offre uno di quegli scorci di Vicenza capaci di allargare il cuore. Sapevate che, ai tempi della Serenissima, si arrivava in barca a Vicenza direttamente dalla Laguna? Non oso immaginare cosa fosse ai quei tempi la città.
Quello che amo del Veneto: Palladio (and friends) come se non ci fosse un domani

Se dovessi scegliere un’opera di Andrea Palladio che possa rappresentare quello che amo del Veneto, questa sarebbe sicuramente il Teatro Olimpico, il suo canto del cigno. Palladio lo progettò ma morì lo stesso anno di inaugurazione del teatro, nel 1580. Quel capolavoro che trasuda rinascimento, perfezione e razionalità da ogni suo centimetro è una cosa unica al mondo. Esistono teatri spettacolari in molte parti del mondo – e in Italia soprattutto – ma non c’è nulla come l’Olimpico. I teatri sono tra i luoghi più in sofferenza in questo periodo e quello che auguro a tutti noi è di tornare sulle gradinate dell’Olimpico di Vicenza, magari proprio per assistere all’Edipo Re di Sofocle, la tragedia greca per la quale Vincenzo Scamozzi costruì la scenografia che vediamo in piedi anche oggi. Andrea Palladio, lo sappiamo tutti, ha lasciato il segno in Veneto con un sacco di ville meravigliose da visitare. La mia preferita? Villa Barbaro a Maser. Se, invece, parliamo di ville ispirate allo stile del Palladio, cito senza dubbio Villa Valmarana ai Nani.
Quello che amo del Veneto: le Piccole Dolomiti
È vero: in Veneto ci sono le Dolomiti. E quelle sono montagne più uniche che rare. Nella mia zona di nascita, però, ci sono le Piccole Dolomiti. Che, per me, non sono seconde a nessuno. Le Piccole Dolomiti sono le montagne che ho imparato a distinguere da bambina, dove andavo a camminare con mio fratello o con gli scout. Dove ho passato un sacco di ore spettacolari, giorni spettacolari. Sono parte assoluta dei miei luoghi e sono montagne da conoscere. In tutto e per tutto. Ce n’è per tutti i gusti: percorsi per chi non è allenato, percorsi per chi è esperto. Ferrate e pareti da scalare, con delle vie aperte da maestri totali dell’alpinismo. C’è il Pasubio – lo si vede bene nella foto qui sopra – che è un libro di storia a cielo aperto. C’è tutto. Quello montagne sono tutto.
Quello che amo del Veneto: I pi tzimbar; I reide tauć
Avete mai sentito parlare dei Cimbri? Ecco, io sono per metà cimbra. Da parte di mia mamma, della mia nonna (ci raccontavo di loro in una puntata del podcast). Una buona parte di Veneto è stata caratterizzata, per molto tempo, dalla presenza di questa popolazione germanica, “discesa” verso le montagne del nord-est. Questo ha portato a un cambio linguistico e dialettale forte. Ci sono delle enclavi – se posso chiamarle così – cimbre ancora fortissime in Veneto. Una, per esempio, è la zona di Giazza, in Lessinia. Uno dei miei sogni? Passare un paio di settimane in zona cimbra per fare un corso di lingua. Prima o poi lo farò. La “cimbricità” di una certa parte del Veneto non si traduce solo in caratteristiche fisiche teutoniche o in una lingua un po’ strana. La “cimbricità” è un fattore culturale che si manifesta in tante cose: i fienili o covi di fieno, per esempio, erano diversi tra i Cimbri e i Veneti. Certi piatti erano prerogativa cimbra (ve ne parlo nel prossimo paragrafo), così come certe celebrazioni e festività. Lo sono ancora oggi e a me mancano da matti.
Quello che amo del Veneto: bigoli con l’arna e tanto altro
I bigoli con l’arna, ovvero con il ragù d’anatra, sono un’altra delle cose che amo di più del Veneto. Dalle mie parti si mangiano praticamente sempre, così come non esiste trattoria che non li metta in menù. Io li ho sempre trovati buoni e ci sono luoghi come la Trattoria al Bigolaro sui Colli Euganei dove si fanno particolarmente voler bene. Se veniste con me, però, nella mia Valdagno, saprei io chi chiamare per farvi preparare il piatto di bigoli più buono del mondo. Ma non finisce qui. Dalle mie parti si mangiano anche gli Gnochi con la Fioreta, rigorosamente tutto senza doppie. Si tratta di un piatto che potrete trovare solo in una parte del Veneto. Una vera delizia diventata De.Co di Recoaro e che vi consiglio di assaggiare. Last but not least, non posso non citare la mitica Fritola con la Maresina. La Maresina è il Tanaceto Partenio che, dalle mie parti, si usa per insaporire una frittella che, al solo pensiero, mi fa venire fame. Vietato passare dal Veneto e, soprattutto, dalla mia Valdagno senza un giro da Carlotto. Facciamo che ci troviamo lì non appena si può?
Quello che amo del Veneto: Campo Santa Margherita, Torcello, il Ghetto

Cosa ti piace di Venezia? Mah, non troppe cose… forse poco comuni: mi piace Campo Santa Margherita, amo il Ghetto, amo Torcello. Mi piace Venezia quando si sveglia al mattino presto. Ho il ricordo, in testa, di una Venezia pre-pandemia quindi non riesco a immaginarla ora. Ho tre ricordi bellissimi legati a quei tre luoghi appena citati. Un pomeriggio di ottobre inoltrato, in Campo Santa Marghertita: la luce di un pomeriggio autunnale, gli alberi della piazza con le foglie colorate. Poca gente in giro. Quello fu il primo istante che imparai che potevo amare Venezia. Poi c’è stato un mattino di primavera, molto sul presto. Tornavo da Vienna col treno notturno e, arrivata a Venezia Santa Lucia, dovevo attendere due ore per il mio treno successivo. Allora sono andata nel Ghetto, nella piazza del Gheto Novo e sono rimasta lì a osservare la normalità. Che meraviglia. La terza immagine che mi porto nell’anima riguarda un giorno in cui ho deciso di andare dritta a Torcello, senza passare per altri luoghi classici della Laguna. C’ero solo io e un silenzio speciale. Ecco: questo è qualcosa che amo davvero del Veneto.
Quello che amo del Veneto: Cavallino e il suo litorale

Cavallino, il suo litorale e i suoi campeggi. Hanno ucciso l’uomo ragno degli 883, le giostrine del campeggio, il molo, la spiaggia, la piscina del campeggio a fianco, le biciclette, le tende, i “dormo da te“. E poi la pizza per ferragosto, i fuochi d’artificio, i tanti “scrivimi, mi raccomando“. I rapporti nati e sempre vivi. Le cose belle, l’amicizia che non si è mai fermata. Le migliori estati della mia vita. La mia adolescenza. Ci sono sempre, nella vita di tutti, quelle estati vissute negli anni con 1 davanti che creano, dentro di noi, un immaginario immenso. Per me non è solo immaginazione: quelle estati sono state potenti e importanti. Così tanto da essere passate dallo “scrivimi, mi raccomando” a una chat di WhatsApp. Dal 1991 al 2021. Tanta roba. Tanta roba. Come faccio a non mettere Cavallino in quello che amo del Veneto?!
Si scrive Veneto, si legge casa
Nell’estate del 2019, sono rimasta un paio di settimane nella mia Valdagno, affittando una casa che si trovava poco distante da dove viveva mia nonna. Non mi sembrò vero, in quei giorni, ritornare ad appropriarmi di gesti semplici e di rumori che, per me, sono sempre stati sinonimo di casa. Credo sia stato proprio in quei giorni che mi sono accorta di quanto mi mancasse quel pezzo di mondo e di quanto, allo stesso tempo, facesse parte di me. Ho vissuto due sensazioni completamente opposte ma compresenti: sentivo di appartenere a quel posto ma, nello stesso tempo, mi dicevo che riuscivo a capirlo solo perché me n’ero andata. Allora mi sono chiesta, forse per la prima volta seriamente, se fosse davvero arrivato il tempo di tornare. Io non ho ancora una risposta sicura a questa domanda ma so che, quando sono là, l’anima respira. Probabilmente lo fa perché trova le certezze che serveno alla mia come alla vita di tutti: il rumore delle campane che hai sempre sentito. Il bar dove accompagnavi tua nonna quando eri piccola. Il mercat0 al venerdì. Quella contrada che è sempre là e che per te ha la forza delle radici. Dentro di me, la maggiore rappresentazione di ciò che amo del Veneto è, volente o nolente, la mia Valdagno. Non potendo raggiungerla, ora, la ricreo dentro casa mia: ora taglio una fetta di sopressa, apro una confezione di pan biscotto e mi verso un Biancorosso. Passa la nostalgia, Giovy. Passa. [maledetta pandemia; maledetti confini regionali chiusi]
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Hai descritto perfettamente come ci si sente da “Valdagnesi trapiantati in terra straniera…” ahah
Ps: una curiosità. La foto in cui si vede il Pasubio, da dove è scattata? baci
Ciao Anna,
Noi Valdagnesi in terra straniera siamo proprio tanti ma ci portiamo Valdagno e tutto quello che rappresenta sempre nel cuore.
La foto del Pasubio è stata scattata da me quest’estate, dietro la chiesa di Santagiuliana.