
Lo so. Di solito il lunedì parlo dell’amore per il mondo. È il martedì il giorno in cui parlo di me. Oggi, però, è un lunedì speciale. Guardate il calendario: cosa dice? 8 Marzo 2021. Oggi è, quindi, il giorno giusto per parlarvi delle mie principesse ribelli. Ieri, nel podcast, vi ho raccontato di mia madre e di mia nonna, due donne che per me sono sempre state un’ispirazione, anche quando non l’avevo ancora capito. Proprio in quegli anni, quelli in cui sei piccola e non sai nemmeno il significato della parola ispirazione, io avevo già le mie principesse ribelli pronte a prendermi per mano e portarmi con loro. Non rimpiango di non aver voluto figli ma gradirei, ora, avere una platea di bimbe alle quali raccontare quali fossero le principesse dei miei tempi. Devo iniziare sicuramente da due: Aurora (e non quella della Disney) e Leia. E le vostre?
Seduta dalla parte del torto

Bertold Brech, nel 1928, scrisse L’Opera da tre soldi, uno di quei testi teatrali (come Waiting for Godot) di Beckett capace di parlare al nostro presente e al futuro molto meglio di un qualcosa pubblicato ai giorni nostri. Ha quasi 100 eppure ci dice ancora molto. Io devo tanto a quell’opera teatrale e a tutto ciò che contiene. “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati“, dice Brecht. Che torto poi? Come se nascere donna fosse una sorta di “ah caspita, sei finita nell’altra corsia del mondo“. Come se nascere donna fosse, nuovamente, capitare a piè pari dentro la schiera del sesso debole. Ma debole per chi? Ho letto un libro, ultimamente, che riprende alcune figure mitiche della letteratura (recente o antichissima, non importa) e ne spiega l’archetipo spogliato dalla visione maschile. Se ci pensate bene, tantissime principesse, maghe, streghe, donne protagoniste di chissà che storie sono nate dalla penna e dalla mente di un uomo. L’unica genesi possibile al singolare, per il mondo maschile, era scrivere delle donne così come avrebbero – secondo una mentalità che si è evoluta ma che deve ancora marciare in avanti – dovuto essere: forti e caparbie fino al momento in cui si fossero innamorate. Capaci di magie ma malvagie, tiranne che arrivano fino a uccidere i propri figli o pronte a essere salvate. Ma chi lo dice, in fondo, che non si siano salvate da sole? Vi dico questo per introdurre il discorso sulle mie principesse. Già un tempo vi parlai delle mie donne forti e dei luoghi da vedere per incontrarle. Concludevo quel posto, che parlava di viaggi reali da fare, con un paragrafo sulle mie principesse combattenti. Quelle sedute dalla parte del torto, appunto, perché finalmente i posti di quelle remissive, deboli, spaventate erano tutti occupati. Una quarantina di anni fa, proprio quando nascevo io, le principesse iniziavano ad alzare la testa. Le donne di cui vi sto per parlare sono la mia ispirazione da sempre: quelle che, quando giocavo con le mie amiche o i miei amici, io volevo impersonare sempre. Avrei già dovuto capire molto di me dal fatto che non ho mai voluto essere Cenerentola o la Bella Addormentata nel Bosco, Ecco le mie principesse.
La Principessa Aurora di Starzinger

Anche dalla mia passione per la Principessa Aurora di Starzinger avrei dovuto capire molto, se non altro il ritorno della mia passione per il rosa in età adulta. La Aurora a cui penso, quando si pronuncia questo nome, è lei e non alla Bella Addormentata. Aurora è un personaggio creato, proprio tra il 1978 e 1979, da Leiji Matsumoto, papà anche di Capitan Harlock e Galaxy Express 999. Aurora perde il suo regno e viaggia nell’universo con tre cavalieri – Coog, Hakka e Gorgo – per ritrovare l’energia da riportare al suo pianeta. Aurora è protetta dai suoi cavalieri, è vero. Ma, nello stesso tempo li controlla: soprattutto Coog. Tramite la sua mente, infatti, tiene sotto controllo questo cavaliere che è un po’ uomo e un po’ cyborg. Coog deve portare, infatti, una corona (molto simile a quella che ho visto al museo delle Palafitte del Lago di Ledro) che la Principessa Aurora governa. Aurora, poi, combatte. Scende in battaglia. Non è la principessa con il vestito tutto a balze e basta, benché abbia un vestito lungo bellissimo nel cartone animato. Lei ha quasi sempre addosso la sua tenuta da combattimento. Ecco, io da piccola giocavo a essere lei. E anche adesso lo faccio.
Leia Organa di Alderaan di Star Wars

Per molti è la Principessa Leila. Per tanti, ora, è semplicemente la Principessa Leia, perché è così che si dovrebbe chiamare se togliamo un po’ di antichità al doppiaggio. Carrie Fisher per me è e resterà sempre Leia e la amo con tutta me stessa. Ho visto Star Wars la prima volta da super piccolina e quello che mi rimase impresso fu, per l’appunto, questa Principessa vestita di bianco. Anche lei capace di combattere, governare, viaggiare nell’universo per il bene del suo paese. Razionale, forte, indipendente, capace di vivere un amore a grande distanza, con quella domanda “chissà dove sarà lui?” in testa ma senza dimenticare mai ciò per cui è nata. Amare senza snaturarsi. Amare un uomo e dare, nel contempo, la stessa forza alla causa per cui sei giunta al mondo. Questo mi ha insegnato e mi insegna ancora Leia Organa. Non a caso ho una maglietta con la sua faccia e con il suo “Princess don’t need rescuing” che è davvero un must per la mia testa. Le principesse non hanno bisogno di essere salvate. Salvano il loro mondo.
Eowyn di Rohan de Il Signore degli Anelli

Caspita, da dove comincio? Eowyn è il mio personaggio preferito de Il Signore degli Anelli e lo capii quando lessi il libro per la prima volta. Avrò avuto 13 anni. Eh già, io faccio parte della generazione che ha letto prima il libro e poi ha visto tutta la saga diretta da Peter Jackson. Il montaggio del film – va detto – non rende davvero onore a questo personaggio. Anzi, tolta la scena madre che vedete rappresentata nel disegno qui sopra, i film non rendono davvero l’idea di chi lei sia. Il fatto è che Il Signore degli Anelli è un intreccio immenso di vicende: la sotto-trama che riguarda Eowyn è molto più ampia. Consiglio: leggete il libro. Tolkien definisce Eowyn come Unstoppable e Cold like a Spring morning. Oltre a questo, Eowyn è razionale ma capace di amare, anzi, di scegliere l’amore che fa per lei. Non vado oltre per questioni di spoiler. Ho una tshirt anche che rappresenta Eowyn e che afferma ciò che fa di lei una delle mie principesse preferite: ” I am no man!“. Questa frase le affida un ruolo immenso nel libro. Altro che Arwen!
Jane Eyre, dalla penna di Charlotte Brontë

Non è una principessa e mai lo sarà ma, per me, va messa in questo elenco. Se mai avessi avuto una figlia femmina (e, lo sapete, l’avrei chiamata Olympia), io le avrei raccontato non appena possibile la storia di Jane Eyre, così come quella delle principesse dei paragrafi precedenti. Jane Eyre è, finalmente, una donna con i controcoglioni – passatemi il termine – nata dalla penna di una donna. Finalmente. La grande Jane Austen aveva aperto la via: Liz Bennet è un altro esempio di donna forte che potrebbe essere in questo elenco. Jane Eyre, che ha visto la luce una trentina d’anni dopo Orgoglio e Pregiudizio, è stato scritto sulla spinta di quanto già fatto da Jane Austen ma va oltre. Afferma ciò che Jane Austen sapeva perché aveva sperimentato sulla propria vita ma che non aveva mai messo nei suoi libri. Charlotte Brontë alza la testa e lo dice a chiare lettere: “I am no bird and no net ensnares me: I am a free human being with an independent will“. Non ho bisogno di protezione, di un uomo che mi dica “poverina, come fai da sola“. Io ho bisogno di rispetto. Questo viene detto in Jane Eyre. Quel romanzo è stratosferico dal punto di vista dell’affermazione della forza al femminile. Charlotte Brontë con Jane Eyre ci dice, prima di molte altre donne, che la donna è pari a un uomo su questa terra. Lo scrisse nel 1847 e ancora oggi siamo qui a doverlo affermare giorno dopo giorno perché, purtroppo, il concetto non è ancora stato recepito. Ci vogliono più Jane Eyre e meno Brooke Logan di Beautiful nella vita di tutti noi, maschi compresi.
Olympia e quello sguardo che sfida il mondo

Ripeto: se fossi diventata madre e avessi avuto una bimba, questa si sarebbe chiamata Olympia. Per via della canzone delle Hole (che si riferisce alla città di Olympia, vicino a Seattle) e per via di questo quadro di Manet. Eh già: ecco un’altra donna che non è una principessa. Anzi. Quando vidi per la prima volta dal vivo questo quadro (al Musée d’Orsay a Parigi), non riuscivo a staccarmene. Venne dipinto nel 1863 e, da quanto si racconta, Manet si lasciò ispirare dalla Venere di Urbino di Tiziano. La donna che viene rappresentata qui è la stessa del Déjouner sur l’herbe. Altro quadro in cui lei è nuda in mondo di gente vesitita. Olympia è sicuramente una prostituta e questo fece urlare allo scandalo. Gli impressionisti e i pittori francesi di quel tempo (penso anche a Toulouse-Lautrec) ritraevano spesso le prostitute e le prendevano come modelli fisici per i loro quadri. Quello che mi piace di Olympia è il suo sguardo: lei sfida il mondo. Ed è per questo che avrei dato a mia figlia il suo nome. Lei mostra a tutti quanto lei sia fiera di essere ciò che è e quanto questo la porti a stare bene. Lei ha un letto meraviglioso, una cameriera, gente che le manda i fiori. Vende se stessa? Ok, è vero. Ma è una sua scelta. È questo quello che dice il quadro. Lei ha scelto un lavoro che le permette di guardare dritto negli occhi il mondo. Perché, con tutta probabilità, è meglio quel lavoro (che le dà tante libertà) che una vita remissiva a fare la moglie di un uomo che ti tradirà esattamente con quella che, invece, hai scelto di essere. Va, ovviamente, tutto contestualizzato al tempo in cui il dipinto è nato: i matrimoni d’amore si conavano sulle dita di una mano. Soprattutto nella borghesia e nell’alta società. Olympia non si adatta: sceglie di essere ciò che è e ti guarda così diretta per sfidare i benpensati e la morale comune. Un tempo era così e ora è la stessa cosa con le donne in posizioni di comando o che lavorano da sole, scegliendo di essere il capo di loro stesse… ed essendo sempre considerate subordinate. Se guardiamo servizi giornalisti o documentari sulle classiche “donne che ce l’hanno fatta“, una delle frasi tipiche è “dirigo la mia azienda MA sono riuscita anche a essere moglie e madre“. Dove “ma” è la congiunzione sbagliata. Non ci va un’avversativa lì. La Treccani dice che un’avversativa esprime “un fatto o una situazione in contrasto con quanto viene detto nella proposizione principale o con quanto ci si aspetterebbe in base a quello che si afferma nella principale.” La scelta, in quel caso, è di usare ma E: non c’è contrasto, c’è continuità. Ed è questo quello che Olympia ci dice con quello sguardo e che la rende una delle mie principesse. Per questo motivo, un anno fa, scrivevo un post su quanto la libertà ci salverà. E pensavo anche a lei.
Io, principessa del mio mondo
Questo post riguardava, volutamente, le mie principesse di riferiemento. Tutte donne fictional, parte di un romanzo, di un quadro o di una storia, e non donne veramente esistite (Olympia probabilmente sì, ma non lo sapremo mai). Il mio pensiero, nello svegliarmi stamattina, è corso però a due donne reali che hanno fatto di me esattamente quella che sono ora: mia madre Bruna e mia nonna Cecilia (la mamma della Bruna). Ieri, nel podcast, vi ho raccontato un po’ in cosa ho scoperto di assomigliare a loro: mi ci è voluta l’età adulta per capire quanto siamo fatte della stessa pasta. E, ve lo dico con una grande emozione dentro, ne sono davvero fiera. Quella che vedete nella foto è la mia tiara da Principessa Giovy, imperatrice assoluta del mio universo. L’ho indossatata tutto il giorno del mio compleanno e, spesso, la tengo addosso anche se non ho nulla da festeggiare. La tengo addosso e la guardo tutte le mattine quando mi alzo perchè io sono l’imperatrice assoluta del mio universo e non me lo devo mai dimenticare. La vita, spesso e poco volentieri, ci passa addosso e ci travolge con la peggiore marea di melma (per non dire altro) ma noi non dobbiamo mollare mai. Per me è appena finita una settimana abbondante di dolori dovuti al trigemino. Esperienza che non augurerei al mio peggiore nemico, nel caso ne avessi uno. Sono qui a leccarmi le ferite e a recuperare le forze perché è così che deve andare: perché io ho solo me e, anche se fossi sposata o in coppia o in chissà che situazione personale, avrei solo me comunque. Non è triste: è la realtà. È solo affidandoci a noi stesse che si crea quella scintilla che dà vita all’universo che sarà il nostro universo. Non è egoismo. Aurora combatteva, Leia combatteva, Eowyn combatteva, Jane Eyre combatteva (anche se senza spada), Olympia aveva la sua battaglia personale: dal passato creato da Tolkien o Charlotte Brontë al futuro di George Lucas e Matsumoto, le Principesse combattono. Affermano la propria identità e non sono servite e riverite perché deboli e in attesa di qualcuno che le protegga. Che la giornata di oggi sia questo. Almeno per me.
La foto senza caption è © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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