
Tutte le interviste e le storie raccontate su questo blog mi stanno a cuore e – lo sapete – do volentieri spazio alle persone che stimo e Silvia è una di esse. Lei è una psicologa della zona di Piacenza e io e Silvia ci siamo conosciute per lavoro l’anno scorso. Trovo che la sua professione, proprio per il periodo che stiamo vivendo, sia particolarmente importante e anche complicata. Conosco vari psicologi e psicoterapeuti e, di frequente, mi chiedo davvero come facciamo a sostenere in modo professionale la gente, per come sta ora. Io per prima. Mi ci metto in mezzo. Silvia lavora spesso con gli adolescenti e, da pochi giorni, ha iniziato a far circolare un libro che si chiama “ditemi cosa vi aspettate da me che lo aspettiamo tutti insieme”. Ci facciamo raccontare tutto direttamente da lei.
Ciao Silvia, ci racconti in poche parole chi sei?
Sono Silvia, 41enne, psicologa, psicoterapeuta e mediatrice familiare. Lavoro part-time in Ausl a Piacenza e il resto del mio tempo professionale lo passo nel mio studio dalle pareti verde salvia, in un luminosissimo settimo piano di un palazzone anni ‘70, appena fuori dal centro città!
Mi sono specializzata alla Scuola Milanese di Terapia della Famiglia e ho una base sistemico-relazionale, che ho successivamente integrato con formazioni individuali per la gestione dell’ansia e dei disturbi post traumatici da stress. Attualmente mi sto concentrando in particolar modo sui disturbi di personalità e porto avanti con ottimi risultati un approccio integrato che aiuta il paziente a consapevolizzare e variare la messa in campo dei suoi “schemi” più diffusi, che altro non sono che “piloti automatici” parecchio disfunzionali con cui si affrontano ripetitivamente alcune situazioni.
Qualche giorno fa, io e te abbiamo parlato di un libro che si intitola “Ditemi cosa vi aspettate da me“. Di cosa si tratta?
Si tratta di un libretto-compedio che racchiude una serie di mie riflessioni sull’adolescenza e la genitorialità ai tempi di un Covid che bastona e non perdona. Le riflessioni sono state fatte alla luce di lunghe chiacchierate con i ragazzi e a seguito di percorsi terapeutici con adolescenti smarriti che si sono affacciati alle porte del mio studio per ritrovare un equilibrio finito in frantumi. Il tutto è corredato da interviste: a parlare sono giovani in erba che hanno toccato da vicino Dad e chiusure, con i loro vissuti di stanchezza, affanno, noia, delusione. A volte anche rabbia.
Il libro è a offerta libera: tutto il ricavato andrà alle Cooperative l’Arco e Officine di Gutemberg che a Piacenza gestiscono Spazio4.0: un punto di riferimento per la cittadinanza di una molteplicità di iniziative e attività educative, culturali, ricreative e sportive e momenti di libera aggregazione, soprattutto rivolti agli adolescenti.
Il libro è illustrato: chi ha dato i disegni e perché sono fondamentali in questo progetto?
Hai toccato un punto fondamentale del progetto: il mio bravissimo “braccio” creativo! Si tratta di un tredicenne milanese, alle soglie di una partenza imminente nel suo amato Liceo Artistico, che speriamo possa essere finalmente solo in presenza! Francesco ha la dote di far magie con matite e colori, il suo contributo è stato prezioso per rendere ancora più “vivido” il materiale raccolto. Personalmente ritengo davvero che con i suoi meravigliosi disegni abbia saputo cogliere, un po’ tra il serio e il faceto, parte di quel che sta succedendo tra i suoi coetanei.
Perché noi adulti abbiamo il dovere di prenderci cura di questa nuova generazione, che con il lockdown, l’isolamento forzato e la cessazione della presenza in tutti i loro contesti di appartenenza, sono tra quelli che hanno maggiormente risentito delle fatiche della reclusione. Per non parlare di dinamiche sociali fatte a fettine e di una scuola che è stata perlopiù colta impreparata e che ha fatto emergere con ancora più vigore le differenze socio-culturali.

Non viviamo tempi facili ormai da un anno: come sta, secondo te, la gente ora?
Il 2020 è stato un anno duro, decisamente anomalo. Il 2021 sta andando avanti a zig-zag, non si sa che cosa ci sarà dietro la prossima curva (e c’è chi presagisce che non sarà nulla di buono). Ti dirò: no, la gente non sta granché bene.
In questi tempi incerti e pieni di timori per il futuro che verrà, le richieste di aiuto sono aumentate moltissimo: nel mio studio ho accolto diversi nuovi percorsi, individuali o di coppia, in cui far circolare e condividere irrequietudini, ansie, pensieri ricorsivi a carattere ossessivo (igiene, pulizia, contagio, malattia, morte, etc) e rituali spesso maniacali, fatti e rifatti nell’illusione di recuperare un mancato controllo.
La mia idea è quella di dare nuove possibilità di narrazione, aprire al dialogo e al confronto. “Normalizzare” l’ansia, questa bestiaccia che non è sempre così cattiva: spiego loro che aiuta e rende più facile il compito di rispettare le misure preventive ed altruistiche come, appunto, stare a casa, stare a distanza o lavarci spesso le mani. E poi porto le persone a connettersi con i loro bisogni e legittimarli. A volte può bastare anche solo un passaggio di questo tipo per “spegnere” quel senso di sfiducia, abbandono ed inadeguatezza.

Questo blog è letto da molti genitori con figlio più o meno piccoli: che consiglio possiamo dare loro?
Il primo passo è proprio quello della validazione emotiva: ascoltarli e non stancarsi di comunicare.
E poi giocare di creatività, quanto più possibile, anche recuperando pezzi un po’ desueti di socializzazione intra-familiare: penso ai giochi da tavola, ad esempio. Ma anche alla cucina, o al condividere la visione di una serie tv. E sempre senza perdere di vista la bussola del tempo e dello spazio (evitando che si scambi il giorno per la notte, così, tanto per dire!), ma trovando invece compromessi orari accettabili per tutto il sistema-famiglia.
Lo sai, questo è un blog di viaggi e “tocca pagare pegno” e raccontare dei luoghi belli: mi dici tre posti che ti fanno stare bene?
Primo tra tutti il mio adorato Appennino piacentino, penso in particolare alla Val Trebbia e alla Val Nure: abbiamo posti e scorci meravigliosi (dove peraltro si mangia benissimo!) che mi riportano indietro nel tempo, alle vacanze estive con i nonni, quando i miei genitori lavoravano e viaggiavano avanti e indietro nel week-end, ma almeno io potevo godermi le colline e il clima più fresco!
Poi ho nel cuore la Val di Fassa, ho la fortuna di avere una casa a Pozza ed è decisamente uno dei miei posti del cuore, una boccata di ossigeno puro, sia in estate sia in inverno.
E potrei citarne mille altri, sono una grande viaggiatrice (ed ho voglia di tornare ad esserlo!): scelgo Matchu Picchu solo perché è stato uno degli ultimissimi viaggi in un altro continente ed è un posto talmente incredibile, con i lama che passeggiano indisturbati tra le rovine millenarie, che ci posso ritornare con la testa tutte le volte che voglio, anche solo per rivivere quella sensazione un po’ mistica, un po’ intrisa di magia!

Dove possiamo donare una quota per avere il libro?
Il libretto circola già a Piacenza ed è reperibile contattandomi privatamente sui canali social, oppure, se volete fare una donazione online per riceverlo direttamente a casa vostra, cliccate qui e compilate l’apposito form!

[Riprendo la parola io, la Giovy]
Silvia è molto attiva sui social, con una pagina facebook legata alla sua professione e con il suo profilo Instagram. Come diceva lei, il libretto è a offerta libera: si chiede solo che la donazione possa coprire un minimo di spese postali. Come dicevo l’altro giorno, chiamare le cose col proprio nome è il primo modo per affrontarle. Se avete letto quel post, io dico proprio che l’ansia va chiamata ansia. Io ne ho sofferto mesi fa e ne sto soffrendo anche ora, a giorni alterni. Credo sia normale sentirsi così in un periodo che nessuno di noi aveva mai immaginato. Chiedere aiuto, soprattutto ai professionisti del settore, è una scelta responsabile che non deve spaventare. Crollare e andare in pezzi non è sempre un male, soprattutto se c’è il “collante giusto” per ricostrursi. Ringrazio Silvia per questa iniziativa e per il suo lavoro che, proprio in un momento di così grande bisogno, non è di certo facile.
La foto del ponte di Bobbio è © Giovy Malfiori; le altre foto senza caption appartengono al progetto di Silvia – la riproduzione senza consenso è vietata.
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