
Qualche giorno fa era la giornata mondiale della poesia. Quando cerco di definire qualcosa di così forte come l’emozione, la musica, l’arte o forme di espressioni simili, io scomodo sempre P.B.Shelley e la sua “In defence of poetry“. Shelley, che la sapeva lunga in quanto a uso delle parole, usa l’espressione “forza che non è mossa ma che muove” per dire che cosa siano i poeti. Per una sorta di proprietà transitiva, questa è anche la definizione di poesia. Si scrivono ancora poesie nel III Millennio? Certamente. Lo sa bene Danilo, che ha scritto ben due libri di poesie. Uno di essi si intitola Delta e se ne sta sulla mia libreria dopo essere stato letto e riletto. Oggi intervisto proprio Danilo, con tanto di scoop finale. Fidatevi.

Ciao Danilo, raccontaci in poche parole chi sei.
Che compito difficile definirsi da soli… Sono un ragazzo di quasi 46 anni, quasi padre, in costante movimento interiore. Negli anni non è mancata mai la voglia di sorridere, di essere positivo, di tendere sempre a essere il miglior me stesso possibile, senza badare granché al giudizio altrui e prendendomi le responsabilità delle mie scelte con coraggio. Ma mi voglio molto bene, quindi non sono oggettivo.
Scrivere poesie: come mai hai fatto tua questa forma di espressione?
Beh, non è l’unica mia forma espressiva, in quanto disegno, ballo, recito, suono, canto, seppur tutto a livello amatoriale. E amo. Scrivere poesie e disegnare sono state le due forme d’arte che sono nate spontanee quando ero sedicenne. Quando poi, al termine dell’università, mi sono chiesto cosa avrei voluto fare da grande, la risposta che ho ricevuto è stata: “quel che già faccio“. Da quel momento ho cominciato a mostrare disegni e poesie pubblicamente, invece di tenerli solo per me. Farlo è stata una scoperta che non mi aspettavo. Non ha annullato la difficoltà nell’autopromuovermi ma ha rivoluzionato il modo di vivere la mia creatività, sciogliendo il legame di intimità con l’opera finita, permettendole di incontrare apertamente l’Altro. Da questa libertà sono nate mostre, collaborazioni con altre forme d’arte e con altri artisti e, infine, i due libri.
Come nasce una poesia? Almeno per te.
Ispirazione. Un’idea, un insieme di parole, un concetto mi raggiungono, mi emozionano: mi obbligo a fermarmi, prendo carta e matita e comincio a scrivere, lasciando scorrere. Non rileggo mai subito, lasciando passare giorni, di solito, e finché non rileggo non ricordo mai cos’ho scritto. Quando rileggo, a volte, solo a volte, mi piace cos’ho scritto.
Questo è un blog di viaggi e parlo spesso di mondo: ci sono dei luoghi che ti hanno ispirato delle poesie? Quali?
Il viaggio riguarda più luoghi della mente, dove ho vissuto qualcosa, ma ci sono eventi, e posti dove avvengono quegli eventi, che sicuramente hanno mosso e muovono energie particolari. Prendendo le bozze di Delta ho ritrovato alcuni appunti sul dove sono state scritte alcune poesie e si va dal Festival Collisioni a Barolo (CN) al Boom Festival a Idanha-a-Nova (Portogallo), da due stanze che erano adibite a teatro in un paesino minuscolo dell’alessandrino a una cascina nelle Langhe dove suonai col mio gruppo, anche se quei luoghi non sono protagonisti dei versi ma solo scenografia. In altre poesie è l’ambiente a dettare le parole: su una spiaggia di Piani d’Invrea (SV) a primavera o sul treno da Luleå (Svezia) a Narvik (Norvegia) d’inverno. Ancora, in un altro caso, l’altrove si trova nel libro “Theandric” di Julian Beck. In “Più importante del mare” c’è anche una poesia scritta al Southside Festival 2016, in Germania, dove andammo insieme tu e io.
Hai scritto due libri: dove possiamo comprarli?
Entrambi i libri che ho pubblicato, “Più importante del mare” e “Delta” sono disponibili su Amazon e appaiono di tanto in tanto anche su questa pagina di Facebook.
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Come dite?! Ah lo scoop. La notizia non è che io e Danilo ci conosciamo personalmente da molti anni, né che siamo andati insieme a un festival rock dove, tra l’altro, abbiamo visto un’esibizione mitica dei Sigur Ros alle 3 di notte, preceduta dagli Apocaliptica. Che cosa spettacolare. La notizia è che Danilo è Caos. Quello di Caos e Anima. Trovate la favola divisa in due: la prima e la seconda parte. Ho scritto quella favola e gliel’ho donata ed è stata proprio quella favola – o meglio in suo ritrovamento prima a casa e poi nella mail di Danilo – a rimetterci in contatto più stretto. Eravamo amici su Facebook ma non ci eravamo più detti molto. Ma le cose sono cambiate la sera in cui lui ha ritrovato quel testo e me l’ha girato. È stato lì che ho scoperto dei suoi libri ed è stato lì che ho deciso di comprarne, intanto, uno. Poi arriverà anche il secondo. Danilo potrebbe essere definito come un sorriso vagante e la foto che ho scelto da mettere in questo post lo testimonia. In una delle sue poesie lui si definisce “burrasca“. Io di me dico, spesso, che sono tempesta. Per me è stato solo Caos. In lui ho sempre visto qualcosa di diverso/uguale a me, in qualche modo. Come ho scritto commentando la favola, fondamentalmente Caos sono anch’io ed è proprio quella scintilla di disordine totale che portiamo dentro che ci fa esprimere per quello che siamo e che ci fa diventare forza che non è mossa ma che muove. Danilo è proprio così. Sono felice di averlo intervistato e di averlo portato dentro queste pagine, con il suo sorriso, la sua forza espressiva e tutta la sua capacità di amare. E che non finisca mai!
Tutte le foto senza caption sono © Giovy Malfiori e Danilo Danglari – riproduzione vietata.
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