
Sto continuando la lettura dei miei diari e sto ritrovando dentro un sacco di cose: di me, del mondo, delle persone che hanno contato e che – cavolo se sono fortunata – contano ancora per me. Ci sto trovando dentro anche tante cose sulle quali sto ragionando. Capita, però, che siano le cose a trovare me e non io loro. È successo giorni fa, quando qualcuno (e ancora grazie!) riordinando casa ha trovato un racconto che avevo scritto nel 2005. Questo post è un Off Diari della Giovy, nel senso che riguarda il periodo dei miei diari cartacei ma non arriva direttamente da quelle pagine. Anche se l’idea del racconto è proprio in Giovy V. Quello che state per leggere oggi è la Favola di Caos e Anima.
Off Diari della Giovy: I miei racconti

Sono figlia della tempesta, un po’ come Darnerys del Trono di Spade. Ho il tumulto dentro da una vita, le onde che mi cullano quando dormo, il vento che mi parla e il bosco che mi protegge. Sturm und Drang potrebbe essere una condizione ottimale per la sottoscritta. Non vi ho mai fatto mistero di aver sempre scritto tanto. Quel “scrivo, tutto il resto l’ho scordato” messo nella bio parafrasando Walt Whitman è davvero ciò che posso dire maggiormente su di me. Ho scritto il primo racconto (cosciente che fosse tale) a metà degli anni del liceo e sembra che sia andato perduto ma non è detto. Spesso mi capita di regalare racconti quando voglio fare qualcosa di speciale. Perché, in fondo, donare parole è meraviglioso (e anche riceverle). Almeno per me. La Favola di Caos e anima prende vita nel 2005, ottobre 2005. La favola, a differenza della fiaba (ne parlavo in un post tempo fa), prevede una morale, una sorta di risoluzione finale. Quella che state per leggere è la prima parte. Arriverà la seconda. Il racconto è lungo per pubblicarlo in un solo post. Pronti? Ecco cosa scrivevo io – la Giovy – 16 anni fa.
La Favola di Caos e Anima: prima parte

La stesura di questo racconto inizia in un pomeriggio in cui non si sa quale sia l’intenzione del sole: è là, nascosto dalle nuvole, pronto ad uscire… Ma nello stesso tempo pronto a nascondersi. C’è qualcosa dentro di me che mi spinge a pensare che ogni storia che si racconta, anche la più brutta, in fondo, sia una favola. Le mie parole diventano realtà su questa pagina, sorseggiando una tazza di tè alla vaniglia, seduta a gambe incrociate su un divano blu.
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C’era una volta un’Anima, c’era una volta il Caos.
Non si conoscevano ancora. Anima abitava a Paese verde, dove c’erano tanti alberi, dei laghi, dei monti pronti ad abbracciare l’esistenza di chi abita la valle sottostante. Anima aveva l’età giusta per vivere le altalene che, in quel dato momento, le si prospettavano davanti. Era lei, con tutti i suoi pregi e con i suoi miliardi di difetti, ma nell’esatto momento in cui questa favola di parole cominciò ad esistere, lei si stava reinnamorando di se stessa.
Dopo anni di temporali e di “non saprei”, lei si percepiva, sentiva dentro se il battere d’ogni sua cellula, il moltiplicarsi di qualsiasi cosa che in lei potesse dare vita. Per questo motivo, Anima guardava il mondo con gli occhi di un esserino che vuole capire, scovare lo svolgersi delle cose… ma non per giudicarlo o interiorizzarlo. Solamente per averlo ben chiaro davanti ai suoi occhi colorati.
Chi guardava negli occhi Anima vedeva semplicemente un marrone intenso misto al verde bosco; probabilmente perché terra e alberi erano le componenti fondamentali di quell’esserino. Se qualcuno chiedeva ad Anima com’erano i suoi occhi, lei rispondeva che portavano in sé l’arcobaleno. Perché quella era la sua sensazione. Era ciò che capiva nel suo cuore.
Anima era testarda e caparbia, forse un po’ rompicoglioni ed estremamente portata ad un’indipendenza che l’aveva convinta a fare delle scelte di vita importanti. Probabilmente era inadeguata per il periodo storico in cui si era trovata a vivere, ma non gliene fregava niente perché lei si amava. Di nuovo. Ancora.
Anima, esserino viaggiante, un giorno decise di entrare nel Labirinto di parole. Ogni tanto capita di fare qualcosa la cui sola ragione è la voglia di vedere che cosa ci sia al di là di qualche recinzione. Quel luogo di parole si presentava come un nuovo paese da esplorare; un luogo che incuriosiva e che non impauriva; una specie di mappamondo dell’esistenza da scandagliare, comprendere e fare proprio. Le sfide ad Anima piacevano moltissimo… sicché non ci pensò due volte a raccogliere il suo zaino ed intraprendere questa nuova esperienza.
All’ingresso del Labirinto di parole si trovava un arco fatto d’edera. Anima guardò quest’arco con il naso all’insù e le foglie sembravano danzare. Le pareti del labirinto erano formate da vari materiali e cambiavano a seconda del percorso. In quel momento la recinzione era tutta fatta di mattoni … rossi, ben delineati e precisi. Anima camminava allegra per quella strada che non conosceva.
Incontrò la Curiosità.
Si salutarono molto affettuosamente perché erano vecchie amiche. Avevano imparato a frequentarsi e a volersi bene nel corso degli anni. Parlarono del perché Anima avesse intrapreso quel viaggio nel labirinto. Anima le disse che, segretamente, aveva voglia di rivedere Curiosità. Aveva bisogno delle sue lievi scariche elettriche sottopelle, aveva bisogno del colore che vestiva costei. Fu così che Curiosità, aprì la borsetta gialla che portava sempre con sé, e consegnò ad Anima un fiore giallo ed uno spicchio di sorriso. Gioiosa e un po’ più sorridente, Anima continuò il suo cammino.
Voltò a sinistra, poi a destra … e poi provò ad andare avanti dritta per un po’. È difficile trovare subito la strada da percorrere. Questo suona esattamente come il più comune dei luoghi comuni. E come tale è verissimo. Proseguendo sui propri passi, Anima giunse in un punto del labirinto dove le pareti cambiavano la loro materia di composizione. Erano fatte di cemento armato, come qualcosa d’artificiale, difficile da abbatter ma nello stesso tempo rassicurante, protettivo e forte. Tra quelle mura massicce incontrò la Forza.
Per la prima volta Anima si trovò di fronte a quella caratteristica che non pensava di avere minimamente con sé. Crollare e piangere erano cose che Anima faceva, nel suo piccolo, molto spesso. Crollare e piangere avevano per lei una semplice accezione negativa quasi fossero semplicemente un rubinetto da aprire, una valvola dove lasciar sfogare i pensieri e tutto ciò che le scorreva dentro. Anima guardò Forza con aria interrogativa: “Chi sei?”, le chiese. “Sono Forza”, rispose lei. “Non ti conosco” disse Anima. “ Ti ho camminato sempre accanto anche quando tu non mi sentivi. Sono quella sensazione che ti fa battere sul muro la testa dura che hai e non lascia che la tua testa si rompa.”
Anima si sedette per terra e guardò Forza negli occhi. Quegli occhi arancio, tanto strani da fissare, tanto difficili da dimenticare. Si guardarono, una in piedi e l’altra a terra … con aria d’eterna sfida. “Vedi che sono dentro di te?” disse Forza. Tirò fuori un bottone grande, arancio e lo diede ad Anima. “Mettilo sul tuo zaino”, fu l’imperativo. Così fu. Era arrivato il momento di proseguire il cammino.
Dopo i mattoni regolari, dopo il cemento armato artificiale ma rassicurante, fu la volta di alcune staccionate molto alte di legno. Tutto odorava di resina, cosa che Anima amava appassionatamente. Il sentiero si fece improvvisamente in salita e di sassi. Passo dopo passo arrivò il tramonto rosso e poi scese la notte blu. Era una di quelle notti dove il cielo che si vede sembra quello invernale, con la Via Lattea così bella e così evidente. Era una di quelle notti in cui, sebbene il sole non ci fosse, qualcosa scaldava l’aria. Anima si sedette sotto l’albero, poggio il suo zaino e lo osservò. Per anni si era portata dietro quel piccolo fardellino simpatico e di stoffa; sapeva che conteneva dei colori, ma non aveva quasi mai sbirciato all’interno per vedere che forme essi avessero. Volle approfittare di quella notte.
Riprese in mano il bottone arancio e poi il fiore giallo di Curiosità. Poi buttò una mano dentro allo zainetto e cominciò a estrarre una serie di oggetti quasi senza fine. A noi è dato di raccontarne solo un po’. Ecco la spazzola blu regalatale da Intelligenza, le mollettine rosa, prestate senza termine da Tenerezza, una sciarpa verde chiaro, perché Speranza è fondamentalmente una delle sue migliori amiche, una scatola rossa, prezioso regalo della sua amica Passione. Fu il turno anche di un martello marrone bosco, tanto pensante ma tanto utile che, un po’ di tempo prima, Testardaggine, cugina di Speranza, le aveva regalato. In quel momento Anima si rese conto di tutte le cose che, passo dopo passo, le facevano compagnia. Non erano semplicemente degli oggetti contenuti in uno zainetto ma, più precisamente, dei puri e semplici simboli di ciò che gli altri vedevano nel cuore di Anima e che lei, non si sa per che motivo, per tanto tempo si è rifiutata di osservare.
La notte proseguiva e le ore passavano scandite dal soffio del vento. Le stelle ruotavano e Anima si addormentò. Si lasciò cullare dal tiepido venticello che scendeva nel labirinto della valle del Paese Verde. Si lasciò trasportare da un sogno che stava facendo, da una piccola mano che la stava conducendo probabilmente lungo una strada in cui non voleva camminare ma che nello stesso tempo la tentava. Sorridente nel suo sogno tentatore, improvvisamente si svegliò, quasi scossa da qualcosa che l’aveva investita imprudentemente durante quelle ore illuminate da stelle. Appena ebbe ripreso un po’ coscienza di se stessa, si scoprì lavata dalla testa ai piedi da un’ondata inaspettata, arrivata direttamente da un ruscello vicino all’albero sotto il quale Anima dormiva.
“Chi sei? Perché mi hai lavata finché dormivo?” Seguì una risatina compiaciuta, divertita e un po’ simpatica ma anche un molto interrogativa. “Sono Caos”, risposte l’acqua. In quel momento Caos prese una forma che Anima poté visualizzare e si sedette, a gambe incrociate, di fronte a lei. Anima lo guardò sorridente e allo stesso tempo un po’ intimorita. Sentiva che qualcosa in quell’altro esserino che aveva davanti a sè la stava tenendo lì ferma, ma non capiva cosa. In passato, si erano ritrovati, senza saperlo, più volte nella stessa stanza ad ascoltare le stesse parole, a compiere le stesse mosse. Si erano sfiorati, probabilmente, più di una volta in mezzo alla moltitudine della folla ma non si erano mai confusi l’uno nell’altra. Anima non capiva, in quell’istante, perché la sua indole curiosa e un po’ impertinente la stesse spingendo verso Caos.
Entrambi a sfiorarsi lo sguardo con lo sguardo, a scambiarsi energia tramite il contatto di una mano che improvvisamente prese quella dell’altro. Quelle gambe incrociate su quel terreno reso caldo dalle stelle della notte sembravano non esistere, ma si fondevano un abbraccio di racconti che uscivano dalle labbra di Caos e dalle labbra di Anima.
“Sembra strano”, disse lei, “tu sembri essere sempre stato con me”. “Io sono sempre stato con te, ma non te ne sei mai accorta”. In fondo, Anima sapeva benissimo quello che Caos voleva raccontarle.
[Fine prima parte]
Cosa provo a rileggere di Caos e Anima?

No, ma davvero? Ma veramente? Ecco che cosa mi sono detta non appena il file con la Favola di Caos e Anima è approdato tra le mie mani. Mi sono seduta sul divano blu (sì, lo stesso divano blu che indico nella frasi prima dell’inizio del racconto). Ho fatto un bel sospiro e ho letto e riletto un sacco di volte il testo. Quello che, a me personalmente, risalta di più è come descrivo i miei occhi . Ora, a distanza di tanti anni, se descrivo i miei occhi a chi non può vederli, io dico che sono color bosco. Quello che credo di aver fatto con quella favola, in primis, è stato tirare fuori da quello zainetto di stoffa (che, per la cronaca, è dentro il mio armadio ancora oggi) tutta ciò che sono. Ho disposto ogni elemento sulla tavola, l’ho guardato, preso tra le mani, avvicinato all’orecchio per vedere se suonava o faceva rumore, avvicinato al naso per sentirne il profumo e poi ho dato anche un morso per conoscerne il sapore. La domanda, ora, è una sola: può un testo di 16 anni fa parlare alla me stessa di oggi? A me sembra di sì e la cosa mi spaventa un po’ da un lato, mi coccola dall’altro. È come se la Giovy del 2005 fosse saltata fuori per rassicurare la Giovy del 2021 su alcuni lati della mia personalità che – me lo chiedo eternamente – non so se siano mie peculiarità o miei problemi. Ancora una volta, mi sento come River Song del Doctor Who. Avete presente? [Attenzione spoiler] River è la donna che insegue il Dottore e lo chiama Sweetie. Lei scrive un diario (!!), ha i capelli spettinati e mossi (!!), fa l’archeologa (io ho studiato storia, va bene lo stesso?), si caccia sempre in un sacco di guai e sembra la persona più folle del mondo. Sembra. Ecco, rileggendo la Favola di Caos e Anima mi è venuto in mente che io potrei essere River Song. [Super-spoiler!!!) Amerò un Signore del Tempo e poi lo inseguirò per tutta la mia vita. Eterna. [Sto delirando, fermatemi].
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