
Quest’argomento – l’alba in Piazza Tienanmen – non è nuovo a questo blog. Ho già raccontato quel lontano giorno nel 2012, scavando dentro di me e ritrovando i ricordi del mio viaggio in Cina. Dato che ho ritrovato con sommo piacere i miei diari, eccomi qui a riportavi esattamente ciò che scrissi a riguardo delle ultime ore di quel viaggio nel lontano oriente. Un oriente che non avevo mai pensato di raggiungere e dove, quasi per magia, mi sono ritrovata nel marzo del 2000. 21 anni fa. Mi fa quasi orrore dirlo ad alta voce. Non mi sembrano passati 21 anni. Che cosa accadde? Sono qui per copiarvi parola per parola dalle pagine del mio diario di viaggio.
Giovy III: dal 1999 al 2001, la mia grande pars construens
Eccolo lì Giovy III, un diario pazzesco in tutta la sua moltitudine di parole. Nel dare vita a questa rubrica chiamata I Diari della Giovy non seguirò l’ordine cronologico della mia vita. La volta scorsa vi ho mostrato la Giovy del 1997, quella ragazza di 19 anni che scriveva alle stelle. Ora approdiamo come per magia nel marzo del 2000. Io avevo 22 anni compiuti da poco ed ero partita per la Cina. Quando decisi di fare quel viaggio, andai in cucina e dissi semplicemente “Mamma, vado in Cina“. E la mia mamma rispose dicendo, in dialetto veneto, “a go caro” (ovvero: mi fa piacere). Quel viaggio fu pazzesco, soprattutto perché avrei visitato un paese così alieno da come ero io. Un viaggio davvero esotico. Un viaggio che mai mi sarei aspettata di fare. Il 25 marzo del 2000 io avevo l’aereo per tornare in Italia. Decisi, con le mie compagne di viaggio, di andare a vedere l’alzabandiera in Piazza Tienanmen. Giusto per stranirmi ancora di più.
25 marzo 2000: la Giovy va in Piazza Tienanmen all’alba

[Facciamo iniziare questa parte della mia vita in viaggio dalla notte prima…]
… Adesso dormo due orette e mezza. Alle cinque ci si sveglia per andare a vedere l’alzabandiera in piazza Tienanmem. Poi saluteremo la Cina.
Aeroporto di Pechino: disguidi tecnici sul nastro porta-bagagli e tutte le pratiche per il check-in sono interrotte. Adesso capisco perché l’aereo del viaggio di andata era arrivato in Italia in ritardo. Cascasse il mondo, io non parto finché il mio zaino non è in stiva. Ce lo metto io, al massimo!
Comunque, questa mattina, camminando molto velocemente, siamo arrivate in Piazza Tienanmen circa in un quarto d’ora. Alle sei in punto c’era l’alzabandiera. La piazza era popolata da moltissimi cinesi. Io, la Dolly e la Fede.eravamo le uniche occidentali presenti. Situazione e sensazione davvero strane. Sono state issate prima le sei bandiere sulle aste piccole (perché sei aste?!) di Porta Tienanmen. Subito dopo, è uscito un plotone formato da una ventina di guardie che marciavano come robot a paso regolare, preciso, simultaneo. Tutto era così perfetto da non sembrare nemmeno vero.

Il plotone si è arrestato davanti all’asta grande della piazza. Dopo un istante di totale silenzio, è partito l’inno nazionale. Da pelle d’oca. Davvero. La Cina mi ha dato strane senszioni, a partire dal taxista di notte, al tempio di Chengde. Tutto, se ci penso, mi ha dato qualcosa qui. Anche il sentirmi strana è qualcosa. Mi sono sentita aliena.
Ho scoperto un pezzo d’Asia che non faceva di certo parte dei miie primi propositi di viaggio. Quello che mi ha lasciato dentro è un gran senso d’ordine, di pace e di razionalità. Devo ammettere che mi ha lasciato molto perplessa il senso di “inquadramento” che la rivoluzione culturale di Mao ha lasciato a questo popolo. Stamattina, durante l’alzabandiera, ne ho avuto un lampante esempio. Ho notato una cosa: la rivoluzione di Mao avrebbe voluto spazzare via quell’impero che tanto opprimeva il popolo ma i simboli dell’imperialismo cinese non sono mai scomparsi. Sono solo mutati in qualcosa di più “socialista”.
La Cinà è fatta dal ricordo di imperatori, eunichi, concubine e di rituali fissi che durano anche ora. Stamattina ne è un esempio. Finita la cerimonia dell’alzabandiera ne è iniziata un’altra, che forse mi ha lasciato ancora di più colpita. Se lo posso dire. Non appena le guardie sono rientrate nella Città Proibita, le persone presenti si sono messe in fila per entrare nel mausoleo di Mao. Avrei voluto farlo anch’io ma non ne avevo il tempo. Un signore, dopo essere entrato a vedere la salma imbalsamata di Mao… è uscito piangendo. Credo non lo scorderò mai. Ho viaggiato, sì, per conscere qualcosa della Cina ma non so immaginare la vita lì.
Vale la pena di spendere qualche parola per tutte le “facce da Cina” che mi hanno incontrata lungo la strada e che io ho tentato di fotografare (spero con successo). Come dice Goffredo Parise “un miliardo di versi in un’immensa pagina che si chiama Cina”.
La hostess mi ha appena detto che mancano circa 3 ore all’atterraggio. Guardo lo schermo qui in aereo e dovremmo aver sorvolato da poco Mosca: siamo in Europa, di nuovo. Adesso non mi resta che passino queste ore che mi separano dall’Italia, dalla mia vita di sempre, normale come tutto ciò che la compone. Una cosa, ora, mi sembra strana: mangiare con le posate. Non credevo sarei riuscita a diventare così brava con le bacchette. Se chiudo gli occhi, ora, vedo il viso delle guide che mi hanno spiegato questo paese. Vedo i volti dei bimbi dell’asilo degli Hutong di Pechino. Vedo tutti i venditori con i quali ho contrattato (la domanda è come io abbia chiuso lo zaino), vedo le facce robotiche dei soldati di Piazza Tienanmen, i vecchietti in tuta blu e le ragazzine vestite all’occidentale con le zeppe. Riesco a vedere i visi dei contadini dei villaggi di campagna della Manciuria. Vedo anche il faccione di Mao, sempre presente. Ops, il presidente Mao… come dicono loro.
Spero di riuscire a trasmettere agli altri, con le mie parole, ciò che la Cina ha dato a me. Tentar non nuoce.
Il commento al mio racconto sulla Cina
Mentre trascrivevo le parole del mio diario qui sul blog, mi sono soffermata particolarmente su una frase. Una frase che non esiste più nel compendio del viaggiatore contemporaneo. Riferendomi, infatti, alle foto scattate in giro per la Cina, mi sono detta “speriamo che siano venute bene“. Era il 2000 e si tornava ancora dai viaggi con i rullini da sviluppare. Scattavi e non sapevi cosa avevi colto di preciso. Quando ritiravi le foto, era come rifare il viaggio di nuovo e questo, ora, non c’è più. Parliamo “solo” di 21 anni fa. Non si un secolo. Questo mi fa riflettere su quanto il nostro mondo corra veloce e quando noi non siamo capaci di correre come lui. La Cina che vidi io, soprattutto Pechino, era quella prima delle Olimpiadi, prima di una trasformazione pazzesca. La seconda cosa su cui rifletto, ora, riguarda il fatto che, quella mattina all’alba, io ho scattato una foto sola… e anche venuta male. L’ho messa lo stesso qui nel post. A quel tempo sicuramente si badava di più a vivere il viaggio in tutto e per tutto che a fare foto. Io mi trovavo a vivere un qualcosa di pazzesco quella mattina in piazza Tienanmen e ho deciso di esserne parte, anziché essere spettatrice. Il terzo elemento che mi fa riflette – e sorrido anche – è ciò che scrivo alla fine: al tempo il “trasmettere a parole” per me era quanto scrivevo sul diario e quanto raccontavo agli altri parlando. Ancora oggi, spesso, mi chiedo se io sia capace di farlo davvero.
Tutte le foto senza indicazioni diverse sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Te l’ho già detto altre volte, ma te lo ripeto volentieri: tu riesci a trasmettere tutto con un amore e una sensibilità che pochi altri blogger (si contano sulle dita di una mano, secondo me) hanno. Che sia su un vecchio diario di carta o attraverso una tastiera. E sicuramente riesci a farlo anche con la voce; spero, un giorno, di poterne avere la conferma e incontrarti per un bel caffè e tante chiacchiere sui nostri viaggi. A presto, cara Giovy!
Ti ringrazio moltissimo, Velia!
Per me è importante sapere di riuscire nel mio intento e, probabilmente già a 22 anni, mi andava di raccontare il mondo alla gente.
Ci prenderemo presto quel caffé.