Avete mai sentito parlare di archeologia industriale? Per me si tratta di qualcosa di davvero interessante. Io sono particolarmente affascinata da ciò che resta del vecchio retaggio industriale italiano, non importa sia di metà Ottocento oppure di sessanta anni fa. Credo che l’Italia debba ancora fare molto per raccontare il suo patrimonio industriale. Ci sono luoghi – come l’Inghilterra per esempio – in cui il vecchio passato fatto di fabbriche e alloggi è parte integrante del patrimonio di una città. Manchester, con luoghi come Ancoats, del resto insegna. Oggi intervisto Jacopo Ibello, presidente di Save Industrial Heritage.
Ciao Jacopo, ci racconto in poche parole chi sei e che cosa sia Save Industrial Heritage?
Sono geografo, laureato presso l’Università di Bologna e diplomato al Master in conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale dell’Università di Padova. Mi occupo professionalmente di progetti relativi alla conoscenza e promozione della cultura industriale. Nel 2014, insieme ad altri giovani professionisti interessati alla valorizzazione di questo patrimonio, abbiamo fondato l’associazione Save Industrial Heritage, con lo scopo di unire le nostre capacità ed esperienze e realizzare così iniziative di vario genere (turistiche, espositive, congressuali), cercando di diffondere nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’importanza della cultura industriale.
Che valore, paesaggistico e culturale, ha il patrimonio industriale in Italia?
Il patrimonio industriale italiano è strettamente legato al territorio. Il fatto che noi individuiamo spesso una regione o una città con una determinata produzione, non è casuale. I famosi distretti che formano l’ossatura del sistema produttivo italiano hanno spesso radici più antiche della Rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra a metà Settecento, e sono nati a causa di fattori ambientali e storici ben precisi. Pensiamo alle produzioni tessili di Prato, Biella e Busto Arsizio, alle lavorazioni metallurgiche del bresciano o alle aree minerarie della Toscana e della Sardegna.
Ci sono nazioni (come l’Inghilterra, per esempio) in cui il recupero industriale è all’ordine del giorno, fatto proprio per valorizzare una città o una data zona. Come mai questo succede poco in Italia secondo te?
Ormai il fenomeno del recupero del patrimonio industriale è all’ordine del giorno anche da noi. C’è stato sicuramente in passato un ritardo rispetto a quei Paesi in cui l’industrializzazione ha avuto un impatto maggiore rispetto all’Italia. Questo è dovuto sia alla maggiore sensibilità verso il patrimonio industriale, ritenuto un elemento di identità storica e culturale molto più che nel nostro Paese, che per particolari condizioni. Una fra tutte è la maggiore diffusione di grandi aree industriali in centri medio-piccoli, che quindi hanno più difficoltà a gestire queste situazioni (mancanza di fondi, scarsa attrattività per eventuali investitori), rispetto ad altre nazioni dove la grande industria è essenzialmente concentrata nelle prinicipali aree urbane.
Questo è un blog che parla di viaggi: ci consigli tre destinazioni italiane legate al patrimonio industriale?
Prendendo a riferimento la Guida al turismo industriale, scritta dal sottoscritto e recentemente pubblicata da Morellini Editore, mi sento di consigliare tre mete ancora poco conosciute: la Fabbrica Alta di Schio, il monumento più esemplare della prima industrializzazione italiana, il Santuario di Ercole Vincitore di Tivoli, un luogo unico dove archeologia classica e industriale si fondono. e la Valle dei Mulini e i pastifici di Gragnano, esempio perfetto del connubio italiano tra produzione e territorio.
Cosa può fare la gente per informarsi maggiormente su ciò che fate?
Visitare il nostro sito ufficiale www.saveindustrialheritage.org e seguire i nostri canali Facebook e Instagram dove pubblichiamo e condividiamo regolarmente luoghi e storie sulla cultura industriale, non solo italiana.
[Riprendo la parola io, la Giovy]
Non potevo non concludere questo post utilizzando la foto che vedete qui sopra. Quella è la Marzotto e quella è la mia Valdagno. Ho avuto davanti agli occhi i profili di quella fabbrica per tutta la mia esistenza e ora per me è un po’ sinonimo di due cose: la nostalgia e la bellezza di dire “sono tornata“. Seppure per qualche ora o qualche giorno. Spesso si considerano monumenti solo le opere d’arte ma certe fabbriche sono pure opere d’arte. Anche nel loro essere distopiche o dissacranti nei confronti del paesaggio nel quale si trovano. A mio personale avviso, l’Italia ha lasciato andare troppo un certo patrimonio industrale, lasciandolo diventare un mostro quando, invece, era un’opportunità. La cura del passato è totale sinonimo dell’amore per il presente. Anche quando il passato è rappresentato da un capannone dove migliaiai di telai hanno risuonato per anni. Ringrazio davvero Jacopo per questa intervista e sono davvero felice che esista una realtà come Save Industrial Heritage.
Tutte le foto sono © Save Industrial Heritage. Riproduzione vietata.
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