
Oggi, per me, non è un giorno a caso: è il compleanno di mia madre. La Bruna – ovvero la mia mamma – è morta nel 2012 e, da allora, mi manca come l’aria dentro una busta messa sottovuoto. Mi manca nel mio essere adulta perché mi manca il confronto con lei. Credo che, per quanto adulti, non si sia mai pronti a un genitore che non c’è più. Anche se si tratta della cosa più naturale del mondo. Vi ho parlato più volte di lei, come delle sue strane regole che, ancora adesso, mi porto dentro. Oggi è il compleanno della Bruna e io, tra una lacrima e un sorriso, le voglio scrivere.
Cara Bruna

Scoppio già in lacrime solo a pronunciare il tuo nome e provare a dire ciao mamma. Io lo so che tu sai tutto quello che mi succede: mi guardi in ogni dove, in ogni momento proprio come la nonna Cecilia. Non te l’ho mai detto perché pensavo mi avresti preso per matta ma, da quando è morta la nonna nel 1992, io ogni tanto sento che qualcuno mi respira addosso di notte. E io so che è la nonna. Non solo la nonna. Dopo di lei si è aggiunto Giovanni e dopo Giovanni ora ci sei tu. Siete lì in gruppetto a guardarmi e chiedervi cosa cavolo sto combinando. Vorrei svegliarmi e vedervi ai piedi del mio letto: non mi spaventerei e, anzi, mi metterei a ridere per la felicità convulsa e compulsiva di ritrovarvi con me. Ancora una volta fisicamente. Ma voi ci siete sempre. Tu ci sei sempre. Da quando hai lasciato questo mondo – lo sai – tante cose sono cambiate. In qualche modo so che tu avresti approvato, seppur borbottando, tutte le mie decisioni. Oggi è il tuo giorno e io vorrei trovare il modo per festeggiarti.
Ti festeggio… con la Rivoluzione

Tu e la nonna siete state per me un grande esempio. Probabilmente non l’ho capito subito ma voi due, a vostro modo, siete state rivoluzione pura. Anzi, Rivoluzione con la R grande. Grandissima. La nonna ha avuto il coraggio di ribellarsi a una società patriarcale che la voleva remissiva, in casa, al servizio di tutti. E lei no: ha preso su ed è diventata operaia. Rinunciando a una casa di famiglia e a un gruppo di parenti che l’avrebbe probabilmente protetta ma anche sfruttata. Tu hai rinunciato a un lavoro ambitissimo e sicuro per inseguire il tuo sogno di diventare infermiera e stare al servizio di chi aveva bisogno. Una vocazione, dicevi. E ti ho capito proprio l’anno in cui te ne sei andata: ho capito che sono come te, come la nonna, come voi. Il mio lavoro a tempo indeterminato, con 14 mensilità, in un posto spettacolare, con la coda di curricula fuori dalla porta (anche più forti del mio in quel momento) era qualcosa che non volevo più. E allora via: apro partita iva e compio il mio volo pindarico senza rete. Senza nulla sotto di me. Solo con la mia testa. I only own my mind, I am mine. Ancora prima che i Pearl Jam cantassero questi versi, siete stati voi a insegnarmi che quella frase era la pura Rivoluzione che avrebbe segnato la mia vita. Testarda come voi. Pronta a fare voli come voi. Pronta a raccontare al mondo la mia essenza. Mai domata. Sempre sull’onda. Anche quando l’onda ti sbatte a terra e ti lascia botte e tagli ovunque.
Ti festeggio… con l’integrità

Non hai mai fatto sconti a nessuno. Mi hai insegnato a essere integra e a difendere l’integrità anche con i denti. Essere integri e sinceri con se stessi non equivale a essere infallibili. Anzi. Io direi proprio il contrario perché è sbagliando che ci si rende conto di molte cose. Io non so – Cara mamma – se sono integra come avresti voluto che io fossi ma di sicuro ho imparato a non fare sconti. Proprio come te. Sono giorni che penso al fatto di non aver lasciato una discendenza. La nostra eredità matrilineare termina con me e, benché io sia ancora perfettamente in grado di avere un bimbo, lo sai benissimo che non ne farò nemmeno mezzo. La mia bimba – ma sicuramente tu lo sai già – si sarebbe chiamata Olympia, come la canzone delle Hole. Se avessi avuto un maschio, il suo nome (ma non me l’avrebbero accettato) sarebbe stato Nikola Tesla… e poi il mio cognome. So che, però, avrei avuto una bimba e sarebbe stata lei la testa dura a cui tramandare tutto. Dai miei racconti epici sulla vita a tante altre cose. Da febbraio ho imparato a non tradire più ciò che sono e vivere secondo i dettami che determinano la mia integrità. Ci sto riuscendo? Ti vorrei qui davanti a me per darmi una risposta. Ma tu mi guarderesti e, in dialetto veneto, mi diresti solamente “cosa vuoi che ti dica?“. Giusto perché era il tuo modo di dirmi che sono solo io a poter avere le risposte sulla mia vita. E caspita se è vero…
Ti festeggio con… le incognite da vivere

Tu sei sempre stata brava in matematica. Io no. Mi ricordo ancora un pomeriggio in cui ero in seconda media e mi aiutavi con le equazioni. Ora ti vorrei qui per aiutarmi con le equazioni della vita. Ho letto e mi hanno anche raccontato di una cosa singolare: in molti dicono che ogni 12 anni si esaurisca una sorta di ciclo vitale e la nostra esistenza cambi. Io posso dire che a 12 anni (meno una settimana) ho avuto il primo ciclo mestruale (sì, fatevi tranquillamente un piatto di cavoli miei… non ho segreti). A 24 anni sono andata a vivere proprio da sola. Ero fuori casa da quasi tre anni ma prima convivevo con un’amica. A 36 che cosa ho fatto? Probabilmente ho consolidato la mia esistenza come freelance perché ho capito che potevo farcela. Il problema è come contare in modo universale quei 12 anni. O bastano 12 anni a caso? Già, Bruna, tu lo sai: c’è molto che è cambiato per me in questo 2020. Proprio dopo 12 anni. Ora mi sento in balia delle incognite che, per dirla tutta, non sono sempre un male: le incognite, spesso, sono opportunità vestite male. Vestite come il porco, come direbbe qualcuno che conosco. Potremmo dire anche vestite come il mondo durante il lockdown. Ora io mi ritrovo nella situazione in cui non so che strada prendere. È come se, davanti a me, avessi una serie di porte da aprire. Per farlo devo risolvere un’equazione e di sicuro sbaglierò in qualche modo. Il fatto è che non so che porta aprire: non so dove andrò a vivere tra un po’. Non so che ne sarà di me. Non so se porò iniziare a riprogrammare qualcosa. Non so se tornerò a sentire il cuore battere in un certo modo. C’è una cosa che so, però, e me l’hai insegnata tu: ce la farò. O, come dico io, ghe la faremo.
Ti festeggio… col cuore rotto perché mi manchi
Tu mi hai sempre insegnato a essere tutta d’un pezzo. Perché tu eri così ma lo sappiamo benissimo sia io che te che, in fondo, si soffre ugualmente. Anche se si è tutti d’un pezzo. Soprattutto se si è tutti d’un pezzo. A fine del 2019 ho scritto una cosa come se fosse un’esortazione a me stessa. Mi sono detta che avrei dovuto imparare a lasciar andare e, con tutta probabilità, lasciarmi andare. Sai Bruna, lo sto facendo. Ci sto provando, pezzo per pezzo, passo per passo, craniata contro il muro dopo craniata contro il muro. Ma, lo sai, mi hai fatta in una forma morbida con una pasta unica: se sbatto la testa contro il muro, si spacca il muro e io mi procuro solo una piccola botta. Siamo arrivati al decimo mese di questo anno infame e posso darmi una pacca sulla spalla. Quella pacca, però, la vorrei da te perché oggi, mentre faccio ciò che amo (ovvero scrivere), sento una crepa grande come una casa dentro il cuore. Una crepa che pulsa perché, malgrado il dolore, è sintomo di vita al 100%. In quella crepa c’è raccontata tutta la mancanza che sento per te, per la tua presenza, per le tue telefonate, per i tuoi consigli, per i tuoi “a go caro“, per il tuo esserci. Mamma, vorrei che suonassi il campanello e che varcassi la mia porta anche solo per un’ora. Vieni a dirmi che va tutto bene. Vieni a ricordarmi come sono fatta, di che pasta sono fatta. Io lo so… davvero. Lo so. Ma, ogni tanto, c’è bisogno di ascoltarlo dalla voce altrui. Oggi faccio una torta semplice, di quelle che piacevano a te. Con lo zucchero che si caramella in forno. Oggi preparerò l’arista con cipolla e latte e il puré. O magari il risotto col formaggino e il pomdoro. Quei sapori sono l’elemento più tangibile e fisico per sentirti qui. Saresti fiera di me e di come sono nei miei 42 anni. Tu mi manchi e mi mancherai per l’eternità. Ho la tua coperta color lavanda qui con me. Mi avvolge. E sei tu. Nel tuo giorno e sempre, quando ho freddo.
Alone, listless
Breakfast table in an otherwise empty room
Young girl, violence
Center of her own attention
The mother reads aloud, child tries to understand it
Tries to make her proud
The shades go down, it’s in her head
Painted room, can’t deny there’s something wrong…
Pearl Jam – Daughter – 1993
Bellissima lettera cara Giovy, ti confesso che mi sono emozionata leggendo le belle parole che hai scritto. Penso che tua madre sia felice per quella bella persona che sei diventata, è vero non ti conosco di persona ma ti conosco per quello che scrivi e quello che leggo mi piace. Un abbraccio e continua sempre ad essere quella che sei. 💜 Se posso… Buon compleanno Bruna 🌹
Grazie mille Margherita. La Bruna sarebbe stata felicissima di leggere il tuo commento e di trovare i tuoi auguri!
Oggi mi hai fatto piangere!! 😘Ciao Giovy
Oh cavolo… Ciao Luca!
Non lo so come fai, ma ci riesci sempre. Leggerti è sempre toccante. Sei molto più di una travel blogger, questo te l’avranno già detto.
Mi hai fatto un gran complimento, Velia! Ti abbraccio
Giovy non ti conosco di persona ma solo leggendoti si capisce che sei una bellissima persona. Sono sicura che lassù tua mamma e tua nonna sono molto fiere di te.
Ti ringrazio moltissimo, Stefania!