
Inizio a scrivere questo post mentre, a Tenerife, albeggia. È il mio ultimo giorno – per questo viaggio – qui sull’isola. Questo è il giorno della valigia da fare, del papà da salutare, del Teide da salutare. Della mia isola da salutare. Questo è l’ultimo giorno di un grande viaggio targato 2020. Un viaggio atteso e vissuto alla grande. Mi porto a casa tante cose, come sempre mi accade quando lascio Tenerife. Mi porto a casa non so quanti segni sulla pelle, compreso quello del costume (ebbene sì, mi sono abbronzata), segni lasciati dall’incontro tra me e l’oceano. Un taglio sulla mano, uno sulla caviglia, un paio sul ginocchio sinistro. Che bellezza. Più li guardo, più mi sento viva perché, come ben diceva una canzone, You say when he hits you, you don’t mind, because when he hurts you, you feel alive.
Ho imparato che…

Conoscete Raffaella di Cose di Bergamo? Lei ha una buonissima abitudine, oltre a essere una blogger molto brava. Ogni giorno si chiede che cosa abbia imparato. E lo scrive su Facebook. I social, a mio avviso, dovrebbero servire soprattutto per momenti così anziché per veicolare fake news, odio, rancore e chissà quante altre cose brutte. Giorni fa le ho detto che avrei scritto un post in stile “ho imparato che...” e credo che ci stia tutto dopo il primo grande viaggio post-lockdown e in clima di pandemia. Per dirla tutta, spero di aver imparato tutte le cose che sto per scrivervi perché vorrebbe dire che questo viaggio è proprio servito. E, davvero, me lo auguro di tutto cuore. Ne ho bisogno.
Cosa metto nel mio zaino

Cosa metto nel mio zaino? Cosa mi porto sulle spalle da questo viaggio? Ve lo dico, in modalità lista. Lo sapete che le liste mi fanno bene, molto bene. Piccola nota temporale: nel frattempo, sono passati due giorni dall’inizio del post. Fuori dalla mia finestra non c’è più il Teide.
- Ho imparato che, a volte, ho bisogno di isolarmi dal mondo. Senza sentirmi in colpa perché non mi faccio sentire.
- Ho imparato che somatizzo troppo: do l’idea di essere la persona più placida del mondo quando, in realtà, ho dentro la tempesta. E non sempre la tempesta fa bene.
- Ho imparato che l’oceano è più forte di me. Ma ci vogliamo bene.
- Ho imparato che mi piacciono i posti dove sento solo il rumore delle onde e del vento di notte.
- Ho imparato che il concetto di perditudine è sempre molto mio.
- Ho imparato che ci si mette un minuto a sembrare patetici. Una vita a recuperare. Ma non demordo.
- Ho imparato che c’è chi ti manca. E chi ti manchissima.
- Ho imparato che c’è chi davvero è presente. E grazie al cielo.
- Ho imparato che il formaggio è buono ovunque. E – di nuovo – grazie al cielo.
- Ho imparato che dovrei osservarmi un po’ di più.
- Ho imparato, anche se per pochi giorni, a essere figlia di nuovo. Sensazione impagabile.
- Ho imparato che tornerò a essere la donna nell’Alto Castello, pronta a osservare il mondo. Ma in difesa. E mai indifesa.
- Ho imparato che gli abbracci con le persone giuste mi mancano. Ma si abbraccia anche a parole. E sorrisi.
- Ho imparato che, quando piango, mi scendono i lacrimoni in stile cartone animato. Ma io dissimulo mettendo gli occhiali da sole come le dive. Una diva cartone animato.
- Ho imparato che i miei capelli amano il vento e non smettono di dirmelo.
- Ho imparato che – caspita – fa male.
- Ho imparato a dirmi che andrà tutto bene. E che l’energia è pronta ad abbracciarmi ovunque.
- Ho imparato che devo vivere più come a El Hierro. E ve ne parlerò presto.
- Ho imparato che anche senza casa, senza famiglia e senza programmi… va bene. Un po’ come Remy.
Piangevo…
Due giorni fa, mentre l’aereo si alzava in volo sopra la Tejita a Tenerife (l’aeroporto è proprio lì dietro), io piangevo come non so cosa. Con lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Con la fila 18 tutta per me. Con il pensiero ripassavo questi “ho imparato che” e mi sono detta che avrei fatto meglio a scriverli nelle note del telefono. Non l’ho fatto e, a post finito, posso dire di essermi ricordata quasi tutto. Quasi. Qualcosa mi è sicuramente scappato. In questo tempo – per me – dove tutto è incertezza pura, mi sento come una zattera in balia della corrente. E, in balia della corrente, ci sono stata. E mi sono lasciata andare davvero. Mi chiedo come mai riesca a farlo in acqua e non a farlo sulla terra, con i piedi piantati nella mia vita. Piangevo, tornando a casa. Tanto anche. Ma preferisco pensare a me come quella persona con la faccia abbronzata che si vede nella foto qui sopra. Avevo appena saltato – letteralmente – nell’abisso dell’oceano. Avevo saltato, avevo nuotato, mi ero tagliata una mano, avevo lasciato che la corrente vincesse su di me. Eppure sono uscita dall’acqua felice. Poco dopo essermi asciugata ho scattato la foto. E lì – c***o – sono proprio io. Ho imparato che sono proprio io.
Faraway, so close
Up with the static and the radio
With satellite television
You can go anywhere
Miami, New Orleans
London, Belfast and Berlin…
Stay (faraway, so close) – U2 – 1993
La mia foto qui sopra è © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
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