
Quaranta giorni. O, se volete, lo scrivo con i numeri: 40 giorni. Quaranta giorni che non esco dalla mia casa, salvo rare eccezioni: una spesa al supermercato, qualche giro in auto per ascoltare qualcosa di bello e una passeggiata con tanto di brezza primaverile prima del lock down. Se l’avessi saputo, non sarei venuta subito a casa al ritorno da Manchester. Avrei messo la valigia in auto, salutato l’aeroporto di Bologna e fuggita da qualche parte, in mezzo agli alberi e a un po’ di natura. E, responsabilmente parlando, sono qui. Qui a casa. Da quaranta giorni. Come mi sento? Vi chiedo di allacciare le cinture di sicurezza perché lascerò le parole fluire, scorrere, uscire dalle mie dita e diventare realtà E non ho idea di quello che ne verrà fuori.
L’ultima ora d’aria

C’è stata la sveglia alle 4.30 del mattino. C’è stato quel taxi atteso in Sackville Street alle 5. C’è stato l’arrivo in aeroporto a Manchester. Poi i controlli non finivano mai. Io, previdente, ero arrivata abbastanza presto per non perdere l’aereo per andare via da Manchester. E se l’avessi perso? Non so, probabilmente mi sarei martellata le gonadi ugualmente per essere in un luogo che amo tanto – il nord dell’Inghilterra – e non potere girarlo a dovere. Quella è stata la mia ultima ora d’aria. Ho allacciato la cintura e l’aereo è decollato. Arrivata a Bologna pensavo già a quella che sarebbe stata la partenza successiva. E quella dopo, e quella dopo. E così fino a Natale. Se mi conoscete un po’, saprete meglio di me quanto io ami programmare, quando possibile. Guardare il calendario e vedere tutte le partenze in fila, una dietro l’altra, mi mette tranquillità nell’anima. E adesso?
Jump

Avete presente la canzone dei Van Halen? Sì, vero? Ecco. Si salta. O meglio, salta tutto. Saltano i programmi, saltano i sogni ma non le speranze. Saltano i “ti vengo a trovare” ma non in modo definitivo. C’è quel che di mai definitivo in questo periodo di confinamento e/o quarantena che, da un lato, mi inquieta e dall’altro però mi dona speranza. Questa – signori miei – è la prima verità che mi sento di enunciare pensando a tutto questo periodo ai tempi del Corona Virus: la speranza, signori miei, c’è sempre ed è nascosta nelle piccole imperfezioni di ogni cosa. Almeno per me è così e io sento quest’ultima frase come una grande verità. Avete presente il suono della verità? Dovreste, ve lo dico io.
Il suono della verità

La seconda cosa che questo momento di lock down mi sta insegnando è il suono della verità. Sono sempre stata una che si racconta poche balle. O almeno così credevo. Ve lo dico proprio terra terra: ho capito che, in tanti anni, mi sono raccontata delle balle immense. Balle mascherate da realtà. Come ci sono arrivata? Semplice: stare rinchiusa mi permette di pensare un po’. Capiamoci, non è la prima volta nella mia vita che passo un periodo totalmente a casa, lavorando 7 giorni su 7 per almeno 10 ore al giorno. Mi sono capitati dei periodi così ma avevo la prospettiva della fuga certa. E allora mi raccontavo meno cose. Ora vivo in una stanza di 25 metri quadrati: ci dormo, ci mangio, ci lavoro, ci guardo la tele, ci leggo libri e sogno, fantastico, viaggio con la mente dai miei 25 metri quadrati. La misura contenuta del mio luogo attuale ha permesso di far riconoscere, dentro di me, il suono della verità. Fate un gioco, così capirete: provate a raccontarvi – a voce alta – una grande balla e poi pronunciate, sempre a voce alta, qualcosa di immensamente vero. Non importa sia un “sono innamorata di” o “la banana è gialla“. Nel pronunciare la verità, noterete un suono diverso, un suono che vi parte dal cuore, si amplifica nel cervello e esce dalla bocca con un livello di intensità diverso dalla grande balla che aveva pervaso la vostra voce poco prima. Provate, gente, provate.
Ho capito di me

Lo sapete: io mi diverto a capire cose di me e poi scriverle. I miei 40 anni (ora 42… ma siamo sempre sul nomero 40) mi hanno portato una consapevolezza di quella che sono che, ora come ora, definisco come devastante. D-e-v-a-s-t-a-n-t-e. E io che pensavo di conocermi anche prima. Mi sono resa conto, in questo tremento lock down, di quanto i miei 30 anni siano stati importanti ma di quanto io voglia di più da questi 40. E qui ve lo dico. Di me ho capito, in questi giorni, quanto segue. Lo metto nero su bianco onde evitare che mi dimentichi quanto sto per dire. Non ne ho nessuna intenzione.
- Amo i miei gusti musicali: per anni, in virtù delle tante balle che mi ero raccontata e per paura di essere sempre giudicata, avevo accantonato – se non per alcuni momenti – la Giovy che ama la musica. La sua musica. Il viaggio a Seattle dell’anno scorso mi ha immensamente aiutata. E non solo quel viaggio.
- Ho scoperto che amo raccontarmi… e questo blog lo testimonia. Ma ho fatto un passo in più: amo raccontarmi così come sono e non ho più voglia di essere giudicata noiosa. La noia altrui non mi tocca più.
- Ho capito quanto io mi voglia bene: mi voglio così bene da aver instaurato un rapporto sbagliato con me. Avete presente quei rapporti tutti protezione, della serie “il mondo non ti deve toccare?“. Ecco. Ero quella con me e invece, grazie al cielo, ora sono qui che mi lascio avvolgere dal mondo e dal pensiero di esso. Mi faccio su nelle emozioni come nella migliore delle coperte e, volesse il cielo, me le vivo tutte.
- Ho profondamente inteso che dove vivo non è la mia casa. E non lo sarà mai.
- Ho, infine, compreso che molte cose del mio armadio non mi raccontavano più: sono riuscita finalmente a sbarazzarmi di alcune cose che, da quasi 12 anni, se ne stavano lì inerti. E ora sto meglio.
Non sono una fan di Marie Kondo e, in casa mia, farebbe poca fortuna ma apprezzo una cosa che indica quella giapponese amante dell’ordine: se stringendo una cosa a te non provi più nulla, è il momento di non tenerla più e dare spazio a qualcosa che genera svarioni ed emozioni.
E, quindi, Giovy?

E quindi non lo so. Guardo fuori dalla finestra e vedo il tiglio Attiglio (ovvero l’albero davanti casa mia) risvegliarsi. Osservo le casette delle api dove sono nate ben 8 api osmie (e sembrano tutti maschi) che ogni giorno sembrano elicotteri pronti a decollare. Mi guardo dentro e vedo un cuore che batte, un’anima che da inquieta diventa forte e rigogliosa. Questi quaranta giorni mi hanno sconvolta, fatto piangere, generato ansia e fatto prendere anche decisioni forti. Questi quaranta giorni mi stanno rendendo intollerante all’umanità di un certo tipo. In questi quaranta giorni ho finito Danubio di Claudio Magris e iniziato in altro bel libro (di cui spero di parlarvi presto). In questi quaranta giorni mi sono sentitva vacillare, rotolare a terra, presa da un’onda dell’oceano ma – e qui sta il bello – ho finalmente iniziato nuovamente a capire chi io sia davvero. E amo essere quella persona. Ora mi chiedo solo quanto durerà perché – seppur esercitando la mia forte capacità di trovare il positivo anche in una situazione di merda come questa – forse ho bisogno davvero di varcare la porta di casa, salire in auto e andarmene via. Davvero. State a casa, quindi. Vogliatevi bene e amate la vostra possibilità di essere di nuovo liberi e di sollevare il mondo dalla pandemia. Per favore… però la domanda nasce spontanea: davvero avete tutto quel tempo libero a casa, per cucinare, fare dirette instagram e tutorial vari? Davvero sono l’unica a continuare a lavorare?
Colonna sonora del post: Times like These dei Foo Fighters
Non sei la sola! Lo Smart working è una fregatura: stai connessa dalla mattina alla sera e sei sempre reperibile. In pratica non ho più tempo per fare altri, nemmeno scrivere!
Voglio tornare alla mia vita da travel!
Io non rinuncerei mai allo smart working… ma l’ho scelto 7 anni fa, aprendo la partita iva. Sono capace di darmi delle regole. Ma anch’io voglio tornare alla mia vita. A lavorare come se non ci fosse un domani per poi ripartire.
Ciao. Ho letto il tuo articolo con attenzione. Ha molti spunti su cui riflettere certo. Te stessa li descrivi molto bene. Penso di capire un po il tuo stato d’animo ora che sei in quarantena e soprattutto sul fatto che non puoi viaggiare!! Questa brutta esperienza che tutti noi stiamo vivendo da l’opportunità a ciascuno di rimescolare le carte del proprio io e ci pone delle domande. Piccoli segnali che però significano enormi cambiamenti. Io la penso così. Tutto qua. Luca
La pensi sicuramente bene.
Anche continuando a lavorare è logico che il tempo in questa quarantena si dilata enormemente ed è bello riuscire ad usarlo per capire di più se stessi e per amarci per quello che siamo o che stiamo diventano perché credo che nessuno quando uscirà di nuovo sarà uguale a prima.
Nessuno sarà uguale a prima: questa, probabilmente, è l’unica certezza.
Sicuramente questa sosta forzata sta facendo riflettere molti di noi, analizzando quella che è ed è stata la propria vita. Io di fatto sono a casa in smart working solo da una settimana e tra questo, la casa e la famiglia, in realtà mi sento di avere meno tempo di prima. A parte questo, le priorità, il nostro modo di vedere le cose e di vivere è cambiato e immagino non tornerà più uguale a prima (cosa non così negativa comunque).
Una cosa così non può lasciarci immobili. Il bello dell’umanità è che evolve. O, almeno, dovrebbe farlo.
Essere obbligati a stare fermi, chiusi in uno spazio ristretto, obbliga tutti a pensare e li mette davanti alla propria vita. Sto vedendo che molti ultimamente hanno capito di avere necessità di un cambiamento rispetto la loro vita di prima. Io invece, un po’ come te, sto capendo che la vita che facevo mi piaceva molto, per quanto a volte a mille allora e per quanto a volte complicata.
Amo viaggiare, per me è come respirare, fare cene con gli amici, organizzare gite e uscite. Amo chiamare la mia amica e uscire a bere un caffè, amo l’odore del palazzetto durante le partite di basket, le camminate infinite con mio cugino e le cene in famiglia a casa di mia nonna.
E voglio tornarci presto.
Senz’altro usciremo da questa situazione cambiati, chi più consapevole e chi con la voglia di essere altro.
Ah, io continuo a lavorare da casa, ho però imposto gli stessi ritmi di prima. Il PC lo accendo alle 9 e lo spengo alle 18.30. Per quanto compressa e immobile, la mia vita continua a venire prima. (ovvio che questa è la prospettiva di una lavoratrice dipendente)
Io mi chiedo davvero come sarà la mia vita dopo tutto questo. La immagino speciale e splendida.
senz’altro non daremo più le cose per scontate.
Ieri vedevo un servizio sulla situazione attuale in Cina dove nella zona rossa si sta lentamente riprendendo la “normalità”.
A un certo punto intervistano una ragazza dentro un centro commerciale che dice “può sembrare una cosa scontata, banale, ma per noi essere qui è speciale”.
Ti confesso, avevo le lacrime agli occhi e l’ho compresa perfettamente.
Credo anch’io che non daremo più niente per scontato. Almeno questo: ecco a cosa ci sta servendo questo periodo.
A me questa quarantena piace. Sto scoprendo cose di me che mai avrei creduto di saper affrontare. In primis.. la pazienza. Non mi sconvolgo per nulla, non vado in ansia, seguo i ritmi del sole. Faccio quuello che posso senza stressarmi, mio marito ( che a marzo è latitante per lavoro di solito ) è sempre con noi a casa, ed è diventato manutentore e persino inventore! Non ho fretta di uscire, preferisco che la natura Si prenda ancora qualche giorno per vivere serena.
Probabilmente la stai vivendo nel luogo e con la persona (o persone) che vuoi. A me manca il fatto di sentirmi a casa nel pieno senso della parola.
Il tuo articolo rispecchia le riflessioni che molti di noi si stanno facendo in questo periodo, me compresa.
Io sono tornata dall’India al pelo il 13 marzo per essere chiusa in casa da quella data. Mio marito va a fare la spesa quindi io non ho messo neanche mezzo piede fuori dalla porta di casa finora,
Ho continuato a lavorare in smart working per la mia azienda fino a ieri, quando, ci hanno fatto sapere che dal 12 marzo siamo tutti in cassa integrazione retroattiva! E tutto il lavoro di queste settimane? Buttato al vento!! Soprattutto visto che la mia azienda doveva chiudere in Italia verso settembre, con un licenziamento collettivo, ma a questo punto è quasi una certezza che non riapriremo più.
Io sento questa chiusura come una liberazione, un’opportunità, e anche questa quarantena mi ha fatto capire cosa conta davvero. Forse riesco a mantenermi anche solo con un lavoro part time? Non voglio più vendere tutta la mia intera giornata per altri. Tante altre cose vorrei fare, soprattutto, viaggiare. Approfitterò della disoccupazione per cercare altre strade.
Mi piacciono le tue riflessioni, Sara!
Purtroppo lavoro in un’autoscuola quindi la quantità di tempo da dedicare allo smart working ogni giorno è davvero minima, al punto che vorrei ci fossero più cose da poter fare in smart working. Ma cose da fare ne ho, a partire da tutti i lavoretti sul blog che richiedono un sacco di tempo (per fortuna). Che poi non è mica tanto la noia: io sono abituata a stare da sola; quello che destabilizza è l’incertezza di cosa succederà tra una settimana, tra due, tra quattro. E tutte le domande alle quali al momento non so dare una risposta. Mi conforta leggere le tue parole perché mi sa che sei in una fase successiva dove si respira già un po’ di aria di positività.
Io mi chiedo in continuazione come saranno le prossime settimane.
Questi giorni con noi stessi tireranno fuori il meglio ed il peggio. Io, come te, sono abituata a stare da sola ma è proprio quell’incertezza che mi attanaglia e mi fa star male anche fisicamente. E mi rendo conto, più del solito, quanto io sia legata all’organizzazione della vita.
Bellissimo articolo, offri parecchi spunti su cui riflettere 😘
Ti ringrazio Ilaria.
A me la quarantena non sta pesando tanto, anzi. Certo, soffro il non poter viaggiare, ma lavorare da casa in smart working mi sta piacendo molto e nel tempo libero mi sto dedicando di più a me stessa e alle mie passioni. Ho anche scoperto un nuovo hobby, lo yoga. So già che mi peserà molto il ritorno in ufficio con la consapevolezza che per viaggiare bisognerà aspettare ancora un po’…
Io lavoro sempre da casa e quindi, per me, sembra tutto regolare. Tranne che per la libertà di muovermi.
Sono convinta che in tutto questo silenzio e chiusura ci siano molte persone che ancora non riusciranno ad ascoltarsi. Si distraggono con la televisione, il lavoro, ma sono l’ozio e la solitudine a proporti delle domande. Tutto sta nell’aver voglia di cercare le risposte. Tu lo hai fatto e, credimi, serve coraggio per mettere in discussione la propria vita.
Ne sono convinta anch’io…
Tante cose giuste te le hanno già scritte qui sopra. Non è da tutti sapersi ascoltare e sapere ammettere a se stessi le novità in modo sincero. Ora che sei lì, il resto sarà in discesa. :*
Lo spero, Lucy. Come va down under?
Non lavoro da casa ma in casa, essendo sia casalinga che mamma, e questa quarantena è parecchio pesante da gestire con un bimbo che necessita di attenzioni 24h su 24. Le emozioni che si provano sono contrastanti e i pensieri negativi tendono a prevalere. Per fortuna riusciamo ancora a contenerle e gestire, anche grazie alla tecnologia . Spero solo passi in fretta, perchè temo soprattutto le conseguenze psicologiche in un bimbo abituato a socializzare e viaggiare..
Torneremo tutti alle nostre vite. Io ci voglio credere.
E che di leggerti non mi stanchi mai… scritto proprio così
@mo16anni
Tantissimo amore per te, Mo!
L’avevo iniziata con buon auspicio la quarantena, ma sinceramente non pensavo si prolungasse così tanto … mi sono resa disponibile al servizio civile del paese per portare spesa e medicina agli anziani del paese …. le cose vanno avanti ma ci vuole pazienza
Hai fatto davvero una scelta coraggiosa e di pieno cuore. Brava!
Questa quarantena è abbastanza faticosa, anche se non voglio lamentarmi troppo, c’è chi sta decisamente peggio di me. La routine sempre uguale, stare 24 al giorno “rinchiusi” in casa insieme alla famiglia, con le tensioni che aumentano, con un bambino di 10 anni da gestire tra compiti, noia, prime ribellioni… ah, a volte mi manca l’aria!
Io ogni tanto fuggo in terrazza. E respiro a fondo.