
Come va Giovy? Insomma, in Veneto si direbbe “un alto e un basso fa un gualivo“. Ovvero un giorno buono e un giorno cattivo fanno, in fondo, un periodo normale. Si compensano. Si compensano un par di balle. Sono giorni, questi, in cui non ho davvero paura di dire che non sto bene. Avevo già iniziato a comunicarvi il mio essere traballante parlandovi del mio non sentirmi al sicuro. Oggi continuo su quel filone parlandovi di quelle cose con le quali baratterei il mio regno, nel caso ne avessi uno. Avete presente la frase “my kingdom for a horse!” che Shakespeare mette in bocca a Riccardo III nell’omonima tragedia? Sembra che, storicamente, questa sia proprio un’invenzione del Bardo e che il terribile re Plantageneto non abbia mai detto nulla di simile. Io la trovo l’emblema della disperazione da un lato e, dall’altro, l’espressione della voglia di non darsi mai per vinti. Non saranno mica la stessa cosa, no?
My Kingdom for a Horse!

“Un cavallo, un cavallo! Il mio regno per un cavallo…“. Era settembre del 2013 e giravo per il campo di battaglia di Bosworth facendo finta di essere Riccardo III. Bosworth Market è un piccolo paese delle East Midlands, in Inghilterra. Lì si è fatta la storia inglese perché, il 22 Agosto 1485, la Battaglia di Bosworth ha messo fine alla Guerra delle Due Rose consegnando il paese ai Tudor (sostenuti dai Lancaster, quelli della rosa rossa). Enrico VII, padre di Enrico VIII e nonno di Elisabetta I, prese il poter e iniziò un nuovo capitolo per l’Inghilterra. Riccardo III, considerato uno dei tiranni più crudeli della storia (assieme al primo dei Plantageneti, Edoardo I) moriva per mano di un arcere gallese, si dice. Non ci sono prove di chi l’abbia ammazzato in battaglia. Quello che resta sono i versi di Shakespeare, che io mi apprestavo a interpretare quel giorno, correndo come una forsennata in mezzo al prato e facendo finta di essere Riccardo III. Quel giorno giocavo con la storia, cosa che ogni tanto amo fare. Ho ripensato a quel momento l’altra sera mentre ascoltavo Lover you should’ve come over di Jeff Buckley. per me la più bella canzone di quel meraviglioso e compianto cantautore. Uno dei versi dice “My kingdom for a kiss upon her shoulder“. Una di quelle frasi che ti fanno stringere il cuore. Sicché mi sono chiesta per cosa io baratterei il mio regno. Ovviamente la risposta cambia a seconda del periodo ma, ora come ora, queste sono le mie scelte.
Il mio regno per un abbraccio

Ho bisogno di questo: di sentirmi al sicuro e al caldo. La cosa migliore, per supplire una sensazione di mancanza, è essere strette in una abbraccio, di quelli che non sai dove finisci tu e dove inizia la persona che ti sta stringendo. A prescindere dal rapporto che vi lega. Negli anni (leggete: diventando vecchia) ho dato un significato diverso alla parola intimità ma ci sono due cose che, a prescindere da tutto, per me restano simbolo di affinità totale: i baci e gli abbracci. A volte un bacio dato bene è più forte di un rapporto completo e lo stesso vale per un abbraccio. Nella mia vita io ricordo abbracci capaci di far girare la testa e, se ci pensate bene, un abbraccio è vicinanza totale. Implica una sorta di fusione che non si può spiegare e, in questa fusione, nasce un’energia forte e quasi magica. Ora io sono come una dinamo che deve imparare a produrre energia di nuovo. Ecco perché darei il mio regno per un abbraccio.
Il mio regno per la serenità

Sapete come mi è successo in questa settimana? Una cosa che non accadeva dal 2005 circa. Ho avuto degli attacchi d’ansia. Badate bene: non sto parlando di attacchi di panico. Quelli sono un qualcosa di più forte. Spesso, quelli che chiamiamo attacchi di panico sono, in realtà, attacchi d’ansia. Sono fisicamente più leggeri ma prendete con le pinze questa mia ultima affermazione. Non voglio di certo sminuirli o sottovalutarli. Il primo è stato martedì, appena sveglia, alle 6 del mattino. Mi sono messa al pc a lavorare, con il mio bel bicchiere di spremuta davanti a me e ho sentito il respiro che diventava sempre più forte e poi è arrivata quella sensazione simile a una morsa che si prendeva la mia serenità e se la portava via. Un respiro, due respiri, mille respiri profondi, un pianto durato dieci minuti. E poi la sensazione di vuoto. Quello era un attacco d’ansia in piena regola. Mi sono seduta e ho ascoltato il silenzio. Ho riempito il silenzio col mio respiro e mi sono detta che quel suono era pura vita. Dura vita. Non è stato un bel momento, anche se pieno di consapevolezza. Ecco perché darei il mio regno per la serenità (ritrovata).
Il mio regno per l’assenza di dolore

Ve la ricordate l’Operazione Goldfinger, vero? Ecco, è sempre lì. Sono passati 421 giorni dal momento in cui è iniziata, bloccandomi la metà della mano destra e costringendomi, per un po’, a una vita a sette dita anziché dieci. La mano poi si è sbloccata ma non è più tornata quella di prima. Da quel giorno è entrato un nuovo amico nella mia vita: il dolore, quello che non controlli (ma ci provi), quello che arriva quando vuole lui, come vuole lui. Se fosse un elemento tipico di una compagnia d’amici, il mio dolore sarebbe quell’amico capace di esserci e non esserci. Ma quando c’è si fa notare. Potrebbe essere l’amico che se ne sta via 3 mesi per un lavoro. Poi torna e monopolizza l’attenzione di tutti. Negli ultimi dieci giorni, forse perché moralmente non sono al massimo della mia forma (e quindi perdo forza), questo dolore si sta prendendo gioco di me. Si diverte a tenermi sveglia di notte oppure mi fa addormentare per poi darmi uno scossone che non mi lascia più chiudere occhio. Dicono che il nome di questo dolore sia Parestesia. Quello che sono è che sono stanca e vorrei un giorno senza dover dire “cavolo, che male“. Vi dirò di più: ho paura che tutto questo dolore mi incattivisca. Ecco perché darei il mio regno per l’assenza di dolore.
Il mio regno per un posto dove andare

Una delle cose che faccio più spesso su Instagram è seguire i profili a tema “cabin“. Dove “cabin” è il classico bungalow in legno in mezzo al bosco o a un posto sperduto. Ora come ora vorrei avere la possibilità di ritirarmi in un posto così, dove poter recuperare quella che sono. Lo so che, al mondo, ci sono problemi più grossi e che c’è gente che può dire davvero “io non ho una casa” (penso molto ai Curdi in questi giorni) ma non riesco a non dare ascolto a questo mio bisogno e allora vago per la rete in cerca di un posto dove andare, dove ritirarmi per un po’ di giorni. Dove farmi un goccio di tè profumato al bergamotto, aprire il pc e scrivere. Dove respirare e finalmente dormire il sonno dei giusti. Dove dire alla pars distruens “ok, basta” e ripartire da me e dalla mia pars construens. Avere una famiglia sbrindola come la mia ha vantaggi ma, in un momento così, non sai mai dove andare perché la mia casa è assieme a me ovunque vada. Giusto per continuare con le citazioni. Vorrei avere un rifugio. Tutto qua. Ecco perché darei il mio regno per un posto dove andare.
Lo so, tornerà il sole. Torneranno i giorni felici. Ora, però, sono come Riccardo III sul campo di battaglia di Bosworth. Ça va sans dire, la colonna sonora di questo post è Jeff Buckley.
Cara Giovy mi dispiace leggere che tu stia attraversando un momento poco felice in cui compaio persino attacchi di ansia. Credo che ognuno di noi, seppur in maniera diversa, abbia vissuto quello che stai provando tu – io l’ho passato l’anno scorso in seguito a una serie di eventi poco piacevoli e credimi che proprio come te volevo solo fuggire e ritirarmi in un luogo semi deserto dove rilassarmi lontana da tutti leggendo, scrivendo e sorseggiando te. Visto che non era possibile, ho avuto la fortuna di essere supportata dalla mia famiglia e da poche, ma vere amiche, che hanno cercato di rallegrarmi le giornate. Ti auguro di ritrovare te stessa e di tornare ad essere felice.
Un abbraccio, seppur virtuale, grande
Grazie mille per le tue parole Valentina. L’ansia, molti anni fa, ha connotato qualche mese della mia vita ma ppi ho vinto io. Come succederà anche stavolta: devo solo trovare un po’ di energia.
Ciao Giovy! Vorrei dartelo io l’abbraccio di cui senti il bisogno in questo momento.
Quello che posso dirti è resilienza, i periodi brutti capitano e servono a farci apprezzare di più quelli belli.
Questa cosa non è consolante, me ne rendo conto, ma è un po’ quello che mi sono sempre detta io per cercare di far andare avanti la barca durante la tempesta.
Resilienza ora è sempre (ti ricordi? Ne scrivevo tempo fa)
Grazie mille per i tuoi pensieri. Tu ci sei, lo so.
Penso che sia normale ogni tanto aver voglia di nascondersi, di fuggire. Poi ci sono momenti neri dove capita tutto insieme e persino controllare le bollette diventa un peso insostenibile (almeno per me). Ci sono problemi che in un altro momento risolvi in un millisecondo e invece nella tempesta restano lì a pesare. Poi passa però. Ti mando un abbraccio così sai che non sei sola.
Grazie mille Paola!
Carissima, anche da dietro a un freddo schermo spero che ti arrivi il calore dell’affetto du una sconosciuta. Vivo quello che vivi tu, con il vantaggio di un’operazione in meno ma di un’incertezza sentimentale in più. Attacchi d’ansia a go-go e una facciata da tenere su perché comunque non sono una free lance e il pane quotidiano va guadagnato ugualmente, sorridendo e ponendo attenzione a quello che si fa (altrmenti si fanno danni alle vite degli altri). E se vai iin una cabina, ti prego, portami con te. Mangio poco, non sporco e leggo tanto (sto in silenzio). Se poi la trovi nella brughiera che entrambe tanto amiamo, sarabbe il mio sogno. Con infinito affetto.
Grazie Francesca, davvero…
Cara Giovy, ti abbraccio virtualmente da lontano ma ti stringo forte e sono certa che troverai il tuo angolino dove bere the al bergamotto e lasciarti invadere dalla sensazione di pace. Arriverà quel momento te lo assicuro, arriva sempre.
Grazie mille Antonella!
Un post molto sentito, profondo, interiore. Mi ha fatto riflettere: ed io, mi sono detta, cosa baratterei oggi per il mio regno? Le tue scelte sono tutte molto molto emozionanti…
Sei riuscita a darti delle risposte?
Giovy mia, mannaggia. Che andrà meglio, lo sai. Che non sei sola, anche. Guarda anche solo quanto affetto qui. Il dolore non ti incattivisce, finché sei vigile su questa eventualità. Dai, vieni da me, sta arrivando quel sole impertinente che guarisce tutto. Ce ne andiamo ad abbracciare i koala.
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Oh, sì… Ecco cosa ci vorrebbe: un volo per l’Australia!
Pensa che anni fa, quando facevo un lavoro che non mi piaceva, ogni mattina in auto pensavo “Cosa farei o darei per non dover andare a fare quel xxx di lavoro” e non riuscivo a pensare ad altro, lo facevo davvero, elencavo una serie di cose a mo’ di mantra. Beh, la buona notizia è che ora faccio un lavoro che mi piace: vedrai che tornerà il sereno 😉
Per il lavoro, ho fatto il tuo stesso pensiero 5 anni fa e ora ho per le mani proprio ciò che volevo.
Per il resto della vita è un po’ più complicato ma in qualche modo ne verrò fuori.
Finché avrai voglia di scrivere (con 10, 7, 3 dita e foss’anche solo con la punta del naso) non sarai mai sola. Cento, mille, diecimila anime amiche saranno lì con te. Saremo noi che ti leggiamo e le storie che tu racconti. Ti abbraccio forte.
Grazie Raffi! Ho proprio bisogno di parole così.
Ciao Giovy,
mi sono da poco imbattuta nel tuo blog, che leggo con molto piacere.
Nel leggere ho trovato anche qualcosa a me molto noto “parestesia” , avevo attacchi fortissimi di notte a tutte e due le mani e piedi, non ho chiuso occhi per mesi.
Un abbraccio forte
e complimenti…..per il tuo blog
Oh cavolo, davvero? Come hai risolto? Io ora sto un po’ meglio di una settimana fa ma me la sono vista brutta in quanto a dolore. Grazie mille per i complimenti e torna a trovarmi quando vuoi.
Pur non conoscendoti bene e leggendo le tue parole di tanto in tanto, spero che l’abbraccio virtuale che ti sto mandando, ti arrivi e ti riscaldi il cuore. So che é difficile trovare la forza di andare avanti a volte ma ricorda che non sei sola anche quando credi di esserlo. Un abbraccio grande.
Ti ringrazio molto Veronica!