
Quando sono andata in Canada (già che ci siamo, ne parlavo ieri), sull’aereo di AirTransat ho guardato A star is born, nella versione di Bradley Cooper e Lady Gaga. Mi è piaciuto molto, lo ammetto, e ho trovato che lei sia stata a dir poco eccezionale. Nel film mi sono piaciute le micro-citazioni alle versione precedenti: sia quella con Judy Garland che quella con Barbra Streisand. Nel periodo primaverile abbiamo ascoltato tutti mille volte Shallow e ci siamo messe a fare il tifo per Lady Gaga quando, durante la notte degli Oscar, lei e Bradley l’hanno cantata dal vivo, quasi cuore a cuore. Guardando il film, però, mi sono innamorata di un’altra canzone: Always remember us this way. Durante la Primavera-Estate 2019 l’ho ascoltata all’infinito. Mi ha fatto venire in mente una cosa che faccio con la mente: la settimana scorsa vi raccontavo di quel gioco in lascio che le canzoni rispondano alle mie domande. Bene, oggi vi racconto un altro mio gioco personale. E perché dovremmo avere tutti un’enciclopedia di istantanee nella mente.
Fantasìa o Fantàsia

Sono una che non vive senza la fantasia. Mai. Se c’è una dote che ho sempre avuto, quella è l’essere capace di volare con la fantasia. Quando ero più piccola (leggete: giovane), mi facevo del gran male: usavo la fantasia che la vita mi ha donato per farmi i miei film. Ora me li faccio ugualmente ma sono più brava a considerarli astrazioni (leggete: desideri) e a scinderli dalla vita che sto vivendo. C’è una cosa che, però, non è cambiata nell’uso della mia fantasia. Quando ero piccola piccola (e ora l’aggettivo “piccola” è corretto) ero solita andare a letto alla sera e mettermi a dialogare con il cielo. Non importa se fosse, Dio, Thor, Zeus, Ganesh, Gesù, un angelo, mia nonna o un amico immaginario. Io dialogavo col cielo. Una sera, invece, cominciai a dialogare con Dio e gli feci una domanda: “sono tutti vecchi lassù?“. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Dentro di me strinsi un accordo con qualsiasi entità celeste: avrei deciso io l’immagine che avrei avuto una volta arrivata là. Non importa se avessi 93 anni o 117. Io avrei deciso l’immagine che avrei tenuto per sempre. E così anche per gli altri. Quando morì mia nonna Cecilia io avevo 14 anni. Richiamai legittimamente quell’accordo e le attribuii l’immagine di lei ventenne per tutta la vita. Idem per mia madre: morì quando io avevo 35 anni e lo stesso richiamai quell’accordo. Ovunque lei sia, lei indossa il suo abito di Luisa Spagnoli, ha poco più di 20 anni ed è felice. Se c’è uno psicologo o uno psichiatra in ascolto, non mi prenda per matta: probabilmente è un mio modo per affrontare la perdita e per cercare di dare un’altra forma alla paura che ho di morire. Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché sono convinta che, in tutta la nostra vita e in tutte le nostre relazioni, sia necessario trovare un’immagine, fotografarla mentalmente, e legarla a quel momento o a quella relazione. Perché così dovremmo ricordarla per sempre.
Cambiare la percezione del finale

Il problema delle relazioni, se proprio potessimo ridurli tutti in uno, è che finiscono sempre (o tanto spesso) nel dolore, nell’incomprensione e nei volti imbronciati, per non dire arrabbiati. Quando, all’interno del periodo passato assieme o vicini, si è stati molto di più. Badate bene: mi riferisco a relazioni di ogni tipo. Provate per un momento a pensare a un amore passato, a un’amica o un amico persi: com’è stata l’ultima volta che vi siete visti o com’è l’immagine che conservate di loro nella mente? L’ultima volta ti frega sempre perché non sai mai quando arriva. Lo scrissi parlando della morte di mia madre. Pensate un po’, l’ultima volta che la vidi lei esordì con “cosa hai fatto ai capelli? Li hai assassinati“. Il tutto in dialetto veneto. Il suono della sua voce, nella mia testa, è legato a quella frase lì e non a un “come stai Gio?” (lei mi chiamava Gio) o un “vieni a casa che ci vediamo?“. Se penso, sempre per fare degli esempi personali, a quando ho saluto qualcuno che mi aveva preso il cuore, non c’è quasi mai stato un momento da ricordare in quel saluto. C’era dolore, c’era incomprensione, c’era la volontà di dividere una strada. Con gli anni, poi, alcune cose si recuperano e si danno altre forme alle relazioni… ma non sarebbe tutto più semplice se potessi scattare un’istantanea e dirci, in un momento a casa della vita, ricordiamoci così qualsiasi cosa succeda?
Un’enciclopedia da tenere con sé

Siamo nel 2019, quasi 2020, e l’enciclopedia non è più di moda… ma se tornassimo a dare vita a un’enciclopedia delle scene, dei sentimenti e dei momenti che ci hanno fatto stare bene? Li mettiamo lì, lemma dopo lemma, tutto in perfetto ordine. Cosa ne facciamo? Ci teniamo stretti i ricordi belli perché sono quelli di cui più avremo bisogno nel nostro futuro. Sempre. Quasi fosse un postulato di Kant. È o non è meglio ricordare il gusto del tè e quella sensazione di caldo tra le mani che pensare alla macchia lasciata dalla tazza sul piano della cucina? Domanda retorica, ovviamente, anche se forse la macchia potrebbe essere più indelebile di un ricordo. Oggi ho ripensato alla mia personale enciclopedia di istantanee da ricordare. Ne butto lì un po’: magari c’è chi si riconosce. A prescindere da come andrà tra me e qualsiasi persona ci sia nella mia vita, questo è quello che ricorderò. Imparerò dalle cose brutte ma ricorderò questo. Non ne metto in grassetto nemmeno una perché sono tutte fondamentali per me. C’è la corsa fuori da un ristorante di Amsterdam nei miei 20 anni o poco più. Ci sono le vagonate di pop-corn mangiate sul divano durante le partite dei mondiali del 1990. Ci sono gli acquisti delle più belle autoreggenti del mondo e la voglia di chiedersi “oh, le hai messe… com’è andata‘”. Ci sono gli aerei presi, i treni rincorsi, i chilometri in macchina macinati in ogni occasione. Ci sono gli “aspetto che vai su“, rigorosamente senza congiuntivo. Ci sono i sorrisi all’attracco di un traghetto. Ci sono i regali che arrivano per caso, i caffé presi per caso, i sorrisi nati non per caso. C’è un “vuoi che andiamo a casa mia o che andiamo a bere un aperitivo?“, ci sono gli sguardi che non si possono descrivere da quanto belli. Ci sono le fidanzate altrui che non mi hanno mai sopportata, ma che io ho sempre adorato. C’è una mantella di lana in regalo, pronta ad avvolgermi. C’è un paio di scarpe da rugby rosa e bianche, regalate come fosse un “dai, fallo, vai avanti“. C’è Skatò, il divanto nato dagli scatoloni di un trasloco, c’è “l’armadio ci sta a pelo“. Ci sono i concerti, il caldo, le bottiglie di acqua condivise… per non parlare di quelle di vino. Vino e pringles sul divano. C’è “sei come Natalia Aspesi ma più giovane“. Ci sono i vari “Andiamo a fare la spesa?” in mille parti del mondo. Ci sono i “ghe la faremo sempre” e i “ma mi son tranquila” a risuonare tra mente e cuore. E quante cose ancora ci saranno nel mio campionario.
L’istantanea che ho scattato a me

Per la cronaca, tornando al mio personale accordo con la divinità o con il cielo, non ho ancora deciso quale sarà l’immagine di me che vorrò per l’eternità ma c’è una cosa certa: questo decennio che sto vivendo (a gennaio compirò 42 anni) si sta rivelando pazzesco sotto ogni punto di vista e io mai mi sono sentita viva come ora. Mai mi sono piaciuta come ora. Sicché, probabilmente, sarà questa l’istantanea che voglio di me per l’eternità. E, ripeto, quando avrò 117 anni sarò un piacere ricordare la me quarantenne e consegnarla all’eternità. Vedo tempi duri davanti a me ma io ho il mio campionario di istantanee e ho tutta la voglia di guardare chiunque ne faccia parte e dire, con il cuore in una mano e il cervello nell’altra, dai… ricordiamoci così.
When you look at me
And the whole world fades
I’ll always remember us this way
Sarebbe davvero bello riuscire a dimenticare la fine turbolenta di un rapporto e portarsi a casa solo il buono, il caldo. Credo sia molto difficile ma sarebbe doveroso perché quella persona, per quanto alla fine ci possa aver fatto male, ci ha fatto anche molto bene ed è brutto dimenticarsene.
Perché poi se siamo come siamo è anche merito di tutte le persone che sono passate vicino a noi, del bene e del male che ci hanno fatto. Tutto serve e tutto è bene ricordare. Purtroppo il male è sempre più forte, nel ricordo.
Però fare questo esercizio sarebbe bellissimo e cercare di farlo diventare uno “stile di vita” (o uno stile di ricordo) ancora di più.
In quanto all’enciclopedia dei ricordi/degli attimi, anche io ne ho una personale alla quale attingo, però mi rendo conto che alcune persone (quelle che più mi hanno ferita) ci sono poco (o non ci sono proprio), devo rimediare, perché anche con loro ho attimi bellissimi.
Io sono riuscita a inserire le persone che mi hanno ferita dopo un bel po’ di tempo. E penso sia normale. C’è sempre qualcosa di bello in tutto. A costo di rischiare di sembrare Pollyanna, la penserò sempre così.
Come sempre mi commuovo leggendoti… Ma mi piace questa istantanea di me, presa dalle emozioni che la vita ci regala quando meno ce l’aspettiamo.❤️ @mo16anni
Ma che meraviglia leggere un tuo commento qui. E che bello saperti emozionata dalle mie parole.
La foto che meglio mi rappresenta è un’istantanea fatta quando avevo 45. Ero seduta a gambe incrociate su una poltrona a forma di mela rossa. Ero ad un evento Expo 2015. Vorrei che quella fosse la mia icona e che mi accompagnasse e accompagnasse il ricordo di me fino alla fine dei miei giorni, a 117 anni. 😉
Perchè te lo racconto? Quando ti leggo è come se un’amica mi raccontasse qualcosa di sè e io ho voglia di restituire la confidenza raccontando qualcosa di me, in un dialogo immaginario.
Grazie per il tuo racconto Raffi: sicuramente quella sarà la tua immagine eterna, anche dopo i tuoi 117 anni.
Profonda, punti sempre al cuore.
“Le fidanzate altrui che non mi hanno mai sopportato”: quanta verità, e quanti rospi da mandare giù per amore degli amici! Ma siamo ancora qui 🙂
ps.. anche io guardai per la prima volta A star is born su un aereo, ma..mi addormentai dopo pochissimo!
Grazie Fabiana. Felice che tu ti sia trovata in quella citazione. Guarda il film, merita.
Molto belle queste tue considerazioni… Fino a qualche anno fa anch’io tendevo a concentrarmi troppo sull’ultimo ricordo che avevo di una persona. Ma, dopo aver perso una delle persone più importanti nella mia vita, è come se inconsciamente avessi deciso che quell’ultimo ricordo non mi andava bene. Volevo di più. Di meglio. Non so come, ma ora ogni volta che ripenso a lei mi salgono alla mente mille immagini e ricordi di sorrisi, risate, ore passate in cucina e a giocare a carte.
PS: anch’io A star is born l’ho visto in aereo! 😉
Anche per me il fatto di “volere di più” è nato dopo la morte di mia madre: è stato come se mi fossi resi conto per la prima volta che dobbiamo davvero pretendere di più dai rapporti importanti.
Woah, ma che signor post mi hai fatto mia Giovy. Ora ne ho da pensare a lungo e su un sacco di persone! Quanto a me, mi piacerebbe essere per sempre la trentenne che a Berlino pedala al tramonto verso casa, con la felicità nel cuore.
Che felicità questo tuo commento Lucy. Grazie mille.Tu sei ancora quella trentenne. Di sicuro lo sei.