
Da domenica mi sento un po’ insignita di un potere grande: forse con un pizzico di presunzione (vedete voi se attribuirmela o no), so di essere in grado di usare le parole. Le parole sono potere, potere grande. Domenica ero al Festival della Letteratura di Mantova e ho assistito a un bell’evento: Neri Marcoré moderava una discussione sul potere delle parole. Erano presenti Massimo Gramellini, Gianrico Carofiglio e Anna Porcelli Safonov. Sono stata rapita dai ragionamenti di Carofiglio e Gramellini mentre, da Anna, mi sono portata a casa un concetto al quale già pensavo ma al quale non avevo trovato ancora il nome. Nanni Moretti è passato alla top ten della cultura popolare con quel suo famoso “Le parole sono importanti” e io continuo a sostenere quel suo difendere il modo in cui ci si esprime o ci si dovrebbe esprimere. Perché le parole sono importanti e perché le parole sono potere?
Tutto si trasforma

Avete presente la frase “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma“? Ecco, è il classico aforisma che ti insegnano nella prima lezione di chimica. Quando, invece, si studia linguistica, quella frase cambia in “tutto si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” perché la lingua è da sempre evoluzione. Nell’italiano del 2019 troviamo dei pezzi di greco e latino parlati 2000 anni fa, così come possiamo trovare l’inglesismo inventato nell’ultima canzone uscita pochi giorni fa. Personalmente non sono più d’accordo con quel “nulla si distrugge“. Nell’epoca in cui viviamo, stiamo distruggendo progressivamente la lingua che dovremmo sentire come nostra. Lessi delle statistiche, tempo fa, che dicevano quanto la proprietà di lessico nella lingua italiana stia calando drasticamente. Se, nel 1960, si conoscevano e si usavano migliaia di parole (non so dirvi quante, ma cercherò di recuperare la statistica), ora se ne usa circa un terzo. Vuol dire che due parti su tre del nostro linguaggio se ne sono andati in fumo. Anni fa, la Società Italiana Dante Alighieri promosse un’iniziativa interessate: chiese alle persone di adottare una parola. Io scelsi “riattare“, un modo un po’ arcaico di dire ristrutturare. “Dillo in Italiano“, invece, è l’iniziativa più che lodevole della grande Annamaria Testa. In una nazione – la nostra – in cui la gente legge sempre meno (e suppone di sapere sempre di più), può una lingua così articolata, bella e complicata come l’Italiano sopravvivere? Se le persone capissero il potere delle parole e le soppesassero (dedicendo cosa dire), forse la nostra lingua avrebbe delle speranze. Si trasformerebbe e vivrebbe.
Tornare all’origine del significato… O forse no

Significato, significante… Semantica. La mia mente fa un balzo indietro all’esame di Linguistica fatto all’Università. Mi portai a casa un 30 e non volevo crederci. Come non voglio credere al fatto che tutto quello che studiai in quegli anni oggi abbia profondo significato (perdonate la ripetizione) per me, per la mia vita e per il mio lavoro. Le parole sono come il pongo che usavamo all’asilo: possono essere colorate o no, chiedono di essere plasmate, possono diventare un esercizio per la mente e possono diventare materia plastica. Dobbiamo solo essere bravi. Personalmente, col pongo facevo schivo ma, in quanto a parole, penso di cavarmela. Sempre per tornare alla presunzione che ho messo all’inizio del post. Gianrico Carofiglio, autore che io adoro, domenica parlava proprio del significato delle parole e della trasformazione subita nei secoli. Lui ha scritto un libro molto bello che si chiama “La manomissione delle parole“. Manomettere, se guardiamo al significato latino, vuol dire liberare. La sua accezione negativa, se non erro, è iniziata nel medioevo. Ignorante, giusto per fare un altro esempio, è un aggettivo dall’accezione neutra, non negativa. È il participio presente del verbo ignorare, descrive semplicemente una condizione in rapporto a un dato argomento. Fermarsi a pensare all’originario significato delle parole ci aiuta a comprendere il loro valore, peso e il loro potere. Saper parlare, saper leggere e saper scrivere sono il più grande potere al mondo, assieme al diritto di voto. Vale la pena, o no, di dare alle parole il giusto peso?
Mettici un punto di domanda

Ho finito la frase del paragrafo precendete con un punto di domanda. Non è un caso. “Mettici un punto di domanda” è lo spunto che mi sono portata a casa dalle parole di Massimo Gramellini. Domenica ha fatto proprio un gran ragionamento a riguardo. Spesso, soprattutto sul web, vediamo miliardi di post con “Ora ho scelto di essere felice!” oppure “viaggia e conosci il mondo!“. Alla fine di questi post imperano i punti esclamativi, quali rafforzativi di una scelta fatta. La vera sfida, messa in atto proprio per comprendere il vero potere delle parole e il nostro personale potere nell’usarle, nasce quando sostituiamo il punto esclamativo e proviamo a mettere, al suo posto, un punto interrogativo. La frase “ho deciso di essere felice!” diventa quindi “Ho deciso di essere felice?“. Cambia l’intonazione, cambia totalmente il significato di quella frase. Da qui si desume l’idea che anche la punteggiatura abbia il suo peso. Ma non è questo l’argomento di oggi. Proviamo a fare un esercizio: ogni mattina provate a pensare a un’affermazione che vi riguardi e trasformatela in una domanda. Ovviamente, dopo provate a darvi una risposta. La forza della parola si farà sentire in quella risposta, ancora di più che nella domanda. Il potere è grande e ve ne renderete conto.
La parola è vera rivoluzione
La vera rivoluzione – citando Rosa Luxemburg – è dare il giusto nome alle cose. La vera rivoluzione è usare le parole giuste, al momento giusto, col tono giusto e con le persone giuste. Saper usare la parola è Rivoluzione pura. Questo è un altro degli spunti che mi sono messa nello zaino dopo che ho sentito parlare Gramellini e Carofiglio. Io continuo a ribadire lo stesso concetto: saper usare le parole nel modo giusto, decidere che cosa dire e cosa no, a chi dirlo e a chi no è Rivoluzione. È potere. In un’epoca come la nostra dove tutti sono in grado di dire la propria, amplificando tutto al massimo, e dove un assassino viene comunemente definito “Gigante Buono” da chi scrive articoli sui quotidiani, ci fermiamo mai davvero a capire il peso di quello che comunichiamo? Secondo me, no. O almeno, non così spesso come lo si dovrebbe fare. Fermarsi, fare un passo indietro, mettere un punto interrogativo dove c’è un’esclamazione, portare nel cuore e nella testa una bilancia pesa-parole. Ragionare. Ragionare ancora. Ragionare ancora una volta. Questo dovrebbe essere il nostro parne quotidiano.
Tutto ciò che dici è da sottoscrivere.
La lingua è un qualcosa di vivo che si evolve (e a volte muore) con l’evoluzione (e la morte) di una certa società/tribù, ecc.
Nel caso dell’italiano, purtroppo, la lingua si sta impoverendo di pari passo con l’impoverimento della società. Dare la colpa (come spesso accade) ai nuovi mezzi di comunicazione non regge più di tanto, le cause sono molto più profonde. Ognuno di noi può fare qualcosa nel suo piccolo, principalmente usare le giuste parole, il giusto tono, per esprimersi in tutte le circostanze (messaggistica istantanea compresa, che scrivere su whatsapp non dà diritto a dimenticarsi punteggiatura e regole grammaticali). Senza essere dei “talebani” della lingua che, ripeto, la lingua si evolve e si contamina col tempo, quello è normale. Però abbiamo un vocabolario così pieno che a volte è stupido svilirlo usando termini in prestito da altre lingue (magari anche nel modo sbagliato).
Venendo al discorso di Gramellini che dire? Sarebbe bellissimo se ci si facesse più domande e si avessero meno certezze, su di sé e su tutta la società che ci circonda. Partire sempre dalla domanda e non dalla risposta, aiuta il ragionamento e aiuta ad aprire la mente a possibili risposte e accezioni alle quali non avevamo pensato.
Io sono d’accordo con te. I nuovi mezzi di comunicazione non vanno colpevolizzati; il malessere è più pronfondo ed è puramente culturale. Fa quasi paura scriverlo.
fa davvero paura, anche perché la cultura (l’intelligentia, come la si chiamava una volta) in questo Paese sta scomparendo o sta abdicando al suo ruolo.
Pochi gli intellettuali che prendono una qualche posizione, che si espongono.
Ormai sembra che avere una cultura sia qualcosa di negativo, come se ci si dovesse scusare, e quindi i più abbassano il livello anche quando partecipano a dibattiti / trasmissioni ecc.
Per fortuna non tutti e a quei pochi dobbiamo aggrapparci, nella speranza che il vento cambi.
Esatto, la cultura sta abdicando. Brutto, bruttissimo.
Le parole sono importanti e più ne conosciamo meglio possiamo esprimere ciò che vogliamo. Questa estate ho notato che il mio lessico si è notevolmente ridotto, così sono corsa al riparo e mentre scrivo consulto spesso il dizionario dei sinonimi e contrari, anche per congiunzioni. La cura sta facendo effetto, noto che uso più parole
Leggere e fare esercizio aiutano sempre. Il fatto è che le il lessico si sta impoverendo anche a livello di letture da fare.
Dare un nome alle cose significa possederle. Che, per me, significa conoscere profondamente. Sì, il lessico è davvero importante
Sicuramente: e anche il possesso è potere.
Un articolo molto interessante, leggo con grande piacere (come leggo sempre volentieri i tuoi post). Che autori hai incontrato domenica, li adoro! E si, sai usare le parole: confermo.
Grazie mille Carmen, mi fa piacere che l’articolo ti interessi e che tu passi sempre di qui a leggermi.
MANOMETTERE NON SIGNICA PIù LIBERARE. SIGNIFICA ALTERARE, QUINDI MANOMETTERE.
NEL CORSO DEI SECOLI LE PAROLE ASSUMONO SIGNIFICATO DIVERSO
Infatti io parlato di significato originale e non attuale.
Articolo illuminante, proprio come l’incontro con gli autori al Festival della Letteratura. Sottoscrivo ogni singola parola, ogni singolo concetto che hai espresso, avevo proprio bisogno di una lettura come questa. Le parole sono vita: uniscono, modellano, definiscono, allontanano, distruggono, creano, emozionano, liberano. Il saperle usare, il saperle dosare, è fondamentale.
Grazie mille Valentina. Felice che tu l’abbia trovato illuminante.
Mi hai riportato alle lezioni di linguistica con questa professoressa bravissima che credeva moltissimo nel significato delle parole e che ognuna di esse dovesse essere scelta con cura e incastrarsi con la successiva. Sono d’accordo che le parole hanno un significato potentissimo ed è un vero peccato vedere come una lingua bella e piena di sfaccettature si stia man mano sfoltendo tra parole prese dalle lingue estere e la voglia di semplificare sempre di più il linguaggio di tutti i giorni. E dire che la nostra lingua non ha nulla da invidiare alle altre, anzi…
La nostra lingua è bellissima e molto complessa. Forse per questo è molto interessante.