Davvero è già Ferragosto? Già vi vedo intenti in qualche gita fuori porta (in colonna, com’è successo a me anni fa) o alle prese con la mitica grigliata tradizionale alla quale, non ve lo nascondo, mi auto-inviterei anch’io. Invece sono a casa. Sono tornata a casa. Anzi, sono tornata da casa, dalla mia Valdagno dove ho trascorso 13 giorni per me incredibili. Perché? Cosa mai ci sarà in quel paesino dell’Alto Vicentino dove sono nata e cresciuta? Per me c’è il mondo intero e, per la prima volta da quasi 20 anni (ovvero da che non vivo più lì), sono rimasta a Valdagno per quasi due settimane. Com’è stato questo ritorno? Intenso e, a tratti, devastante.
Apri la finestra e torna a casa
La foto di copertina racconta una finestra semi-aperta che mostra solo un pezzo di città e alcuni riflessi. Una volta aperta la finestra, io vedevo questo. Si tratta di una delle vie centrali del mio paese, una di quelle in cui – quando ero una ragazzina – si trovavano due elementi peculiari della vita di Valdagno: la Cantina Sociale e la gelateria Manin, quella che veniva presa d’assalto perché fu la prima, in quel del mio paese, a fare le coppe d’asporto con la panna e la guarnizione di amarena o cioccolato. Con 1500 Lire ci si portava via una coppa con due palline e panna montata. Per me rigorosamente con amarena. Questa via conduce anche ora a una strada super in salita, detta Pontara o Pontaron in dialetto. Lungo quel Pontaron viveva la mia nonna. La Cecilia. La vista da questa finestra – dal luogo che per 13 giorni ho chiamato casa anche se non mi appartiene affatto – è stata per me il primo regalo grande di questo agosto. I suoni, la luce, la vista dell’alba dai Massignani (la collina che vedete dalla foto), i rintocchi del campanile. Tutto per me è stato casa a partire da questa vista.
Andai nei boschi per parlare con le Anguane
Quando mi alzavo spettinata – e capitava praticamente sempre – mia madre mi diceva sempre “te pari ‘na Anguana“. Ovvero sembri un’Anguana. Quando ero piccola, mia nonna mi parlava sempre di queste figure e alla mia domanda “nonna, cosa sono le Anguane?” la risposta fu “le figlie delle streghe“. Allora capii davvero di essere Anguana Inside perché sia mia madre che mia nonna, a tratti e per motivi diversi, a volte mi sembravano donne magiche. Ho sempre provato un senso di rispetto e riverenza nei confronti delle Anguane. Una di esse si chiama Etele e vive nella Montagna Spaccata, luogo che amo come pochi. Nei miei anni dell’infanzia, mia nonna (sempre lei) mi disse che la montagna si era aperta in due per via di un fulmine. Io, da quel momento, temo i fulmini come poche altre volte al mondo. Ovviamente, ora lo so che non è stato un fulmine ad aprire quel monte (ma la forza dell’acqua) ma quando torno lì ci penso sempre. Sono tornata nella pancia di quel monte perché è bellissimo e perché volevo salutare Etele. Camminando tra la roccia mi sono resa conto di una cosa alla quale non pensavo da molto: uno degli elementi che mi manca, da quando vivo in pianura, sono i boschi. Non esagero quando vi dico che, dal centro della mia Valdagno, bastano pochi passi per trovarsi in un bosco bello, fitto e naturale. Nei giorni scorsi osservavo proprio tutto quel verde e ho sentito di appartenervi alla grande. Ora è come se il mio cuore piangesse linfa.
La roccia, la forza, i sassi sotto i piedi: la montagna
Chi nasce ai piedi delle montagne ha l’anima a selle, passi e dossi come le montagne che ha osservato per anni. O dove ha camminato per un po’. Un miliardo di anni fa, venni nella zona dove vivo ora con degli amici per via di un concerto che volevamo seguire. Viaggiando, nella notte, attraverso la pianura, io provai una sorta di senso di angoscia. Qui l’orizzonte è troppo vasto, mi dissi. Amo la vastità e la perditudine ma i miei occhi hanno bisogno di sbattere letteralmente contro la roccia. Rivedere e rivivere le mie montagne è una di quelle cose che mi fa bene come una cura di relax, detox e felicità mescolta assieme. Quelle che vedete sono parte delle Piccole Dolomiti, piccole solo per misura (anche se arrivano a 2300 metri circa, che non è proprio male). Piccole per misura, dicevamo. Immense nel mio cuore. Sono fuori allenamento da una vita ma resto sempre una donna con le montagne nell’anima.
Le mie piccole grandi Madeleine
Quella che vedete in foto è una Fritola con la maresina. Fritola è la parola veneta per frittella. La Maresina, invece, è un’erba di campo molto amara che fa parte della gastronomia del mio paese. Ve ne ho già parlato in un altro post. Se non sei di Valdagno, e dintorni, non sai cosa sia la Maresina e non sai che sapore abbia. Anzi, forse il suo sapore nemmeno ti convince ma io lo amo. Lo amo come poche cose al mondo. Ogni volta che torno a casa, cerco di acquistare una fritola e la mangio con lo stesso intento con cui Proust mangiava la sua Madeleine. Nella sua Recherche, lui scrive ” Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? “. Per me è lo stesso. Ritornare a Valdagno, nei giorni scorsi, mi ha permesso di ritrovare le mie piccole Madeleine e di vivere quelle sensazioni ricevute in dono nella loro pienezza. E non parlo solo di cibi che hanno fatto parte della mia infanzia ma anche dei rapporti umani. Essere a casa mi ha permesso di godermi la normalità degli incontri con i miei amici, di assaporare i gesti di sempre, dimenticando quella fatidica domanda “fino a quanto resti?” che spesso mi fa più male che bene. Questo, per me, è un qualcosa di cui essere grata.
L’appartenza
Non so se abbiate seguito le mie stories casalinghe nei giorni scorsi. I miei giorni a Valdagno si sono conclusi con la visita a un luogo nel quale non tornavo da quando ero piccola. Si tratta di una contrada sulle colline. Si chiama Contrada Lorenzi e da lì viene il ramo materno della mia famiglia. Sono cresciuta nell’Alto Vicentino, mezza veneta e mezza lombarda in quanto DNA, ma di lombardo in me non c’è quasi nulla. L’identità che mi gira nell’anima è fatta di forti componenti cimbre e di un pizzico di Austria. È fatta della roccia di questa contrada, tra le più vecchie e significative del mio paese. Nelle stories – come vi dicevo in partenza – ho raccontato il mio arrivo lì con un pianto a dirotto che ha sorpreso anche me (se ve le siete perse, andate sul mio profilo Instagram e guardate la story in evidenza chiamata Home). Perché ho pianto così tanto? Io ho il pianto facile: quando l’emozione mi trafigge io esplodo a livello di lacrime e lo trovo un aspetto molto interessante di me, perché è parte del mio essere genuina. Quando sono arrivata in Contrada Lorenzi ho pianto tanto perché ho sentito di appartenere a quel luogo. Vi ricordate quando, circa un anno fa, scrissi un post dal titolo “La mia casa”? Ecco, Valdagno è la mia casa, così come pochi altri posti nel mondo. C’è una cosa nella quale Valdagno è unica: nel senso di appartenenza. Arrivata in Contrada ho sentito che quel luogo rappresentava le mie radici. Non ho mai sentito di appartenere a nessun luogo se non a due nel mondo. Uno è proprio quello che vedete nella foto qui sopra.
Tornare (d)a casa, per me
Mi sono sempre considerata cittadina del mondo e, in fondo, so di esserlo. La mia famiglia è sempre quella che chiede “dove sei” prima di “come stai” e questo accade a qualsiasi di noi Malfiori. Abbiamo tutti professioni che ci portano in giro perennemente e credo che questo sia un tratto spettacolare del nostro DNA. Apparteniamo tutti al mondo e siamo così sparsi che non riusciamo mai a stare tutti assieme. Non perché siamo tanti, anzi. Perché siamo in giro. Non eravamo tutti assieme nemmeno alla morte di mia madre e sappiamo che tutto ciò è normale per noi. Ho poche (grandi) certezze nella mia vita e per la mia vita: vorrei vivere scrivendo libri e vorrei tornare a casa. Già, voglio tornare a casa. Questo è ciò che questi 13 giorni mi hanno lasciato nell’anima. Voglio tornare a vivere tutte le sfumature di verde dei miei boschi e per spaventarmi con i fulmini dei temporali estivi. Voglio tornare a guardare fuori dalla finestra e ritrovare i miei riferimenti di sempre. Ci riuscirò?
Tutte le foto sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Noi Valdagnesi ti aspettiamo a braccia aperte!!!
Io e te cara Giovanna ci conosciamo solo di vista ma le tue parole mi hanno fatto pensare che pur vivendo ancora qui nella ” dolce valle” come la chiamo io…potrebbero essere esattamente le mie.
Abitiamo in un posto che io non cambierei mai…perche’ ha tutto cio’ che io vorrei.
Non pensarci troppo…se senti cosi’ forte il richiamo alle radici…forse un motivo ci sara’…
Spero di vederti al piu’ presto in piazza.
Baci
Ciao Silvia, grazie mille per il tuo commento.
Fai bene a chiamare Valdagno “dolce valle” perché lo è proprio.
Ci vedremo di sicuro e grazie per essere passata di qui.
Faccio il tifo per te. Avere un luogo cui si sente di appartenere é bellissimo ed é una cosa da custodire con gioia.
Grazie Elena. Poi mi vieni a trovare, vero?
Ma certo, devo provare un sacco di cose buone da bere e mangiare di cui mi hai fatto venire una gran voglia!
Io sono convinta che la mia Valdagno ti piacerebbe un sacco!
Il tuo post mi ha messo tanta malinconia. Sei riuscita a toccare note profonde. Anche io vengo dai piedi delle montagne, e il tuo post mi ha aperto ai ricordi d’infanzia. Grazie.
Spero che la tua sia malinconia buona, di quella che stringe il cuore come in un abbraccio.
Che belle parole. Sono anche io un po’ figlia di streghe. Quindi mi rivedo nelle tue parole. Mi è piaciuto molto questo tuo articolo, dove vien fuori un po’ di te e della tua vita passata. Ma parliamo della fritola. Qui magari la ricetta sarebbe stata gradita!
Io sto cominciando a capire il valore di mia nonna (e il suo legame con mia madre) ora che non ho più né una né l’altra.
Tutte parole che sento mie. Io che pensavo di essere un nostalgico impenitente…
Ma è vero: quando mi capita di essere a Valdagno, mi sento a casa. Ogni luogo, ogni scorcio mi rinnova sensazioni ed umori già vissuti, il mio sguardo vaga cercando, a volte invano, di incrociarne altri, già conosciuti tanti anni fa, quando avevo la sensazione di essere un tutt’uno con il paese, i suoi luoghi ed i suoi abitanti.
Grazie per avere condiviso queste sensazioni.
Grazie Marco, grazie per il tuo commento e per aver condivisio i tuoi pensieri.
È sempre un piacere leggere questi tuoi articoli 🙂 Anche io mi reputo cittadina del mondo (ho viaggiato molto per motivi di studio e ora viaggio o per lavoro o per svago), ma credimi che anche io ogni tanto sento la mancanza di casa mia, delle mie abitudini e della mia famiglia! È sempre bello riuscire a trovarsi tutti e trascorrere del tempo insieme 🙂
Grazie Valentina!
Questa emozione la sento ogni volta che torno ad Ardesio, in Val Seriana. E cerco di tornarci ogni anno. Anche solo per un giorno. Non sono di lì. Io sono milanese, ma su quelle montagne ho passato le più belle estati della mia infanzia. Passavo lì quasi 3 mesi ogni anno con mia nonna Rosa e nonno Eugenio. Che bei ricordi. Non è mai facile tornare lì, ma lo farò sempre finché ne avrò la possibilità.
Chissà che bellezza quei periodi con i tuoi nonni! Grazie per aver portato il tuo ricordo qui.
Leggendoti mi hai fatto venire in mente la mia adolescenza: Trento si svuotava in estate (ora non più così tanto) e io ritrovavo a girare per il mio paese in bici con le amiche oppure rotolandoci nelle balle di fieno quando venivano a tagliare l’erba. E che ne dici quando si andava a rubare le ciliegie e i contadini ci correvano dietro? L’odore dei paesi di montagna. E la monetina contata per correre al bar a prendere un gelato (erano quelli confezionati però!). Ho sempre fatto luglio e agosto in Calabria ma c’erano quei 20 giorni tra giugno e luglio e altri 20 tra agosto e settembre che rimanevo a Trento, in attesa che i miei finissero di lavorare per poi andare a trovare parenti al mare.
Questa sensazione (e un pizzico di nostalgia) l’ho avuta lo scorso fine settimana quando sono andata a San Michele all’Adige, vicino a Trento e in attesa del treno mi sono ritrovata a passeggiare per il paese!
Grazie per questo bellissimo ricordo, Katja.
Abbiamo tutti dentro di noi dei tesori preziosi come questo. Il difficile è, a volte, raccontarli.
Tornaci sempre in quel paese, mi raccomando.
Non pensavo di emozionarmi così tanto leggendo questo scritto che parla della ” mia” Valdagno!
Fortunatamente abito vicino (Pieve del Grappa), così quando mi assale la nostalgia in poco tempo posso raggiungerla e viverla come piace a me ,ricordando i mille angoli che mi hanno visto bambino , a partire da ” Carlotto, vino &liquori” in via Garibaldi dove sono nato 73 anni fa. Tutto questo mi rende felice e sereno!
Che bello il suo commento, Roberto! Mi fa piacere averla emozionata. La sua serenità, poi, è un regalo grande.
Ciao Giovy, come ti capisco. Anch’io vivo all’estero. Torno a Valdagno circa ogni 20 mesi. Si, conto i mesi. All mia eta non si contano gli anni, si contano i mesi…e scrivo libri, cosi quando non ci son piu a ricordare, i miei libri rimangono a testimoniare. Hugs. Ciao.
Ciao Maria Grazia, mi ricordo bene di te. Ho letto i tuoi libri!
Belle le tue parole, mi piace sempre quando le blogger parlano di sè. Bello che tu, cittadina del mondo, amante del mare e delle grandi città, ti senta veramente a casa solo tra le tue montagne. Ed è quello che poi voleva dire Proust con la storia della madeline!
Esattamente!
Ho provato le tue stesse sensazioni la prima volta che sono tornata a casa dopo quasi un anno di assenza. Un anno passato fuori casa per me che fuori non ero mai stata per piú di cinque giorni consecutivi. Ho pianto quando dovevo tornare da casa, come scrivi tu.
Il senso di radici ed appartenenza non se ne andrá mai via, ma sai che hai sempre un luogo dove tornare almeno.
Io credo di aver traslato, negli anni, il concetto di “casa”, ma ora so benissimo dove si trovi.
E ora, mi chiedo, come concilierai questa voglia di casa con il tuo essere cittadina del mondo in movimento?
E mi chiedo anche, cosa penserai in Australia, con quegli orizzonti lontanissimi che mettono angoscia pure a me?
🙂
Secondo me la conciliazione è semplice: torno a vivere lì e continuo a viaggiare come faccio ora.
Mi sono emozionata a leggere questo post. Ho vissuto fuori casa anch’io per tanti anni, poi sono tornata, a breve mi trasferirò di nuovo, ma quello che mi mancava di più era il verde dei prati, la vista delle montagne dalla finestra e il silenzio. Non c’è nessun posto come casa e forse è proprio quando si deve lasciarla per un po’ che si impara ad apprezzarla davvero.
La casa è un qualcosa che senti nel cuore.