Maggio è uno di quei mesi con i quali non è che abbia mai avuto chissà che affinità: è sempre stato, per me, uno di quei mesi-ponte, quelli in cui devi tener duro perché poi la stagione cambia, finiscono cose, ne iniziano altre. Dopo maggio ci sono i “ne riparliamo dopo l’estate” o i tanti “cosa fai quest’estate“. Quando andavo a scuola, era il mese delle interrogazioni e del “tengo duro perché finisce il quadrimestre“. Quando facevo l’università, era il mese in cui la mia tabella di marcia di studio diventava intensa e incastrarla con 8 ore di lavoro in ufficio non era semplice. Quando sono andata a vivere in Svizzera, maggio è diventato il mese in cui c’erano ponti e vacanze da prendere. Poi maggio è diventato il mese del compleanno di Gian, quello in cui per l’ultima volta ho parlato con mia madre e quello in cui il terremoto mi ha messo fuori casa. Poi è arrivato il momento in cui maggio faceva rima con Tenerife e io iniziavo a volergli più bene. Maggio 2019 è stato il mese in cui io mi sono dedicata a me e al mondo da scoprire. Per questo gli dico un grande grazie.
Un mese per staccare

Staccare è stato il primo verbo che ho attaccato alla parola “maggio“. Staccare per me è stata una grande necessità: la mia mano destra (o meglio, le dita della mano destra) non hanno mai smesso di farmi male dalla fine di agosto 2018. Un male che ormai mi accompagna giorno dopo giorno e con il quale io ho imparato a dialogare: lo ascoltavo (lo ascolto), cercavo di immaginare che uscisse dal mio corpo e se ne andasse. Maggio è stato il mese in cui ho messo a riposo le mani. Non ho scritto quasi nulla e la cosa mi è sembrata un po’ strana. Nel cuore però ho almeno 100 post per questo blog e tre capitoli del romanzo che, da anni, voglio scrivere. È tutto nella mia testa, nel mio cuore. Questo mese mi ha insegnato che non devo sentirmi in compa se ho bisogno di staccare. Staccare è un diritto e un dovere verso noi stessi. Per un freelance, a volte, non è proprio facile e per me davvero non lo è stato. Rispondere “no” a domande come “se ho bisogno, sei operativa, vero?” è stata quasi una liberazione.
Un mese per incontrare i sogni
Avete mai provato a fare la lista dei sogni che avete realizzato nella vostra vita? Io l’ho fatta qualche giorno fa, mentre l’aereo mi riportava dal Canada all’Italia. Se c’è una cosa che questo mese mi ha insegnato, è che i sogni non devono mai avere una data di scadenza. Il viaggio che ho fatto tra Vancouver e Seattle mi ha dato la certezza che i sogni vanno realizzati, anche se li abbiamo generati a 15 anni. Io volevo andare a Seattle, volevo vedere gli orsi, le balene, volevo perdere i numeri nella mia mente mentre contavo le aquile viste nel cielo. Io volevo portare il mio affetto a Bruce e Brandon Lee. Io volevo andare a commuovermi sulla tomba di Jimi Hendrix mentre con le cuffie ascoltavo Hey Joe. Sognavo e sogno sempre tanto: per essere una donna di 41 anni, ho ancora una mente tanto onirica e tanti voli pindarici da seguire come fosse l’unica strada possibile nella mia vita. Credete in tutto questo: credete nell’amore che avevate per un cantante quando avevate 14 anni. Credete nel fervore che vi animava da adolescenti perché quello stesso fervore è ora l’energia che vi alimenta.
Un mese per essere felice
Lentiggini, capelli al vento, felicità. E una delle mie mille magliette rosa. Ero sullo Space Needle di Seattle. Ero lì e pensavo che la felicità, davvero, non ha confini. Non ha confini come non ha limiti ai motivi che la generano. Un mese così, come quello che ho vissuto io, dovrebbe essere prescritto dal medico a tutti. Si dovrebbe vivere un mese così sempre, tutti gli anni, per capire che siamo noi il centro di tutto. In der Mitte, ich. Come dico spesso io in tedesco. Sentirsi al centro della propria vita non è egoismo, piuttosto è resistenza, è sopravvivere. Mettersi al centro vuol dire riuscire (e dovere) concedersi del tempo. Del tempo che non sia lavoro, che non sia intimità, che non sia vita di coppia, che non sia un momento con gli amici. E – ripeto – tutto questo non è egoismo. È pura vita. Vi ricordate che, prima del viaggio, vi raccontavo quanto mi sentissi quasi in colpa per la felicità che provavo prima della partenza? Ecco, ho capito che quel senso di colpa non doveva esistere. Di nuovo ribadisco un concetto che, dentro questo blog, trovate in più di un post. Si tratta di un pensiero ben condensato in un verso di Alfred Lord Tennyson: “I am a part of all I have ever met“. Il verso si trova in un poema che condensa in sé molto del concetto del viaggio che sento come mio. Siamo tutti parte di ciò che incontriamo: viaggiare ci aiuta a essere questo, a essere le spugne che assorbono e poi trasmettono la bellezza del mondo. Rielaborata secondo il nostro cuore, secondo i percorsi della nostra anima e della nostra mente. Ho imparato tanto, davvero tanto. Ne sono grata.
Un mese per staccare, un mese per viversi, un mese per essere felice.
Che bello questo post, tante riflessioni, tanti pensieri tutti condensati in poche righe. Si perchè ogni riga mi ha portato a pensare, ogni pensiero tuo mi ha portato a pensare e alla fine , yess, anche io sogno sempre, anche io voglio realizzare i miei sogni così che vi sia spazio per crearne altri. Per me ogni mese è “grazie”, in ogni mese mi sono riproposta di realizzare un piccolo grande sogno.
Mi fa piacere leggerti così bella carica, Anna. Ogni mese un sogno: ora me lo metto in testa anch’io.
Bellissima e molto vera la frase di Tennyson. Anche io mi sento così ed è una sensazione ogni volta di stupore e di soddisfazione.
Quando Tennyson ha scritto il suo Ulisse, ha fatto un capolavoro!
Avrei dovuto leggere questo post all’inizio di Maggio e ricordarmi che prendersi tempo per sé serve a sopravvivere certe volte. E che dire no non ti rende meno disponibile o egoista. Grazie per il bell’articolo.
Grazie a te per il tuo pensiero.
Grazie per questo bellissimo post. Leggerlo stamattina è stato illuminante. Tanti spunti di riflessione intetessanti. Mettersi al centro della propria vita è un esercizio di amore verso se stesse. Grazie per avermelo ricordato.
Mi fa piacere, Alice. Grazie a te!