Il sottotitolo di questo post potrebbe essere: perché Jack London ci ha insegnato a comprendere il viaggio, più che a viaggiare in sé. Perché dico questo? Perché una decina di giorni fa, ero presente ad un bellissimo organizzato – tra le altre cose – per raccontare l’uscita, in Italia, di un libro che vale la pena di leggere. Si chiama Le strade dell’uomo. Raccoglie fotografie, diari e parti dei reportage che Jack London stesso ha fatto in giro per il mondo. In Italia è edito da Contrasto ed è a cura di Alessia Tagliaventi, docente di Storia della Fotografia. Nei giorni scorsi ho divorato quel libro rendendomi conto di due cose: quanto mi mancassero le parole di Jack London e, quasi a parimerito, quanto abbia ancora (io, me stessa, medesima… per dirla alla Montalbano) da dire su Oakland. Probabilmente non vi ho ancora raccontato tutto ciò che c’è da percepire in quella splendida città affacciata sulla Baia di San Francisco.
Quartiere per quartiere, quello che ho capito di Oakland
Per quanto io possa raccontarvi alcuni luoghi legati alla vita di Jack London, questo non è un post che vi indica dove andare. Bensì come percepire il luogo che sta attorno a voi. Io non me n’ero accorta finché non ho avuto quel libro tra le mani, ma sono quasi convinta di aver capito solo ora quei miei giorni a Oakland. Jack London, durante il suo periodo nell’East End di Londra, ha percepito quel pezzo di città come un “emporio umano delle strade” e trovo che dovremmo tutti tornare un po’ a quel modo di percepire il mondo. Istantanee di vita, volti, sorrisi, occhi, espressioni facciali. Fate mai caso a tutto questo quando siete in viaggio? Io molto, ecco perché oggi vi racconto Oakland così. Quartiere per quartiere.
Jack London Square
Chiudo gli occhi e per un momento torno a uno dei momenti che voglio più ricordare del mio viaggio a Oakland. Dormivo proprio su Jack London Square e, dopo due voli (da Milano a Amsterdam e da Amsterdam a San Francisco), un po’ di Bart (ottimo modo per spostarsi in giro per la Baia) e un taxi, avevo preso possesso della mia stanza. Ho mollato il mio super-zaino blu e sono uscita in terrazzo a respirare a pieni polmoni. In quel momento due suoni si sono presi la mia mente: il rumore dell’acqua del mare della baia e il suono stridulo dei treni che stavano per entrare nella stazione che si chiama proprio Jack London Square. A due giorni da quel momento sarei salita sul mio primo treno americano e sarei andata verso Sacramento e poi Portland, in Oregon. Ma, in quell’istante, ero a Oakland. Per raccontarvi il mio personale emporio umano delle strade di Oakland, pensando a Jack London Square ci sono due immagini diverse. Sempre due, come quei suoni simili ma diversi. Da un lato vedo la gente che, nel week end popola Jack London Square per passare del tempo libero bello, sereno, spensierato, un momento in cui mangiare qualcosa e lasciarsi baciare dal sole. Dall’altro vedo la gente che va verso la stazione… E con loro ci sono anch’io. Ho preso quel treno intorno alle 20.30 circa e sono andata prima in stazione, perché volevo guardarmi attorno. I volti della sala d’aspetto erano un’enciclopedia di vita. Un qualcosa di bellissimo che non scorderò mai.
Il Porto
C’è qualcosa di strano che lega me e le città le cui sagome sono disegnate da gru e benne del porto. Provo amore a prima vista per luoghi così: Amburgo, Oakland, Bristol, Liverpool e chissà quante altre nel mondo. Il porto di Oakland è a mezzo passo da Jack London Square. Malgrado la poca distanza, la vita lì sembra cambiare. Domina la totale operosità di un luogo come un porto, un posto che guarda a San Francisco come in un qualsiasi condominio si guarderebbe il proprio vicino: con quel pizzico di invidia mista alla consapevolezza che ognuno vive a modo suo. Il porto di Oakland mi si è mostrato col sorriso sicuro di un signore anziano con il quale ho condiviso, per 20 minuti, una panchina. Lui era lì col suo sandwich e un termos di caffè. Io avevo un panino meno americano e la mia immancabile acqua. Si stupiva del fatto che fossi a Oakland e non a San Francisca. “It’s a hard city…“, mi disse con voce quasi rassegnata. Un tono che raramente dimenticherò. Al mio “why?” lui sorrise e basta. Io sorrisi a lui e gli chiesi se il giro in barca fino a San Francisco sarebbe stata una buona scelta per quel pomeriggio. Mi disse di sì e di nuovo sorrise. Quando la barca partì e lui se ne tornò alla sua vita, mi resi conto di non avergli chiesto il nome. Per me resta Mr.Smile, un uomo con il volto segnato dalla vita, il cuore sempre forte (o almeno così me lo immagino io) e quel sorriso pronto a rassicurare chiunque incontri. Lui è la mia personale anima del porto di Oakland.
Temescal
Temescal, per me, è stato la grande scoperta di quel viaggio a Oakland. Ho vissuto una domenica mattina molto speciale, di quelle in cui ti rendi conto che sei la prima a iniziare a girare la città e le la ritrovi tra le mani pronta a svegliarsi, a popolarsi persona dopo persona. Il mio incontro con Temescal ha il gusto di un caffé bevuto davanti a un barber shop che più hypster di così non si può. Ero a The Alleys, intenta nell’osservare quelle emporio umano che, a mio avviso, sarebbe piaciuto molto a Jack London. Temescal non è solo un emporio umano, è un racconto umano in cui ogni essere vivente è un paragrafo o anche un capitolo. Temescal è ricchezza umana allo stato puro. Temescal è un coreano che parla con un latino in una lingua che non è mai stata la loro. Temescal è un brunch che sa di America e India messe assieme. Temescal è la gente che arriva per mezzogiorno, si sorride nell’incontrandosi. Temescal è mille “How’s going?” detti con mille inflessioni e accenti diversi. Temescal, per me, è quella California che mi aspettavo di conoscere: urbana al punto giusto, libera come pochi altri luoghi al mondo, un puzzle perfetto di umanità e destini. Ci tornerei di corsa per rivedere tutto questo. Tutto quello che, a modo suo, mi ha lasciato dentro.
China Town
China Town è stata una delle prime zona di Oakland che ho scoperto. Camminavo per strada sentendomi un fantasma e sentendomi, per un attimo, diversa da tutti. Incrociavo solo occhi a mandorla, tanta gente con la quale cercavo di attaccare bottone per chiedere mille cose ma non ricevevo nessuna risposta. Nel giro di pochi isolati, da quando avevo lasciato l’Oakland Museum of California, mi sono ritrovata in un altro continente, letteralmente. Con un po’ di difficoltà nel capire il cinese, sono riuscita a mettermi in lista per uno dei migliori ristoranti cinesi della città e a fare una delle esperienze gastronomiche più belle mai avute col cibo made in Asia. Anche se ero in California. Di quel pezzo di città mi porto dietro la cordialità del titolare del ristorante che, con un inglese misto a cinese, ha cercato di farmi capire che dovevo scrivere il mio nome sulla lavagnetta fuori dal ristorante. Fiero e bravo come pochi, poi ha chiamato il mio nome senza sbagliarlo. Ha detto “Giovy” senza esitazione e mi ha fatto un inchino prima che entrassi ufficialmente nel ristorante. Ho adorato la sua cortesia. Quando sono andata via mi ha dato un biscotto della fortuna. Dentro, nel biglietto, c’era scritto ” The best is yet to come“. Sono convinta che abbia avuto ragione.
Old Oakland
Old Oakland inizia dove China Town finisce. Si attraversa semplicemente la strada e ci si ritrova attorniati dagli edifici più vecchi della città. Quelli che attorniavano, con tutta probabilità, anche Jack London. Appena arriva lì, mi è sembrato di nuovo di aver cambiato città perché, tornando al termine di oggi, l‘emporio umano delle strade di Old Oakland era fatta di gente lì per comprare al Farmers’ Market. Io ci ho comprato le fragole (come poi ho fatto a Sacramento), ho trovato un birrificio che serviva la propria produzione e sono entrata. Ero sola e quindi mi sono messa al banco, anziché occupare un tavolo. Il cameriere, dall’altra parte del bancone, mi ha consigliato una birra e poi è rimasto lì a chiacchierare con me. Ennesima prova di umanità condivisa in una città che, a mio avviso, è più unita che mai. È come se l’aria di Oakland o il fatto di avere la residenza lì fossero una sorta di collante tra le persone. Ci sono luoghi del mondo in cui l’individualismo trionfa, anche nel semplice fatto di camminare per strada per recarsi da una zona all’altra. Questo, però e per fortuna, non è il caso di Oakland. Old Oakland si disegna dentro la mia mente con il sapore amaro di una IPA fatta come si deve e con quell’ennesimo “ma viaggi da sola?” che, in fondo, non guasta mai ed è sempre un ottimo pretesto per iniziare a parlare di se stessi. Come se io avessi bisogno di pretesti…
Ripensare Oakland, capire Jack London
Se c’è una cosa che non mi è mai piaciuta molto e l’etichettare le cose come se fossero solo destinate a una certa fetta di umanità. Jack London, per come mi è sempre capitato di percepire questo autore, è spesso relegato – almeno in Italia – alla categoria di autore per ragazzi. Partiamo dal fatto che dire “autore per ragazzi” voglia dire tutto e niente, cresciamo, anche a livello letterario, convinti (perché ci convincono) che certi libri vadano abbinati solo ad alcuni periodi della vita umana. Jack London = avventura = letteratura per ragazzi. Nulla di più sbagliato. Ne sono sempre stata convinta ma, dopo aver dato un’approfondita lettura del libro che vi citavo a inizio post, me ne sono resa conto ancora di più. Jack London ha accompagnato molte delle mie serate di lettura, un sacco di anni fa. Ora è arrivato il momento di riprendere in mano i suoi libri e riscoprire il mondo così come lo raccontava lui: al di là di tutti i viaggi che potrebbe ispirarmi (già tremo all’impennata inesorabile della mia voglia di partire e di scrivere), credo che il suo intento nel dialogo con la me-adulta, con la Giovy del 2019, sia di spingermi, nuovamente, a considerare il mondo come la scacchiera dell’umanità, dove è l’essere umano a rendere speciale il viaggio. È speciale chi parte, così come è speciale la sua visione delle cose. È speciale la percezione di un tramonto, di un paesaggio, di una città. Occorre tornare a pensare agli essere umani, anche e soprattutto in viaggio. Portiamoci a casa il ricordo di un sorriso, oltre che quello di un quartiere che ci ha fatto battere il cuore. Da dove inziare? Da Oakland, of course.
Tutte le foto sono © Giovy Malfiori – riproduzione vietata.
Hai perfettamente ragione,Bellissimo articolo e belle foto, mi hai atto venire un incredibile voglia di partire.
Old Oakland deve essere davvero molto particolare, un posto assolutamente da visitare.
Tutta Oakland è davvero bella.
bellissimo questo tuo reportage
mi è piaciuta molto la connessione tra location e personaggio
Grazie mille Fra.
Un articolo scritto molto bene ricco di foto belle. Mi hai fatto venire voglia di partire
Grazie Barbara
Complimenti per ‘articolo, hai descritto tutto nei minimi dettagli, mi hai fatto venire voglia di visitare questo posto.
Ti ringrazio Deborah.
Ho letto questo articolo come se fossi lì ad Oakland con te. è stato come un viaggio, mi hai presa per mano e accompagnata in questo mondo pieno di emozioni, soprattutto a The Alleys, dove ho apprezzato moltissimo la grande umanità che hai descritto. Un bellissimo viaggio, che, adesso, piacerebbe tanto fare anche a me.
Grazie mille Erika.
Mi ha davvero fatto venire voglia di legger questo libro e di visitare Oakland 🙂
Mi fa piacere!
Mi hai fatto fare un viaggio!!! Mi sembrava di immagine il paesaggio oltre le foto!!!
Bellissimo davvero !
Grazie Nicoletta
Complimenti per l’articolo, come sempre strapieno di contenuti e niente….mi è tornata la voglia di fare un altro saltino in California!
A me non passa mai.
Mi sembra assurdo aver fatto una delle migliori esperienze di cibo asiatico in America!! Non ho mai visitato questa parte della California grazieeee
Non lo è, se pensi che le comunità cinesi e asiatiche in genere della costa ovest degli USA sono tra le più vecchie del continente americano.
Mi sono lasciata cullare da questo viaggio, assieme alle parole di jack London. In questo periodo in cui sono relegata a casa, mi hai dato l’opportunità di partecipare ad uno splendido viaggio, in una delle città che mi incuriosisce da una vita!!
Leggete Jack London è viaggiare allo stato puro.
Bellissimo articolo, sono stata in California ma mete più turistiche, hai saputo descrivere la vita in questo posto in modo meraviglioso.
Grazie Valentina. Se torni da quelle parti, vai a Oakland
bellissimo Giovy GRAZIE
🙂
Non potevo non leggere questo post, visto che a novembre tornerò in California! Mi troverò a San Jose ma non mi farò mancare di sicuro Oakland, visitata in passato solo di sfuggita e di sera, quando tutti mettevano in guardia anche me. Ricordo un locale, tra il losco e il divertente, come se fosse ieri. Anche io amo i rumori di treni, porti e oceani…
Oakland per me è davvero bella. Mi è piaciuta molto e sono stata felice di restare lì qualche giorno.