
Come spesso accade da un po’ di tempo, arriva quel giorno in cui io lascio andare la mente e scrivo come se fossi in preda al migliore degli stream of conciousness. Il post di oggi nasce da un pensiero che si concatena con un altro pensiero e si va avanti così, all’infinito. Stavo cercando una parola – una tra tante – che potesse diventare una mia parola, una di quelle che mi descrive. Non bionda, vagabonda o cose del genere. Volevo un nome comune di cosa. Avete presente i nomi comuni di cosa? Sicché ho pensato, per un momento, che un elemento che ha fatto sempre parte della mia vita è il confine. O il concetto di confine. Parola bellissima e spesso dura. Parola difficile e a volte speranzosa. Parola che in certi luoghi non esiste più e, in altri, è ben troppo presente.
Quando esisteva la dogana

Perché i confini sono tanti. Sono nata nel 1978 e, fino al 1992, i miei viaggi all’estero con la mia famiglia (e anche il primo da sola, avevo 14 anni e fu proprio nel 1992) erano sempre caratterizzati dall’attesa alla dogana. Capitava di andare in giro per l’Europa con i miei. Ho delle foto mirabolanti di me stessa nell’Englischer Garten di Monaco intenta a sembrare teutonica come non mai. Avevo 4 anni, mi pare. Anyway, con i miei si partiva spesso con un camper a noleggio e, immancabilmente, si attendeva in quel del Brennero. Quando il Brennero aveva ancora la dogana. Non so perché – forse da quegli anni, chi lo sa – mi è rimasta dentro quella sensazione di disagio mista a paura quando passi il confine. Della serie “non ho fatto nulla di male ma non si sa mai“. Nel 1992 le frontiere tra i paesi europee sono svanite e, con questo, anche il mio timore di passare la dogana. Piccolo inciso: guardate il film “Niente da dichiarare“, con Dani Boom e Benoit Poolvoerde, giusto per ricordare con allegria quel periodo. Il timore di passare la dogana mi tornò quando andai, da adulta, a vivere in Svizzera. Passavo la frontiera guardando negli occhi i doganieri e cercando di dissimulare quel senso di colpa assurdo che mi sbocciava nel cuore. La dogana è un concetto estraneo a molti viaggiatori del giorno d’oggi, così tanto estraneo da sentirsi fuori luogo quando ne trovano una. Per me la dogana segnava quel momento di passaggio, quel di qua è Italia e di là è Austria che a me è sempre piaciuto. Quel adesso sono fuori dal mio paese. Quel adesso sì che è viaggio.
La mappa è una risposta

Dal rispetto e dal timore della dogana sono passata poi all’amore per il confine. Già, c’è qualcosa nel concetto di confine, non solo geografico, che mi fa battere il cuore all’impazzata e mi fa sentire le farfalle nello stomaco. Fermiamoci per un momento al concetto geografico. Anni fa lessi un libro illiminante. Si tratta di Geografia di Franco Farinelli. Lui è un professore dell’Università di Bologna e, nel suo libro, racconta di come l’uomo abbia plasmato il mondo, il concetto di mondo e la conoscenza del mondo su di un qualcosa che, in fondo, non esiste nel mondo ma è stato creato dall’uomo stesso: la carta geografica. Disegnare una mappa è un’attività fatta fin dai tempi più antichi e dà risposte al bisogno umano di capire dove ci si trovi. Millenni fa, quando andai in Senegal, guardando il cielo mi sentivo persa perché non trovavo Orione. Mi dicevo “caspita, è dicembre, siamo nell’emisfero boreale… ci deve essere“. Il fatto di non riuscire a orientarmi nella prima notte a Dakar mi creò non poca ansia. Poi trovai il mio riferimento e tutto mi fu chiaro. La mappa, dicevamo, risponde a un bisogno umano ma non è la forma del mondo. Ora possiamo rilevare la forma del nostro pianeta con le immagini satellitari. Osservatene bene una: i confini, così come li intendiamo noi nella loro accezione politica, non esistono. Ci sono solo quelli fisici: le Alpi, il Reno, le Ande, gli Urali. E potrei andare avanti per ore.
Il confine è ricchezza

Proprio perché il confine politico è un’invenzione umana, spesso tendiamo a considerare quello come il vero confine di un territorio dove l’uomo vive. Ma non è così. L’umanità va oltre il confine e, proprio su quella linea immaginaria o fisica, dà vita a quell’ibrido che non ha pari sulla terra. Vi siete mai fermati a pensare a quanto siano preziosi, a livello culturale, i territori di confine, quelli in cui la storia e le leggende si fondano. Zygmunt Bauman, se fosse seduto qui con me a guardarmi scrivere (oddio, che bella immagine), parlerebbe subito di fluidità della vita, dei rapporti umani, della definizione dei luoghi che osserviamo e abitiamo e io non potrei essere più d’accordo di così. C’è stato un tempo della mia vita in cui ricercavo il confine in viaggio in tutte le occasioni: la linea dove si toccano due province, due regioni, due stati, due elementi culturali opposti. Quello che vedete nella foto qui sopra è il Vallo di Adriano, confine con quasi 2000 anni d’età e bello come pochi. Nell’incontro di queste linee io ci ho sempre visto l’oro più puro. Un oro da assaporare, fare mio, raccontare, amare intensamente, come se tutto si mescolasse in un’unica cosa.
Quando il confine è personale

Giorni fa ho scritto un mezzo sfogo su Facebook, atto dal quale probabilmente è nato tutto il mio ragionamento sul confine. Ora che ci penso è proprio così. Mi sono arrabbiata perché, data la velocità del mondo in cui viviamo e considerata la velocità di comunicazione, sembra spesso che non esista confine (ma io direi educazione) tra la propria vita e quella degli altri. Soprattutto dal punto di vista lavorativo. Mail a tutte le ore… e va bene, non le leggo. Telefonate fuori orario… e va bene, non rispondo. Messaggi WhatsApp come se nevicasse a dicembre. E poi? Ogni persona ha un confine. Ogni persona è un confine. Il problema, spesso, è capire dove finisco io e inizi tu. Quando si parla di lavoro mi è chiarissimo. Quando si parla di sensazioni, affetto, sentimenti… lo è un po’ meno. Almeno per me. Ci sono giorni in cui vorrei essere la paladina del principio di autodeterminazione dei popoli in versione ad personam. Mi dico di lasciare ognuno nel proprio confine e di stare nel mio. Ci sono giorni in cui vorrei diventare il miglior invasore in stile Ragnar Lotbrok e buttar giù ogni difesa altrui. Sbaglio, lo so, ma spesso mi capita di desiderare che la mia linea si intorcolasse (termine tipicamente veneto che, per me, rende meglio l’idea di quella italiana) con linee altrui. Ho una linea per ogni gusto, sintomo che – forse – dovrei capire. Dovrei davvero ritirarmi a scrivere nei miei confini con Zygmunt Bauman che mi guarda. Pace all’anima sua.
La domanda è, a livello personale, dov’è che finisco io e che inizia il resto del mondo?
[La colonna sonora del post è Jolene, nella versione dei Little Willies, gruppo di e con Norah Jones. Perché la sto ascoltando mentre scrivo. E, in fondo, parla di confini… a modo suo.]
È stupendo questo tuo modo,di vedere il confine.
Complimenti Giovy
Grazie Max. Grazie davvero.
Le zone di confine sono spesso le più interessanti, le più ricche di storie e di cose. Sono l’essenza stessa del concetto di Bauman di fluidità. Luoghi che magari per un po’ stavano da un parte e poi finivano per stare dall’altra, che hanno dentro di sé le cose dell’una e dell’altra parte.
In questo senso mi aspetto moltissimo dal viaggio in Polonia perché è stato, per così dire, un Paese di confine, dove si sono mischiati popoli, tradizioni. E sarà interessanti vederne i segni.
Il tuo viaggio in Polonia sarà spettacolare.
Bauman *_*
Pensa che proprio in questi giorni sto avendo a che fare con parecchie persone nuove, e siccome sono tutte australiane, una delle prime cose che dicono è: questo è il mio indirizzo email, ma visto che questo è un lavoro 9 to 5, non aspettatevi risposte la domenica pomeriggio. Su questo loro sono avanti! Bon courage! 🙂
Bisognerebbe fare sempre così. Anche da freelance.
Anche a me il confine e l’attraversamento di un confine ha sempre dato una certa ebbrezza durante un viaggio. Quello più emozionante (non so se si possa definire “confine” ma io lo vivevo come tale) è stato sulle coste della Bretagna, la prima volta che ho visto l’oceano.
Quello è sicuramente un gran confine. La prima volta che si vede l’Oceano non si scorda mai.
Bellissima questa tua analisi. Il concetto di confine e di frontiera ha sempre affascinato anche a me, soprattutto da piccola quando passavo la dogana e mi sentivo estremamente eccitata da questa piccola conquista. Ma a pensarci bene, anche ora mi emoziono, quando nella foresta vietnamita di Tra Su sono salita su una torretta e la guida mi ha indicato il confine con la Cambogia (a soli 12 km), non ti nego che mi sono un po’ emozionata!
Anche a me piace guardare i confini da distante. E la cosa mi emoziona sempre.
Ma sai che quella sensazione di senso di colpa ce l’ho anch’io? 😂 E anch’io so che ho la coscienza pulita, quindi cosa dovrei rischiare? Però non c’è niente da fare. Ci casco ogni volta (al confine con la Croazia, per esempio).
Quanto ai confini, per me ci sono confini davvero simbolici, arrivare presso i quali mi emoziona davvero: la prima volta sull’Oceano, per esempio, o quando ho attraversato le Colonne d’Ercole: quante suggestioni mitologiche mi sono salite!
Come darti torto! Ci sono luoghi mitici che suscitano nel nostro cuore sensazioni speciali.
Amo i tuoi post che divagano liberi, quel modo di scrivere che a volte uno sa dove comincia ma non dove finisce. Il concetto di confine – fisico o mentale – e’ davvero molto interessante soprattutto in quest’epoca sempre piu’ fluida dove i confini tendono a perdere definizione.
Ti ringrazio molto Laura!
Bellissima questa riflessione, mi ci sono rivista in molte parti come l’amore per le zone di confine, Bauman <3, ma soprattutto il non essere né bionda né vagabonda (no davvero, anche basta!) ; in altre meno: non so orientarmi guardando le stelle e faccio parte della generazione di europei senza frontiere. Solo un viaggio extra-comunitario ti fa capire quanto ciò che davamo per scontato sia in realtà un grande grandissimo favore che ti facilita la vita. Tuttavia, se l'abbattimento di confini a livello "burocratico" è ben accetto, trovo anch'io un certo fascino nel sapere che "di qua è l'Italia, di là è l'Austria" 😉
Ti ringrazio per il tuo commento!