
Le cose che ho capito di me. Le cose che ho capito di me a 40 anni. Anzi, 41. Facciamo i seri e diciamo le cose come stanno. C’è un piccolo quaderno dentro la mia testa e “le cose che ho capito di me a 40 anni” è un capitolo di questo quaderno. Quando andavo alle elementari avevo le penne colorate e profumate: io adoravo quella indaco e quella rosa. La penna indaco sapeva di mora e adoravo quel blu quasi viola. Che però non era viola. Quella rosa sapeva di fragola. E io amo le fragole. Se avessi ancora quelle penne, il titolo di questo post sarebbe scritto in indaco e sottolineato in rosa. Con tutto il profumo che ne consegue.
Dell’importanza del capirsi

Non vai da nessuna parte se non ti conosci. Ti racconti un sacco di balle se non ti conosci. E se ti racconti balle ti fai del male. Questo è il principio base di una corretta esistenza. Millenni fa scrissi un post su come trovare i giusti compagni di viaggio e la prima regola che indicai fu proprio il fatto di conoscersi. La seconda? Di non raccontarsi balle. Ciò che vale in viaggio, vale per la vita. Spesso, non sempre. Ma in questo caso è così. Capirsi e conoscere i propri confini è fondamentale per poter stare al mondo. Ci vuole tempo per capirsi, ci vuole il momento giusto.
Cosa ho capito io di me

Veniamo a me, perché oggi ci sono io al centro di questo post. In der Mitte, ich. Così c’era scritto sul muro di una Spa spettacolare che frequentai tempo fa e quello, da quel momento, è uno di quei motti che mi tatuerei da qualche parte. Di me ho capito molto, soprattutto nel periodo che è andato dai 39 anni a ora che ne ho 41. Dicono che le donne, nel mio stesso periodo di vita, siano in quella che si chiama l‘età della febbre. Dai 38 ai 42 una donna è capace di dare il meglio di sé. Secondo me accade anche dopo ma raramente accade prima, a meno che non si diventi madri. E quello, per molte e spesso anche per il mondo, è il meglio del meglio. Per chi, come me, non ha avuto bimbi e non ne avrà, il meglio arriva proprio ora. Quando sale la febbre e si acquisisce – e non è una balla – una consapevolezza di sé che mai si aveva pensato di avere. Di me ho capito alcune cose. Provo a metterle in ordine. Vediamo se ci riesco
So vestirmi di fiori. E non lo credevo

Anni fa ero una donna perfettamente in tinta unita: molto nero, il blu in tutte le sue sfumature, un po’ di verde perché sono bionda e mi sta bene, un po’ di rosa già che sono una donna, il bianco, il grigio. E finiva lì. Quelli erano i miei colori e, in parte, lo sono anche adesso. Ci ho aggiunto tanto rosa, che mi piace da matti ora. Ci ho aggiunto le fantasie, elementi che non pensavo di poter portare. Eppure. Ho capito che so e posso vestirmi di fiori, ho comprato dei vestiti a fiori, di quelli da mettere in estate, di quelli che ti fanno stare bene e che indossi in un secondo. Di quelli che cerci di arrotolare anziché piegare, tutte quelle volte che devono entrare nel tuo zaino o nel tuo trolley, pronti a venire con te da qualche parte del mondo. Perché ci sta vestirsi bene ogni tanto, far vedere quel che sei ogni tanto. Anche se li abbini coi Birkenstock di sempre. Perché quelli, si sa, stanno bene con tutto. Amo i miei vestiti a fiori, amo quello con i fiocchetti – leggero e svolazzante – che non vedo l’ora di indossare.
So tenere i capelli sciolti. Pensate sia poco?

Ho passato tutta la mia vita fino a 16 anni con i capelli lunghissimi. Li tagliavo alla fine di ogni estate. 10 centimetri al massimo, mi raccomando. Lo dicevo supplicante a quella parrucchiera che mi ha visto crescere. Me ne tornavo a casa, per quella volta, con i capelli sciolti sulle spalle e col profumo della crema ristrutturante che era così diverso da quello del mio solito balsamo. Un giorno, proprio a 16 anni, guardai la parrucchiera e le dissi “taglia, taglia fino al collo almeno“. Fu una sorta di prima ribellione a me stessa, a quella Giovy sempre con i capelli raccolti. Già, perché li avevo lunghi lunghissimi ma sempre raccolti perché – secondo le regole della Bruna, ovvero mia madre – si studia, si lavora e si mangia con i capelli raccolti. Imprinting totale. Arrivai a raccoglierli con ogni cosa: matite, penne, elastici, nastrini, fermagli. Ogni cosa pronta a liberarmi il collo. Poi arrivò l’estate scorsa, il mio male dilanianate alla mano destra (Goldfinger aka La Mano di Schroedinger è ancora qui. Aggiornamenti prestissimo sulle mie Instagram Stories), il mio andare dalla parrucchiera vestita di fiori (per stare in tema con quanto detto prima). Il mio “dai, come sempre” che stava a significare taglia in modo che io li possa raccogliere. E lei “ma se facessimo qualcosa di diverso?“. Ci ho messo mezzo secondo ad annuire e poi ho sentito le forbici fare il loro lavoro. Sembrerai una surfista, mi disse la parrucchiera. Io mi accorsi lì che non avrei più raccolto i capelli per molto. Sono passati 6 mesi da quel giorno e ho raccolto i capelli una sola volta. Riesco a vivere con i capelli sciolti, con i miei ricciolini scomposti, con quelle onde che mi si formano decretando una totale indipendenza dalla mia capigliatura. Mi è rimasto addosso il biondo dell’estate. Non se n’è andato quest’anno, quasi come fosse un segno del destino. Io ho i capelli biondo cenere di mio, d’estate diventano biondo chiaro, così come vogliono loro, a caso. Ho capito che posso vivere con i capelli sciolti. E che sto bene con i capelli sciolti.
What’s next?

Forse i due punti che precedono questo paragrafo potrebbero sembrarvi stupidi ma non lo sono. Capire che si può fare qualcosa che non si è mai fatto è una conquista pari a una rivoluzione. È una rivoluzione sui generis. Mi sono sempre voluta molto bene e, benché non rispecchiassi i canoni standard della bellezza femminile (tonda e morbida, capelli sempre in disordine per partito preso, mai un filo di trucco o quasi, moderatamente bassa, pelle chiara che si scotta subito, occhiali dall’età di tre anni), mi sono sempre sentita bella. A modo mio. Bella per quello che sono. Per come lo sono. Per come so mettermi nel mondo. Per come so comunicare col mondo. Mi vanto? No di certo. Sto solo descrivendo la mia innata consapevolezza. So chi sono e ancora non so dove vado. Per quello credo che mi serva ancora un po’ di tempo. Mentre cerco la mia personale mappa con tanto di bussola personale, mi dico che sono felice di aver capito ancora qualcosa di me. C’è una cosa che non bisognerebbe mai smettere di fare? Guardarsi e indagarsi perché, anche a noi stessi, nascondiamo sempre una parte di noi. È il giocare a nascondino che ci rendere adulti, non il cambiare taglia, stato sociale, indirizzo o acquisire una professione. Conta fino a 100 Giovy e poi girati e cerca.
And the feeling it gets left behind
All the innocence lost at one time
Significant behind the eyes
There’s no need to hide
We’re safe tonight
Colonna sonora del post: I am mine dei Pearl Jam
Ogni alba è diversa, come ogni tramonto!
Alcune persone, le percepisco simili, o meglio dire uguali.
Altri invece , forse pochi, si siedono sotto l’albero della ragione, e pensano.
Guardando ogni sfumatura.
Bravissima Giovy.
Grazie Max.
Ah, la consapevolezza che si acquisisce a quasi quarant’anni è una cosa potente. Per arrivarci bisogna essere molto aperti verso l’interno, ascoltarsi e assecondarsi, non mentirsi. Il percorso può anche far male ma quando ci si arriva è una cosa magica.
Aperti verso l’interno è un’immagine che mi piace molto. Grazie Elena
Io adoro letteralmente il tuo modo di scrivere e di arrivare all’anima (per lo meno la mia). Mi sono completamente ritrovata nelle tue parole, nei tuoi trascorsi, nei tuoi traguardi. Il conoscersi non è un’impresa da poco, l’accettarsi lo è ancora meno.
Ti ringrazio molto Arianna!
Ti dirò: io ho 34 anni e, pur non essendo diventata mamma, negli ultimi anni ho subito una serie di cambiamenti simili a quelli che descrivi tu. Forse mi sono capita di più, forse mi sono accettata di più, forse ho iniziato ad esprimermi maggiormente anche con cose “futili” come l’abbigliamento o gli occhiali da sole. Cosa è stato a farmi fare questa metamorfosi lenta ma inesorabile non so dirlo con precisione. Forse allontanarmi sempre di un passo in più dalla mia famiglia di origine, da come loro volevano vedermi. Forse aver trovato una persona che mi sorride quando esprimo me stessa in una gonna a pois. Forse aver acquisito con il lavoro una sorta di fiducia in me stessa che prima di mettermi alla prova “sul campo” non avevo. Non so dire, probabilmente è stato un insieme di cose. Però è bello vedere quali piccoli “traguardi” ho raggiunto.
Concordo con te: è proprio bello osservare i piccoli traguardi. Piccoli poi… mica tanto.
Quanta saggezza in questo post cara Giovy! E quanto di te si comprende da queste parole, anche non conoscendoti di persona. Esprimi la voglia di vivere, ma non quella fatta di balle…perché le balle, come dici tu, dobbiamo smettere di raccontarcele! Buona fortuna :-*
Grazie mille Ingrid. Le tue parole mi fanno molto piacere.
Giovy mi hai emozionato tantissimo.
Mia mamma non si chiama Bruna ma ha anche lei le sue piccole regole che hanno, nel bene e nel male, determinato la mia persona. Negli anni mi sono resa conto che essere me stessa significava allontanarmi dalle mie radici perchè io sono diversa.
Una donna riesce ad amarsi e a vedersi bella quando ha trovato la sua identità a prescindere dalle cose del mondo, dette, fatte o imposte da altri.
Il cambiamento è alla base di questa evoluzione e rivoluzione personale, ed è bellissimo.
E’ stato molto bello leggerti.
Un abbraccio
Per me è stato molto bello questo tuo commento. Felice di averti emozionato 🙂
Che bello questo Post, pieno di certezze acquisite e positività. E sai una cosa? Anch’io ho imparato a vestirmi di fiori, dopo anni di nero che era quasi diventata una divisa. Mi ci sono ritrovata tanto…e ti ringrazio.
Grazie mille Francesca!
40 anni è un periodo magico, si è fiori sbocciati senza più ritrosie, abbastanza forti da accettare le proprie debolezze, belli di tutta la bellezza accumulata con fatica nella propria anima…e tu hai saputo cogliere alcune sfumature significative di questa consapevolezza. Cambia la foto, voglio vederti senza capelli raccolti!
Sto valutando anche il cambio di foto. 🙂
Mi trovi in sintonia completa con il tuo pensiero. Ho la tua età, come te non ho figli umani (ne ho una pelosa però), un compagno che viaggia tanto per lavoro e una consapevolezza di me, che non avevo mai avuto. Ma soprattutto, dopo anni, sono riuscita davvero a non curarmi di quello che pensa la gente di me e di quello che faccio. Rispondo solo a me stessa e ai miei cari, il resto lo ignoro (e parlo anche di parenti e affini). É una liberazione straordinaria!
E fai bene Francesca. Forse è proprio questa l’età migliore di sempre.